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UNA SCISSIONE SENZA FUTURO

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I giornali si occupano delle vicende del Pdl, dei rapporti fra falchi e colombe, fra Berlusconi e i “governativi”, fra Alfano e Fitto. Hanno detto questo, no hanno detto quest’altro, pare che, sembra che, fino a concludere che si è arrivati, ieri, alla scissione. Ma questa è cronaca inutile, quasi chiacchiericcio, perché in realtà, come ripetutamente affermato in passato, tutto si è consumato  il giorno in cui i ministri, Alfano in testa, hanno rifiutato di dimettersi. Da quel momento essi hanno avuto l’alternativa tra tornare all’ovile a capo chino, per non contare più niente ed essere comunque considerati traditori inaffidabili, oppure proseguire nella strada intrapresa, per la semplice ragione che, fosse quella giusta, fosse quella sbagliata, ormai non ne avevano nessun’altra. E così è andata. Tutte le discussioni di questi giorni forse sono servite a ciascuna delle fazioni soltanto a dare in seguito all’altra la colpa di quanto avvenuto.

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Ciò che val la pena di cercare di capire sono le conseguenze della scissione. Nell’immediato essa darà sicuramente luogo ad un nuovo gruppo parlamentare, ma è difficile che crei un partito credibile. Manca la caratterizzazione che dovrebbe renderlo necessario, com’è per la Lega. In caso di elezioni i suoi candidati correrebbero il gravissimo rischio di aver l’aria di dire: “Votate per noi perché abbiamo voglia di andare al governo”. Un po’ poco. Gli elettori votano per sé stessi, non per i candidati. Gli scissionisti non sembrano avere né un’identità (se non quella di “portatori d’acqua”, come si diceva una volta al Giro d’Italia) né un futuro, se non in un’eventuale gruppo centrale composito. Tipo di gruppo che fino ad ora non ha portato fortuna a nessuno. Le esperienze di Fini, Casini, Monti sono troppo recenti per rendere verosimile un suo successo.

La nuova miniformazione, com’è attualmente, non ha comunque potere negoziale. Il governo non può farne a meno, ma gli “scissionisti” non possono, eventualmente, farlo cadere, perché cadrebbero  essi stessi nel nulla. Dunque quelli che non hanno voluto obbedire a Berlusconi dovranno obbedire a Letta. È vero che così conserveranno la poltrona, ma non si sa neppure fino a quando.

Politicamente, dal momento che anche Scelta Civica si è disgregata, da domani avremo di fatto un monocolore PD. Un partito che ha la maggioranza in Parlamento ma non nel Paese. Dopo la decadenza di Berlusconi, FI infatti passerà all’opposizione ed avrà vita facile. La legge finanziaria non piace. L’Unione Europea ci condanna. Il debito pubblico aumenta. La depressione non finisce mai. Il governo è affetto da grave immobilismo. La pressione fiscale è enorme. E FI è comunque un partito più credibile del movimento dei “grillini”, che rischia ancor di più una deriva folcloristica. Insomma alle prossime elezioni – c’è sempre la possibilità di un incidente di percorso – quando il suo leader non sarà Berlusconi, non foss’altro per età – FI potrebbe essere ancora il contraltare della sinistra.

In questo frangente il Pd sta cercando di far passare la crisi come la conseguenza dell’egoismo di Berlusconi che vorrebbe far cadere il governo per vendicarsi del mancato sostegno contro certi magistrati. Ma è una lettura tutt’altro che plausibile. Con l’eventuale crisi non verrebbero meno i problemi giudiziari del Cavaliere. In realtà lo si attacca perché è chiaro che, scaricati i “governativi”, Forza Italia sarà nettamente all’opposizione, con a capo il nemico di sempre, che stia in Senato o altrove.

Probabilmente quello di Berlusconi è lo stesso calcolo di fine settembre. Le sue antenne politiche gli dicono che l’Italia è estremamente stanca dell’attuale situazione economica e non è un caso che nel discorso di oggi egli se la sia presa pesantemente con la Germania. Forse, se si sciogliessero le Camere, gli elettori premierebbero chi avesse il coraggio di indicare una coraggiosa via d’uscita dall’assetto attuale.

Che Berlusconi abbia ragione o torto, il Pd, piuttosto che pensare alla propaganda, farebbe bene ad accorgersi che ora è caricato dell’intera responsabilità delle sorti del Paese: ecco un compito che, più che difficile, appare impossibile. La guida dell’economia è un’autentica quadratura del cerchio. Per giunta potrebbe verificarsi una gravissima crisi internazionale di cui il partito di Letta non sarebbe responsabile ma di cui la nazione gli addebiterebbe la colpa. Perfino in condizioni normali, se il governo “non si muove”, è accusato, perfino dalla Commissione Europea, di immobilismo e di tutte le possibili conseguenze di ciò. Se “si muove”, scontenta qualcuno (già oggi i sindacati, a cominciare dalla Cgil) e rischia parecchio alle nuove elezioni. Soprattutto quando si sarà visto che, se Renzi diviene segretario, cambierà soltanto lo stile e la sostanza resterà vacua.

Normalmente, mentre tutto va molto male a qualcuno, va almeno benino a qualcun altro. Nella nostra vita politica, invece, sembra che attualmente vada malissimo per tutti.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

16 novembre 2013

 


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