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Fracking in Turchia: scoperte giganti di petrolio cambiano lo scenario energetico
La Turchia adotta il fracking per un giacimento colossale di 6,1 miliardi di barili di petrolio di scisto, puntando all’autosufficienza energetica. Una mossa impossibile in Europa, dove la tecnica di estrazione shale è malvista o evitata. Però noi importeremo quel petrolio

La tecnica del fracking, o fratturazione idraulica, utilizzata per estrarre petrolio e gas di scisto, è stata bandita in gran parte d’Europa a causa dei rischi ambientali e sismici, con paesi come Spagna e Germania che ne hanno vietato l’uso.
Eppure alle porte del vecchio continente un paese ha deciso di percorrere una strada diversa: la Turchia adotta questa tecnologia per sfruttare una gigantesca riserva di petrolio non convenzionale nel bacino di Diyarbakir, nel sud-est del Paese. Secondo il ministro dell’Energia Alparslan Bayraktar, la società statunitense Continental Resources stima che il giacimento contenga 6,1 miliardi di barili di petrolio di scisto, una scoperta che potrebbe rivoluzionare l’economia e la geopolitica turca, posizionandola al di sopra di membri OPEC come Gabon e Congo in termini di riserve, secondo Reuters.
Un’opportunità epocale per l’autosufficienza energetica
Con importazioni annuali di 365 milioni di barili di petrolio greggio e una dipendenza superiore al 90% dall’energia estera, la Turchia vede nel fracking una chance per ridurre la sua vulnerabilità energetica. “Una riserva di 6,1 miliardi di barili è una cifra straordinaria”, ha dichiarato Bayraktar durante una visita nella provincia di Şırnak, parte del giacimento. La collaborazione con Continental Resources, pioniere del fracking nel bacino di Bakken negli Stati Uniti, segna l’ingresso ufficiale di questa tecnologia in Turchia attraverso una joint venture con la compagnia statale TPAO.
Questa scoperta si affianca all’annuncio recente del presidente Recep Tayyip Erdoğan di 75 miliardi di metri cubi di gas naturale scoperti nel Mar Nero, rafforzando la strategia di Ankara verso l’autosufficienza energetica. Nel 2024, la Turchia ha prodotto solo 127.000 barili di petrolio al giorno, importandone quasi 1 milione, principalmente dalla Russia. Lo sviluppo delle riserve di Şırnak e del Mar Nero potrebbe ridurre questa dipendenza, garantendo maggiore stabilità economica e geopolitica.
Il fracking come rivoluzione strategica
L’introduzione del fracking in Turchia non è solo un’opportunità economica, ma anche un cambiamento geopolitico. Il bacino di Diyarbakir, situato in una regione strategica, potrebbe trasformare la Turchia in un esportatore di energia verso il Mediterraneo e i Balcani. Questo segnerebbe un’evoluzione del ruolo del Paese, da consumatore a potenziale fornitore per l’Europa, in un contesto di crescenti tensioni energetiche globali.
La scoperta di Diyarbakir segue un altro importante annuncio del 2023, quando Ankara ha rivelato una riserva onshore da 1 miliardo di barili a Şırnak, con petrolio greggio di alta qualità (41 gradi API). Questi sviluppi evidenziano una chiara strategia di investimenti statali e alleanze internazionali, con Continental Resources che porterà tecnologie avanzate di perforazione orizzontale e fratturazione idraulica, essenziali per sfruttare queste risorse non convenzionali. L’energia è sempre stata al centro dei pensieri di Erdogan: basti pensare alle contese con Cipro per il controllo del gas nel Mediterraneo Orientale.
Sfide e prospettive
Nonostante le promesse, il fracking solleva interrogativi su rischi ambientali e sismici, che hanno spinto altri paesi europei a bandirlo. La Turchia dovrà bilanciare l’ambizione di autosufficienza con la necessità di gestire l’impatto ecologico, un tema che potrebbe suscitare dibattiti interni e internazionali. Tuttavia, come sottolineato da Bayraktar, l’obiettivo è chiaro: “Vogliamo possedere le nostre risorse e creare una sicurezza energetica duratura”.
Con 6,1 miliardi di barili di petrolio di scisto e nuove scoperte di gas, la Turchia sta entrando in una nuova era energetica. Se gestita con successo, questa strategia potrebbe non solo ridurre la dipendenza dalle importazioni, ma anche riposizionare il Paese come attore chiave nel panorama energetico eurasiatico, con implicazioni che si estendono ben oltre i suoi confini. Tanto più che molte strutture necessarie all’esportazione del Gas Naturale già esistono, al servizio del petrolio dall’Iraq e dal Kurdistan.
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