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Vae victis, vae victoribus: la lega delio-attica e gli epigoni del XXI secolo (di Duccio Chiapello)

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La lega delio-attica nacque nel quinto secolo avanti cristo come federazione di diverse città-Stato dell’area egea. I padri fondatori di questa unione concordarono sulla necessità di limitare la sovranità dei soggetti aderenti allo scopo di difendere un interesse comune: far fronte alla minaccia persiana. A riconoscimento delle condizioni di parità garantite alle città federate, la sede della lega venne stabilita nell’isola sacra di Delo: là si riuniva il sinedrio dei rappresentanti e là venne collocato il tesoro, amministrato da una burocrazia appositamente costituita.

Non era in realtà difficile intuire fin dall’inizio come, dietro alla narrativa dell’unione come panacea delle discordie interne alla Grecia e come strumento per competere contro la superpotenza persiana, si nascondesse in realtà un progetto egemonico che per dispiegarsi pienamente aveva bisogno di sottoporre le singole città-Stato a pesanti condizionalità, che colpivano prevalentemente proprio i membri più deboli della lega. Gli aderenti potevano infatti soddisfare in due modi le esigenze dell’unione: o mettendo a disposizione navi da guerra – cosa che poche città erano nelle condizioni di fare – oppure pagando tributi; questi ultimi potevano essere ricalcolati periodicamente dai magistrati della lega in base alle rendite pubbliche, alla platea dei contribuenti, oltre che – secondo criteri ampiamente discrezionali e talora arbitrari – alla credibilità delle città-Stato, misurata sulla loro rapidità di adeguamento alle direttive impartite dall’alto.

Con il passare del tempo, l’influenza di Atene sulla vita dell’alleanza si fece sempre più evidente e marcata, dal momento che di fatto controllava la burocrazia di Delo e dettava gli indirizzi politici del patto federativo, approfittando della sua particolare capacità di ottemperare ai requisiti che essa stessa aveva fissato. Questa supremazia non solo si esprimeva attraverso l’imposizione di condizionalità, ma si traduceva anche in un atteggiamento di superiorità morale: Tucidide giustificò infatti il rigore che Atene imponeva agli alleati osservando che questi ultimi erano gente non abituata e non disponibile a faticare, troppo pigra per andare in guerra, a motivo della scarsa volontà di allontanarsi da casa. Insomma, per usare parole più attuali, erano uomini dimentichi della “durezza del vivere”, restii a farsi mandare a morire o a lavorare ad oltranza per finanziare i progetti egemonici altrui. Alcune città, stanche di pagare tributi sempre più spesso determinati iniquamente, si ribellarono, ma Atene le sconfisse militarmente in modo agevole, utilizzando proprio le navi che erano state costruite con il denaro da loro versato.

Quando gli equilibri interni alla lega furono ormai stabilmente piegati a vantaggio della città egemone, venne disposto il trasferimento ad Atene sia del tesoro sia del sinedrio, ormai totalmente esautorato delle sue competenze. La gestione delle finanze divenne a quel punto monopolio di funzionari ateniesi totalmente immuni dal rischio di azioni di responsabilità promosse dalle città-Stato federate. Pericle, ben consapevole di questa condizione di totale impunità, iniziò a utilizzare i fondi della lega per rafforzare le mura di Atene e abbellirla di nuove costruzioni: arrivò perfino a attingere alle casse dell’alleanza per alimentare il proprio consenso personale, assegnando uno stipendio ai circa 30.000 suoi concittadini che godevano di pieni diritti politici.

Intanto, il vincolo esterno imposto dalla città egemone si materializzava con l’insediamento di coloni ateniesi in diverse isole appartenenti all’alleanza, con funzioni di sorveglianza e controllo. Non c’era più nessun bisogno di ricorrere alla retorica del bene collettivo, né di agitare il pericolo persiano: i connotati di quel potere erano chiari. Era arché, supremazia incontrastata del soggetto più forte su tutti gli altri. La struttura dell’unione, le riforme a cui era stata sottoposta, le regole e le condizionalità che erano state gradualmente imposte erano servite a uno scopo preciso: utilizzare la lega delio-attica come veicolo per espropriare le singole città-Stato della sovranità politica ed economica, con il fine ultimo di creare una struttura funzionale alla potenza ateniese e ai suoi obiettivi strategici.

La cecità di questa ambizione imperialistica fu certificata dalla disfatta a cui Atene andò incontro nella guerra del Peloponneso. Non le fu sufficiente spremere all’inverosimile gli alleati, sottraendo loro le ultime risorse anche ricorrendo alla forza bruta: l’esibita potenza militare, l’ostentata superiorità morale, il sedicente splendore democratico furono spazzati via dal crudo incedere della storia, suprema giudice delle vuote ambizioni, delle cieche vanità e degli incubi spacciati per sogni a generazioni di vittime ignare.

I frequentatori del XXI secolo traggano da questi eventi gli insegnamenti che più loro convengono. A cominciare da questo: vae victis, vae victoribus – guai ai vinti, ma guai anche ai vincitori. Con una precisazione: che i vinti che si consegnano ai vincitori patiscono, oltre alla proprie sconfitte, anche quelle di coloro a cui si sono consegnati.


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