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Un intervallo alla propaganda europeista (vol. 4): la Ue e l’euro sono un progetto volutamente stupido

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Quante volte, nel corso della crisi sviluppatasi dal 2008 in poi, abbiamo avuto la sensazione che non si trattasse di un evento congiunturale e casuale, ma invece e piuttosto, lucidamente voluto? Sembra folle, vero? Un po’ come la tesi secondo cui l’Undici settembre non sarebbe stato un attacco di Al Qaeda all’America, ma una false flag (cioè una operazione sotto falsa bandiera o auto-attentato) progettata e messa in pratica dall’amministrazione statunitense dell’epoca per poi giustificare gli interventi in Afghanistan e in Iraq.

Insomma, la crisi come strumento di persuasione occulta, diciamo. È plausibile come ipotesi? Sicuramente non si tratterebbe di una strategia inedita: uno dei celebri 36 stratagemmi cinesi  suggerisce, al fine di raggiungere un obbiettivo, di fingersi stolti rimanendo lucidi.

Volete qualche insuperabile esempio narrativo, tratto magari dalla letteratura occidentale, anziché da quella orientale, tanto per sentirvi più “vicini a casa”? Potete tuffarvi nella trama dell’Odissea, il celebre capolavoro di Omero, e ripassarvi alcune imprese del principale protagonista di quella immortale avventura: Ulisse. Il quale era astuto – questo è noto a tutti – ma soprattutto eccelleva nel far finta di non esserlo affatto: nel mostrarsi, insomma e alla bisogna, un po’ sciocco, inoffensivo o strano. Pensate a quando il nostro riferisce al ciclope Polifemo che il suo nome (ridicolo) è “Nessuno”. Oppure al suo ritorno a Itaca sotto le mentite spoglie di un vecchio mendicante; per poi regolare i conti con i Proci che gli hanno occupato la casa e insidiato la sposa.

La forza dello stratagemma in questione consiste proprio nell’esibire ai propri avversari una apparente e fuorviante debolezza. Chi dovrebbe mai temere uno sciocco o un perdente? Chi potrebbe mai aspettarsi brutti tiri da una manica di dilettanti incompetenti? Chi oserebbe mai sospettare un disegno perverso e doloso dietro a un progetto evidentemente sballato?

Eppure, funziona. Anzi, funziona proprio perché fingersi stolti fa abbassare la guardia all’avversario che finisce per sottovalutare la minaccia. E il peccato di sottovalutazione è uno dei più pericolosi da commettere in qualsiasi confronto, non solo bellico ma anche sportivo, professionale, politico.

E allora vediamo come potrebbe essere stata utilizzata, dagli artefici del “piano complessivo”, una simile strategia durante la tortuosa strada dell’unificazione europea: per esempio, rendendo quella strada ancora più contorta, facendo finta di affastellare errori su errori, proprio come degli stupidi imperdonabili. E, soprattutto, continuando a ripetere a destra e a manca la narrazione di un progetto troppo fragile per poter funzionare e destinato a finire, prima o poi, proprio a causa delle sue intrinseche fragilità.

Esemplare, in questo senso, l’origine della moneta unica. Nel 2002, con l’ingresso del nostro Paese nell’euro siamo entrati in un sistema di cambi fissi con una moneta unica (rappresentata dall’euro) che costituiva una sorta di marco travestito: una moneta nuova di zecca imposta a tutte le nazioni del vecchio continente, a prescindere dai loro “fondamentali” economici, dai loro apparati industriali, dalle loro bilance commerciali. Una moneta, si badi bene, che non è più di esclusiva pertinenza dello Stato, come in precedenza, è semmai “creata”, amministrata e “somministrata” a discrezionalità assoluta di un ente a sua volta “privato” e non elettivo come la Banca Centrale Europea.

Questo sistema era destinato a generare una crisi, anzi sembrava costruito in provetta proprio per scatenarla. E la crisi è poi esplosa davvero, coinvolgendo quasi tutti i Paesi dell’eurozona più indebitati verso l’estero, con effetti più o meno dirompenti: dalla Grecia all’Italia, dal Portogallo alla Spagna.

Da questo punto di vista, l’euro come moneta unica è un’idea sommamente “stupida”. E non lo diciamo noi. L’hanno detto, a chiarissime lettere, almeno sei premi Nobel per l’Economia33.

Partiamo da Paul Krugman, Premio Nobel 2008:  «Penso che l’euro fosse un’idea sentimentale, un bel simbolo di unità politica. Ma una volta abbandonate le valute nazionali avete perso moltissimo in flessibilità. […] Non è facile rimediare alla perdita di margini di manovra».

Milton Friedman, Premio Nobel 1998: «Più che unire, la moneta unica crea problemi e divide. Sposta in politica anche quelle che sono questioni economiche. La conseguenza più seria, però, è che l’euro costituisce un passo per un sempre maggiore ruolo di regolazione da parte di Bruxelles. Una centralizzazione burocratica sempre più accentuata. Le motivazioni profonde di chi guida questo progetto e pensa che lo guiderà in futuro vanno in questa direzione dirigista».

Joseph Stiglitz, Premio Nobel 2001: «Il progetto europeo, per quanto idealista, è sempre stato un impegno dall’alto verso il basso. Ma incoraggiare i tecnocrati a guidare i vari Paesi è tutta un’altra questione, che sembra eludere il processo democratico, imponendo politiche che portano ad un contesto di povertà sempre più diffuso».

Amartya Sen, Premio Nobel 1998: «L’euro è stato un’idea orribile. Lo penso da tempo. Un errore che ha messo l’economia europea sulla strada sbagliata. Una moneta unica non è un buon modo per iniziare a unire l’Europa. I punti deboli economici portano animosità invece che rafforzare i motivi per stare assieme. Hanno un effetto-rottura invece che di legame. Le tensioni che si sono create sono l’ultima cosa di cui ha bisogno l’Europa».

James Mirrlees, Premio Nobel 1996: «Finché l’Italia resterà nell’euro non potrà espandere la massa di moneta in circolazione o svalutare: ecco perché si impone la necessità di decidere se rimanere o meno nella moneta unica, questione non facile da dirimere, perché la gente toglierà il denaro dai conti in banca prima che questo accada. Probabilmente, dovreste sostenere il costo di un’eventuale uscita, come avvenuto in Gran Bretagna (che non ha mai abbandonato la sterlina), ma dovete essere pronti a pagare questo prezzo».

Christopher Pissarides, Premio Nobel 2010: «L’Euro divide l’Europa e la sua fine è necessaria per ricreare quella fiducia che le nazioni europee una volta avevano l’una all’altro. Non andremo da nessuna parte con l’attuale linea decisionale e interventi ad hoc sul debito. Le politiche perseguite ora per salvare l’euro stanno costando all’Europa lavori e stanno creando una generazione persa di giovani laureati. Non certo quello che i padri costituenti avevano in mente».

Queste sei citazioni dovrebbero essere sufficienti per ridurre a più miti entusiasmi qualsiasi eu(ro)forico, soprattutto perché ritorcono nei suoi confronti uno dei tormentoni più diffusi e particolarmente amati da questa singolare categoria di sadomasochisti: il mantra della “competenza”. Ebbene, c’è qualcuno più competente di un Premio Nobel per l’economia, quando si parla di economia? No. Ergo, basterebbe questa discreta carrellata di pareri per smontare gli ardori degli europeisti di professione.

Tuttavia, non è stupido solo l’euro, si badi bene. Sono stupidi anche i parametri di Maastricht, o quantomeno la loro staticità, il loro essere considerati alla stregua di dogmi inviolabili. In proposito, è indimenticabile la famosa confessione di chi nell’euro ci ha portato e ha pure esultato, Romano Prodi, il quale dichiarò in un’intervista “La Nazione” del 4 novembre 2013: «Ma non è stupido che ci siano i parametri come punto di riferimento. È stupido che si lascino immutati 20 anni. Il 3% di deficit-Pil ha senso in certi momenti, in altri sarebbe giusto lo zero, in altri il 4 o il 5%. Un accordo presuppone una politica che lo gestisca e la politica non si fa con le tabelline».

E, in precedenza, Prodi ci era andato giù ancora più pesante (diciamo che era stato ancora più sincero) in una intervista a “Le Monde” nell’ottobre del 2002: «So molto bene che il patto di stabilità è stupido, come tutte le decisioni rigide».

Ora, posto che l’euro è un’idea stupida e che i parametri troppo rigidi lo sono altrettanto, dobbiamo chiederci: si tratta di una stoltezza effettiva, oppure di una stoltezza “studiata”?

Ci spieghiamo ancora meglio: l’euro è stupido, i parametri sono stupidi; ovvero, a voler essere gentili, sono idee profondamente errate. Ma sono davvero errori in buona fede, di gente che pensava di far bene e invece ha fatto male? Oppure sono errori lucidamente voluti di furbacchioni disposti a passare per “stupidi” o per “avventati” o per “dilettanti”? Nella consapevolezza che l’errore compiuto era un mezzo indispensabile per portare a compimento un progetto ambiziosissimo come gli Stati Uniti d’Europa.

La risposta giusta, quella da “accendere”, è senz’altro la seconda: certi bislacchi strumenti introdotti in Europa, contro ogni forma di buon senso e contro il parere dei massimi competenti in economia, erano voluti proprio per arrivare a una crisi. Perché la crisi, come ci ha ricordato Monti, è indispensabile se si vogliono convincere le persone che andare avanti nel processo di unificazione richiede un costo psicologico inferiore rispetto a tornare indietro.

Il fatto che lorsignori sapessero bene a cosa andavano, anzi ci mandavano, incontro lo ha confessato di recente, Giuliano Amato. Trovate la sua stupefacente ammissione su YouTube: «Molti economisti, specie americani, ci hanno detto: guardate che non ci riuscirete, non vi funzionerà, se vi succede qualche problema che investe anche uno solo dei vostri Paesi non avrete gli strumenti centrali che per esempio noi negli Stati Uniti abbiamo che può intervenire il governo centrale, riequilibrare con la finanza nazionale le difficoltà delle finanze locali. La vostra banca centrale se non è una banca centrale di uno Stato non può assolvere alla stessa funzione che assolve una banca centrale di uno Stato che, quando lo Stato lo decide, diventa il pagatore senza limiti di ultima istanza. In realtà, noi non abbiamo voluto credere a questi argomenti, abbiamo avuto fiducia nella nostra capacità di auto coordinarci e abbiamo addirittura stabilito dei vincoli nei nostri trattati che impedissero di aiutare chi era in difficoltà e abbiamo previsto che l’UE non assuma la responsabilità degli impegni degli Stati, che la banca centrale non possa comprare direttamente i titoli pubblici dei singoli Stati, che non ci possano essere facilitazioni creditizie o finanziarie per i singoli Stati, insomma moneta unica dell’euro zona ma ciascuno deve essere in grado di provvedere a se stesso. Era davvero difficile che funzionasse e ne abbiamo visto tutti i problemi».

Straordinario, in particolare, il passaggio seguente: «In realtà, noi non abbiamo voluto credere a questi argomenti, abbiamo avuto fiducia nella nostra capacità di auto coordinarci e abbiamo addirittura stabilito dei vincoli nei nostri trattati che impedissero di aiutare chi era in difficoltà».

Capite? Non è che non hanno creduto ai Premi Nobel. Non hanno voluto creder loro. I padri fondatori, e i massimi artefici del processo di unificazione, sapevano benissimo dove erano diretti. Di più: sapevano benissimo quali enormi problemi avrebbero causato ai cittadini europei: «Abbiamo addirittura stabilito dei vincoli nei nostri trattati che impedissero di aiutare chi era in difficoltà e abbiamo previsto che l’UE non assuma la responsabilità degli impegni degli Stati, che la banca centrale non possa comprare direttamente i titoli pubblici dei singoli Stati, che non ci possano essere facilitazioni creditizie o finanziarie per i singoli Stati, insomma moneta unica dell’euro zona ma ciascuno deve essere in grado di provvedere a se stesso. Era davvero difficile che funzionasse e ne abbiamo visto tutti i problemi».

Insomma, si sono fatti passare per stupidi per poter attuare idee sbagliate. Idee che, però, erano perfettamente funzionali a determinare ciascuno dei passi successivi del graduale cammino verso gli USE.

Potremmo, a questo punto, forti di quanto abbiamo evidenziato, spingerci ancora più in là: l’euro è un insieme di idee sbagliate destinate a produrre effetti “giusti”: giusti ovviamente per chi ha fissato gli obbiettivi consistenti nel de-sovranizzare gli Stati nazionali e nell’implementare la dittatura centralizzata della UE.

Per completezza, ora ripensate alla reazione dei media mainstream e di gran parte dei partiti politici italiani davanti alla crisi. Non hanno messo in discussione l’euro e l’Unione europea, come sarebbe stato logico e razionale fare, ma hanno chiesto, invece, più Europa per tutti gli europei. Così invocando una sovrastruttura politica, un coperchio istituzionale, potremmo dire, da collocare sopra la pentola della moneta unica.

E ciò, nonostante le evidenze dell’errore madornale rappresentato sia dalla moneta unica in quanto tale sia dai parametri che la sostengono. Se nel mondo dell’informazione ci fosse più buonafede che malafede, avrebbe dovuto levarsi un coro quasi unanime non a favore, ma contro l’euro e non a favore, ma contro l’Unione europea così come stava consolidandosi. È accaduto l’esatto contrario perché il mondo dell’informazione, nella sua porzione più rilevante e significativa, è posseduto dagli stessi poteri economici e finanziari che traggono profitto da “marchingegni” come la UE e l’euro.

Quindi, di fatto, causare e poi esasperare la crisi – commettendo degli apparenti, inspiegabili “errori” da “stupidi” – ha rappresentato l’esito di una precisa strategia.

Lo ribadiamo: l’euro non poteva funzionare, perché non è una moneta unica, ma un accordo di cambio fisso tra monete diverse e tra nazioni ed economie diversissime tra loro. Eppure, chi lo ha immaginato sapeva benissimo che – una volta messa in moto la macchina della moneta unica – proprio la sua complessità e il groviglio inestricabile di nodi e relazioni tra Stati da essa innescati, avrebbe reso improponibile una marcia indietro. A quel punto, sarebbe rimasta sul tappeto un’unica soluzione ragionevole: andare avanti a tappe forzate verso l’unificazione politica del Continente. In buona sostanza, una meta che nessuno popolo (e nessun cittadino europeo) aveva mai voluto all’inizio, è diventata la sola soluzione praticabile alla fine: e cioè dopo la cura da cavallo (pazzo) costituita dall’introduzione dell’euro.

Ecco perché fanno solo tenerezza le profezie di chi immagina una caduta dell’Unione europea sotto il peso delle contraddizioni generate dalla moneta unica. La UE non cadrà mai per le sue contraddizioni, e ciò per una dirimente ragione: per il semplice fatto che quelle “folli” anomalie sono state meticolosamente studiate e volute. Una perfetta, insuperabile applicazione del ventisettesimo dei trentasei stratagemmi.

In definitiva, tale strategia si concretizza nello storcere preventivamente ciò che si desidera raddrizzare. Proporre poi come soluzione “più Europa” ha costituito la seconda fase dell’espediente: raggiungere l’obiettivo di raddrizzare ciò che era andato “storto”; laddove, per “dritto” si deve intendere il progetto di unificazione paneuropea e per “storto” la volontà dei singoli popoli di mantenere la propria sovranità.

Sintetizzando, l’euro è stato introdotto nonostante si sapesse che avrebbe generato una crisi. Anzi (Amato docet e Monti pure) proprio perché si sapeva che avrebbe generato una crisi. Dopotutto, ogni crisi nasconde un’opportunità. E la stanno cogliendo.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com


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