Attualità
“Tripoli, bel suol d’amore” e le pretese pacificatrici del governo Renzi
(stemma della Libia quando era colonia italiana………)
“Armiamoci e partite”, sembrano essere ormai le parole d’ordine del governo Renzi a proposito della Libia. Il Ministro degli Esteri Gentiloni e della Difesa Pinotti ormai sono pronti ad inviare 5000 soldati in Libia per combattere l’Isis, che ora si sono accorti essere a 350 km dall’Italia.
Vediamo le linee guida del futuro intervento italiano.
a) Egida ONU, e questa, come una bella “Lettera di marca”, non si rifiuta mai a nessuno…
b) Forza multinazionale, ma a giuda e partecipazione più massiccia Italiana, ma aperta ai “Paesi dell’Area” più “Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna, Malta” e forse , in un futuro, Stati Uniti .
c) In questo caso la missione non sarebbe, chiaramente, quella di interposizione, ma di “Peace enforcing”…..
Perchè ora ? Recentemente vi è stato un rigurgito terroristico in Libia, con un attentato ad un albergo utilizzato dagli occidentali a Tripoli , il rapimento e l’uccisione di numerosi lavoratori egiziani di religione copta e , ancora più recentemente, l’occupazione di una stazione radio di Sirte (non dell’intera città…). Anche per questo il nostro ministero degli esteri aveva già deciso, giustamente, di alleggerire la presenza dei connazionali. Certo che questo impeto guerriero proprio ora appare per lo meno sospetto, visto che già da mesi si sapeva delle pesanti infiltrazioni del ISIS/ISIL/DESH in Libia: già a Novembre la CNN annunciava che Derna (100.000 abitanti) era caduta nelle mani dell’ISIS, e le infiltrazioni terroristiche sono ovvie in un territorio che ormai è ridotto ad una larva di stato. L’intervento in questo momento è per lo meno curioso, e fa nascere il dubbio che, alle spalle, possano esservi anche motivazioni di politica interna.
Le forze e gli alleati. Il governo intende impiegare 5000 uomini. Nel 1911, per occupare le principali città costiere e pochissimo entroterra, l’allora Regno d’Italia ne utilizzò 36.000 circa, a cui aggiungere alcune migliaia di marinai e fanti di marina, fronteggiando circa 14000 turchi e libici loro alleati. Del resto la superficie della Libia è di 1.750 mila kmq, pari a 6 volte quella dell’Italia, e per quanto la popolazione sia scarsa (circa 6 milioni di abitanti), si tratta di un bel volume di terra. Si calcola che i militanti / sostenitori di ISIS siano circa circa 25 mila, anche se si tratta di valutazioni ed un numero preciso non è a nostra disposizione. Per fronteggiare queste forze bisognerebbe avere :
– Forti alleati locali, il che però significa intromettersi nelle lotte di potere interne, con conseguenze per lo meno imprevedibili
– Forti alleati d’area, che , per ora , non ci sono. Il paese confinante più interessato alla situazione e militarmente in grado di intervenire , l’Egitto, si è chiamato fuori allo stato attuale delle cose. Ricordiamo che i rapporti fra Al Sisi e il governo Obama sono piuttosto freddi, in quanto ritenuto governo poco legittimo dagli americani, mentre sono in sviluppo quelle con Putin, per cui non si vede un grosso entusiasmo , neppure in futuro, del Cairo ad intervenire in nostro favore. Gli altri paesi confinanti non sembrano in grado di tentare alcunchè.
– Alleati Europei: la Germania ha una posizione prettamente isolazionista, un esercito francamente impreparato ed una frontiera orientale in subbuglio. Difficilmente sposterà il suo impegno militare verso il Mediterraneo, se non ad un livello puramente simbolico. al contrario è probabile che venga a farci le pulci per le spese in questa impresa. La Gran Bretagna e la Francia potrebbero, potenzialmente, impegnarsi maggiormente, ma la Francia è già coinvolta in Africa Occidentale. rimangono la Spagna e, forse, qualche altro paese europeo, ma a quale livello militare rimane un dubbio. Del resto la crisi economica europea taglia notevolmente le velleità di compiere sforzi militari.
Ampiezza e chiarezza del mandato. Mentre nell’ex Yugoslavia ed in Libano il nostro impegno militare era quello di una “Forza di interposizione” nell’ambito di un accordo già concluso fra forze combattenti, in questo caso i nostri soldati dovrebbero compiere un’operazione di “Peace enforcing”. Praticamente si tratterebbe di andare a caccia dei terroristi e dei loro sostenitori, e di neutralizzarli. Si tratta però di identificare con precisione quali siano i gruppi da neutralizzare, come neutralizzarli e cosa fare dopo averli neutralizzati. Già il primo problema non è semplice, e sicuramente verrà a modificare l’equilibrio fra le forze locali. Il secondo problema invece chiama in discussione le regole di ingaggio in ambienti in cui, probabilmente, si troveranno anche obiettivi civili, Ricordiamo che la nostra opinione pubblica è fra le più tremebonde ed indecise d’occidente: avrebbe il coraggio di assistere al bombardamento da parte dei nostri aerei di una città abitata anche da civili ? Il terzo problema invece chiama in gioco la nostra direzione politica: ammesso che si decida, ad esempio, di liberare Sirte e si riesca a scacciarne l’ISIS, cosa se ne fa dopo ? La si occupa militarmente a tempo indeterminato ? La si rende ad una fazione libica, magari rischiando di vederla rioccupata dopo un mese ? e se i guerriglieri si ritirano nell’interno cosa si fa ?
Insomma l’intervento in Libia, così come delineato finora , pone più domande di quante soluzioni possa proporre. Non che un intervento non sia opportuno, ma quello attuale sembra una riproposizione delle fallimentari politiche coloniali del xix secolo, quando ci si imbarcò in operazioni coloniali senza conoscere non solo in nemico, ma neppure bene i nostri obiettivi. Per concludere rischiamo di metterci nella polveriera libica senza avere mezzi adeguati, senza avere alleati solidi, e senza neppure sapere chiaramente cosa stiamo facendo e quali siano i nostri fini. Questa volta spero di essere un pessimista e di sbagliarmi….
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