Economia
Trump: un’Opportunità per l’Europa e per l’Italia (di Vincenzo Cacciopoli)
L’elezione di Trump viene sempre inquadrata in una sorta di ostilità verso la UE, ma, in realtà, se i rapporti saranno gestiti in modo adeguato, potrà perfino essere un’opportunità
Elly Schlein la segretaria del partito democratico, all’indomani del trionfo di Trump in USA, ha detto testuale che “La vittoria di Trump è una brutta notizia per l’Europa e l’Italia “.
Al di là della opportunità o meno da parte della segreteria del PD di lanciarsi in analisi sulla pativa commerciale di Trump, usata pure quella in maniera strumentale in funzione anti governo, potrebbe essere interessante entrare comunque nel merito della vicenda. Molti analisti in effetti prima del voto, avvertivano dei possibili rischi che avrebbe potuto comportare per l’ Europa una vittoria di Trump. Molti temevano e temono, infatti, che il presidente, nel pieno rispetto del suo storico slogan America first, adotti una politica isolazionista verso il resto del mondo.
Questo vuol dire sostanzialmente un disimpegno sul fronte militare e soprattutto una politica economica protezionistica, che comporta dazi all’importazione. Sul primo tema non si può certo dire che l’amministrazione Biden abbia adottato una posizione intervista, basti pensare al disastro afghano o anche all’ accondiscende lassismo verso la politica aggressiva di Israele in Libano ed Iran. Perché occorre notare come ,all’indomani della elezione, Putin abbia lasciato intendere chiaramente che sarebbe pronto ad analizzare una proposta di pace con Trump. Beh se il buongiorno si vede dal mattino, l’isolazionismo trumpiano potrebbe allora compiere il miracolo di portare un pò di pace ad un mondo che sembra pericolosamente declinare verso un abisso pericolosissimo.
Il fatto poi che Trump richieda un maggior impegno finanziario da parte degli europei sul fronte della difesa all’interno della NATO, è una richiesta già fatta ripetutamente da Biden stesso, ma anche da precedenti amministrazioni, a cominciare proprio da quella di Obama. Questo ha portato l’Europa a ripensare finalmente e in maniera più concreta alla possibilità di creare quella difesa comune da molti, soprattutto a destra chiesta da tempo, e ad un inevitabile maggiore impegno finanziario nella difesa dei suoi confini. E poi c’è la tematica dei dazi, che spaventa, anche con qualche fondamento di ragionevolezza, gli europei e il nostro paese.
Anche qui occorre però fare un pò di chiarezza, per sgomberare il campo da ogni possibile speculazione strumentale. I primi quattro anni di Trump sono stati caratterizzati soprattutto da una guerra commerciale di dazi con la Cina, mentre l’Europa è stata coinvolta marginalmente, e in maniera in certi casi anche simbolica, e con impatti differenti da paese a paese. Certamente il nostro paese potrebbe essere quello maggiormente colpito, considerando che gli Usa sono il secondo paese di sbocco per molti prodotti italiani, ma se si osserva il passato forse qualche rassicurazione in tal senso là si potrebbe ricavare..
La politica dei dazi del periodo 2016-2020 aveva colpito soprattutto particolari beni, come i pannelli solari, l’acciaio, l’alluminio, e specifici prodotti ad alto tasso tecnologico, settori in cui il nostro export non brilla di certo. L’intenzione era quella di limitare soprattutto l’aggressiva economica della Cina, cosa che pensa di replicare anche ora e che, tra le altre cose, sta attuando anche l’Europa, soprattutto per quanto riguarda il settore delle auto elettriche.
Quindi appare esagerato e fuorviante limitare l’analisi a quanto detto durante la campagna elettorale, che ovviamente doveva essere volontariamente aggressiva per aggiudicarsi, come poi è accaduto, il fondamentale voto della Rust Belt, la cintura industriale del Mid west, decisiva per conquistare la Casa Bianca. D’altra parte il tycoon dice da tempo, di ispirarsi alla cosiddetta Reaganomics, che si basava anch’essa su alcuni dazi anche pesanti specifici contro import di moto e semiconduttori giapponesi (il vero competitor della economia americana negli anni 70 e 80).
Ma Reagan introdusse anche un serie di investimenti in ricerca e sviluppo, oltre a poderosi tagli delle tasse per spingere la produttività americana. La crescita enorme degli Usa degli anni 90 prese l’avvio da lì e Clinton ne raccolse i frutti. La nuova amministrazione americana probabilmente adotterà una strategia similare, mirata ad agevolare i settori più strategici come quello tecnologico e dello spazio, seguendo anche magari le indicazioni di quello che potrebbe in questo campo essere il suo vero stratega, il geniale super miliardario Elon Musk.
D’altra parte, anche se quasi nessuno lo dice, fu proprio Obama ad instaurare, dopo decenni, una nuova politica commerciale dei dazi con l’imposizione di quelli sui pneumatici cinesi nel 2009. E lo stesso Biden certo non ha fatto nulla per contenere la politica commerciale imposta dal suo predecessore Trump, anzi. Ma al di là di quello che sarà davvero l’approccio commerciale adottato dalla nuova amministrazione, è evidente come una scossa di tipo protezionistico da parte degli Usa, non potrebbe che essere salutare così come già detto per la difesa, per una Europa che si trova davanti ad una sorta di bivio su quale via davvero si voglia intraprendere. Allo stato attuale Francia e Germania sono diventate le principali responsabili dell’attuale malessere dell’UE.
La scommessa elettorale anticipata di Macron ha portato a un ambiente politico molto meno stabile e prevedibile, con il crescente deficit fiscale del paese che ha offuscato la sua eredità economica e, con essa, la sua credibilità nella UE. Nel frattempo, in Germania, una coalizione debole e malconcia arrivata ormai al capolinea, deve fare i conti con una crisi economica di cui ancora non si vede via d’uscita. La diagnosi dell’ex presidente della Banca centrale Mario Draghi di un divario di investimenti di 800 miliardi di euro all’anno può essere colmata solo da finanziamenti più comuni.
Richiede anche un approccio diverso alla politica industriale e fiscale a livello UE che, ancora una volta, inizierebbe in Germania e si riverserebbe nel resto dell’UE, qualcosa che una guerra commerciale con Trump potrebbe aiutare a sbloccare. Inoltre la nuova politica commerciale americana potrebbe dare peso al tentativo della Commissione europea di rivedere completamente il bilancio dell’UE e renderlo più adatto allo scopo: spendere circa due terzi delle finanze del blocco in sussidi agricoli e fondi di coesione difficilmente sarà sostenibile se confrontato con i rischi esistenziali che Trump presenta. E’ probabile che anche la Germania, anzi soprattutto lei, potrebbe rivedere il suo niet alla prospettiva di affidarsi al debito comune, che diverrebbe quasi una necessità per rispondere al nuovo corso americano, che avrebbe l’effetto di uno shock dirompente un pò come quello che fu il Covid.
E su questo punto proprio Giorgia Meloni, che appare già il leader più autorevole di un’Europa sempre più smarrita, grazie ad un rapporto con il trumpismo, rimasto attivissimo, anche se sottotraccia, in questi mesi (che potrebbe inevitabilmente benficiare anche della intercessione di Elon Musk, grandissimo ammiratore della premier italiana, mentre definisce un idiota Scholz). Considerando poi il fatto che Trump non riconosce la Ue, ma preferisce rapportarsi direttamente con i singoli Stati. Ecco che la posizione della meloni e del governo italiano potrebbero diventare centrali nei rapporti tra Europa e USA. Insomma ripensando poi a come la sinistra fino a pochi mesi fa definiva la Meloni isolata in Europa e nel mondo, la frase della Schlein ancora una volta rischia di rivelarsi l’ennesimo boomerang di una sinistra sempre più smarrita e in balia degli eventi.
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