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Trump blocca la chiusura di un impianto USA da parte di Nippon Steel

Trump blocca la ristrutturazione di U.S. Steel: la “golden share” del governo Usa ferma i piani di Nippon Steel e accende il dibattito su politica e industria.

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Colpo di scena nell’accordo fra Nippon Steel e US Steel, benedetto anche da Trump.  L’amministrazione ha esercitato il proprio potere di “Golden Share” ed ha fermato la chiusura di un impinato siderurgico americano. Con questo potere di veto su alcune decisioni aziendali, è stata bloccata la chiusura di un impianto a Granite City, Illinois.

La decisione di Nippon Steel di sospendere le attività in questo stabilimento faceva parte di un più ampio piano di ristrutturazione, volto a migliorare la produttività della storica azienda americana, fondata ben 124 anni fa. La decisione, per quanto ritenuta necessaria dal punto di vista aziendale, andava contro il mantra trumpiano di sviluppo della manifattura negli USA.

Un muro chiamato politica

A inizio settembre, U.S. Steel aveva notificato ai suoi 800 dipendenti di Granite City l’intenzione di chiudere l’impianto, motivando la decisione con il fatto che i due altiforni erano inattivi da circa due anni, ben prima dell’acquisizione. La notizia ha fatto il giro dei palazzi del potere a Washington e il Segretario al Commercio, Howard Lutnik, è intervenuto senza mezzi termini, comunicando al CEO di U.S. Steel, David Burritt, che il piano non sarebbe stato approvato.

La retromarcia è stata fulminea. U.S. Steel ha subito rilasciato una dichiarazione, affermando di essere felice di poter continuare le operazioni. Un cambio di rotta che si spiega con un solo fattore: quella “golden share” che il governo americano detiene proprio per questioni di sicurezza nazionale. Questa clausola, inserita nell’accordo per tutelare gli interessi strategici degli USA, è chiara: l’azienda non può chiudere impianti, né trasferire la produzione o la manodopera all’estero, senza il consenso del governo.

L’impianto US Steel a Granite City

Le Amare Sorprese di Nippon Steel

Il presidente e CEO di Nippon Steel, Eiji Hashimoto, aveva minimizzato il potere di questo strumento, affermando che è normale che un governo mantenga un certo controllo in transazioni di questo tipo. Era convinto, o quantomeno lo diceva pubblicamente, che la “libertà di gestione” fosse comunque “adeguatamente garantita”. La vicenda di Granite City dimostra il contrario. L’intervento non è arrivato su questioni di massima sicurezza, ma su una decisione che normalmente sarebbe stata routinaria. Evidentemente solo in  Italia le multinazionali dell’acciaio possono fare quello che vogliono, come dimostra il caso  Taranto.

Nippon Steel, che in Giappone ha già consolidato 15 altiforni portandoli a 10 per massimizzare la produttività, aveva un piano preciso:

  • Investimenti mirati: circa 3,1 miliardi di dollari per rinnovare il più grande altoforno di U.S. Steel in Indiana e 4 miliardi di dollari per un nuovo impianto con forni elettrici.
  • Espansione e innovazione: produzione di lamiere di alta qualità in Arkansas e aumento della produzione di acciaio grezzo da 14,18 milioni a oltre 20 milioni di tonnellate entro un decennio.
  • Ristrutturazione: razionalizzazione delle attività per integrare tecnologie avanzate e migliorare l’efficienza complessiva, anche a costo di riallocare i dipendenti.

Il problema è che questo piano si scontra con il sindacato United Steelworkers (USW), che ha una forte influenza politica e non ha intenzione di cedere su questioni che toccano l’occupazione locale. Il sindacato ha chiaramente ribadito che, nonostante gli impegni presi durante l’acquisizione, U.S. Steel ha subito cercato di “svicolare” dai suoi obblighi.

Un futuro in salita

Questa vicenda è un campanello d’allarme per Nippon Steel. Nonostante le rassicurazioni e il meticoloso coordinamento con l’amministrazione Trump durante le trattative, le obiezioni sono emerse anche per questioni apparentemente minori. La “golden share” non è solo un deterrente per la sicurezza nazionale, ma un vero e proprio strumento di controllo politico.

La sfida per Nippon Steel sarà ora quella di bilanciare le proprie esigenze di ristrutturazione e i piani di efficientamento con le pressioni politiche e sindacali. Il “modello di business ad alto profitto” che il gruppo giapponese intende importare si scontra con la realtà americana, dove la politica si infiltra anche nelle decisioni aziendali più pragmatiche. Il futuro della U.S. Steel, e il successo dell’acquisizione, dipenderanno dalla capacità di Nippon Steel di navigare in queste acque torbide, mantenendo un dialogo costante con il governo e i sindacati. Altrimenti, l’accordo potrebbe rivelarsi una gabbia dorata.

L’impianto US steel a Granite City

Domande e Risposte

  1. Che cos’è la “golden share” e perché il governo americano la usa? La “golden share” è un’azione speciale che garantisce al governo un potere di veto su decisioni cruciali dell’azienda. In questo caso, è stata usata per impedire a Nippon Steel di chiudere un impianto di U.S. Steel, tutelando così i posti di lavoro e l’industria manifatturiera americana, considerata strategica per la sicurezza nazionale e un punto cardine della politica di Trump.
  2. Quali sono le conseguenze per Nippon Steel? L’intervento del governo rende molto più difficile per Nippon Steel implementare i suoi piani di ristrutturazione e razionalizzazione. La società giapponese, che ha acquistato U.S. Steel con l’obiettivo di renderla più efficiente e redditizia, dovrà ora fare i conti con un’ingerenza politica costante. Questo potrebbe rallentare gli investimenti e impedire le decisioni necessarie per raggiungere gli obiettivi di produttività.
  3. Perché il sindacato United Steelworkers è così influente? Il sindacato USW ha una forte influenza politica, soprattutto a livello locale, grazie al gran numero di iscritti. Le sue posizioni in difesa dell’occupazione sono molto ascoltate, specialmente in un contesto politico in cui il rilancio dell’industria manifatturiera è un tema centrale. L’opposizione del sindacato a qualsiasi chiusura di impianto ha spinto l’amministrazione a intervenire, dimostrando il peso politico che queste organizzazioni hanno negli Stati Uniti.
E tu cosa ne pensi?

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