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Analisi e studi

L’impatto della spesa militare sulla crescita economica: quale sarà il reale effetto del riarmo europeo sulla crescita economica

L’aumento della spesa militare in Europa stimolerà l’economia come sostengono alcuni? Un’analisi degli effetti su PIL, debito e investimenti civili mostra come il “keynesismo militare” sia un’illusione costosa che l’UE pagherà a caro prezzo.

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La relazione fra spesa militare e crescita economica è un tema profondamente dibatturo e che, nel tempo, ha visto gli economisti schierati su posizioni diverse. Sebbene alcuni abbiano sostenuto che le spese militari possano offrire un “pranzo gratis” al capitalismo, stimolando l’economia in modi simili al Keynesianismo, le evidenze e le teorie più moderne spesso dipingono un quadro più sfumato, e in molti casi, negativo. Cerchiamo di presentarvi una panoramica delle ricerche economiche sulla materia, per cercare di farvi capire quale sarà l’effetto di questa ondata di militarismo sulla crescita economica della UE e quali siano i migliori modi per spendere questi soildi.

Il Concetto di “Keynesianismo militare”

Il Keynesianismo militare è l’idea che la spesa militare, derivante da guerre o minacce di guerra, stimoli la domanda aggregata. Questo avviene direttamente attraverso la spesa pubblica e indirettamente tramite effetti moltiplicatori sul consumo privato e sugli investimenti. L’argomento è che, senza tale stimolo, capitale e lavoro rimarrebbero disoccupati, e che le economie di mercato potrebbero dipendere dalla guerra o dalla minaccia di guerra per la prosperità. Storicamente, pensatori come Steindl (1952) e Baran e Sweezy (1966) hanno espresso questa posizione, suggerendo che senza preparativi bellici, il capitalismo sarebbe caduto in depressione.

Leopard 2A8 , un qualcosa che verrà comprato da questo debito

Tuttavia, anche all’interno della teoria macroeconomica di base, la spesa militare non è l’unico modo per ottenere uno stimolo fiscale; qualsiasi aumento della spesa pubblica o taglio delle tasse può funzionare. Anche uno stimolo monetario può essere efficace, a meno che non ci si trovi già al limite inferiore zero (ZLB) dei tassi di interesse. Inoltre, le “animal spirits” (la fiducia degli imprenditori e dei consumatori) possono riprendersi autonomamente, avendo lo stesso effetto di uno stimolo fiscale. L’implicazione è che, sebbene il Keynesianismo militare non sia escluso, la spesa militare non è l’unica soluzione per una recessione. Nelle economie aperte, esistono anche altre vie d’uscita, come la svalutazione della moneta, che ha mostrato una rapida ripresa per i paesi che l’hanno adottata durante la Grande Depressione.

In contesti neo-keynesiani, dove le famiglie sono lungimiranti e basano il consumo sul reddito permanente (equivalenza ricardiana), uno stimolo fiscale non “inganna” nessuno e non vi è un moltiplicatore meccanico. In questo scenario, uno stimolo fiscale ridistribuisce la domanda aggregata nel tempo, funzionando, se del caso, solo aumentando le aspettative di inflazione, il che a sua volta riduce i tassi di interesse reali e sposta il consumo dal futuro al presente, stimolando l’occupazione. Questo implica che la spesa per la difesa, se funziona, lo fa elevando le aspettative di inflazione, non attraverso un processo meccanico di moltiplicazione. Bisogna dire che questo

Costi-opportunità e spiazzamento (Crowding Out) economico

Un punto cruciale nel dibattito è se la spesa militare abbia un costo opportunità. Se la spesa per la difesa fa aumentare gli investimenti non difensivi, il consumo e l’occupazione, allora il costo opportunità è zero. Se invece questi diminuiscono, la spesa per la difesa ha un costo opportunità. La spesa pubblica, nel suo complesso, è finita, non può essere sempre la somma di tante spese che crescono in modo indipendente. Quindi l’aumento della spesa militare comporta necessariamente meno spesa in altri settori. Il problema viene poi accentuato quando la spesa militare viene fatta a deficit, andando a costruire nuovo debito, che, a sua volta, ha delle conseguenze.

F-35

Nei modelli neo-keynesiani, i piani di spesa pubblica (inclusa quella militare) possono portare a una significativa riduzione della spesa privata per consumi e investimenti. Questo accade perché famiglie e imprese anticipano futuri oneri fiscali e tassi di interesse più elevati, riducendo le loro spese attuali. Questo fenomeno è noto come spiazzamento (crowding out). I ritardi nell’implementazione degli stimoli fiscali possono esacerbare questo spiazzamento, potendo persino causare una contrazione iniziale dell’economia. Ovviamente questa visione ha la base su un’improbabile perfetta razionalità, ma anche senza di questa comunque le spese militari sono sottratte al reddito disponibile, per cui vengono, anche in una visione non neo-keynesiana, a ridurre la spesa privata.

Aggiungiamo che gli investimenti pubblici forniscono un’utilità economica futura che compensa la spesa: un ponte fa risparmiare tempo a chi deve viaggiare e questo si rifletterà in un’utilità economica che aiuterà a coprire il debito pubblico. Questo effetto non si produce per il debito creato per il settore militare.

Effetti sull’Offerta e Sicurezza

La spesa militare influisce anche sul lato dell’offerta dell’economia. Se da un lato può sostenere l’industria domestica e la modernizzazione tecnologica, generando ricadute tecnologiche positive (come il GPS, Internet, microonde), dall’altro il settore militare tende ad assorbire risorse (lavoro, capitali) che potrebbero altrimenti essere utilizzate nei settori civili. Ad esempio, i soldati in servizio non lavorano in impieghi civili, riducendo l’offerta di lavoro nel settore civile e potenzialmente rallentando la crescita economica. La coscrizione, in particolare, è vista come una “tassa in natura” che può ridurre la produttività potenziale e l’accumulazione di capitale umano dei giovani.

La sicurezza è un bene pubblico essenziale per il corretto funzionamento dei mercati e per la protezione della vita, della salute e dei diritti di proprietà. Un livello ottimale di spesa militare può massimizzare la crescita economica, riducendo l’incertezza e incoraggiando gli investitori domestici e stranieri. Tuttavia, vi è anche il rischio che la spesa militare sia guidata non da esigenze di sicurezza reali, ma da un complesso militare-industriale che persegue la rendita, esagerando i conflitti e ostacolando le soluzioni non militari, portando a pericolose corse agli armamenti.

Centauro II Fonte Ministero della Difesa

Confronto con altri tipi di spesa pubblica

Il confronto della spesa militare con altre forme di spesa governativa evidenzia spesso un costo opportunità significativo e rendimenti inferiori.

Spesa Militare vs. Spesa per la Sicurezza Umana (Sociale, Sanità, Istruzione)

Le disparità sono particolarmente evidenti nei paesi fragili e colpiti da conflitti. Questi paesi tendono a spendere relativamente di più per la difesa che per la protezione sociale, una tendenza inversa rispetto ai paesi non classificati come tali. Ad esempio, in Afghanistan, un paese ad alta intensità di conflitto, la spesa militare ha superato un terzo della spesa pubblica totale dal 2010, mentre meno del 4% è stato destinato alla protezione sociale. Al contrario, nei paesi non in conflitto, la protezione sociale ha assorbito in media oltre il 25% della spesa statale, con meno del 6% destinato all’esercito.

Per quanto riguarda la sanità, i paesi non in conflitto spendono quasi il doppio per la salute rispetto ai loro eserciti, mentre nei paesi in conflitto, la spesa militare è tipicamente più del doppio rispetto a quella per la salute. La spesa per l’istruzione supera quella per la difesa in tutti i paesi, ma il divario è minore nelle aree di conflitto.

L’analisi sulla credibilità dei bilanci pubblici, che misura quanto i governi rispettino i loro piani di spesa, rivela una tendenza sistematica. Durante l’anno, si osserva che la spesa per il settore della difesa tende ad aumentare rispetto a quanto inizialmente stanziato, a differenza di quanto accade in altri ambiti.

Al contrario, settori come la sanità (in particolare per programmi di vaccinazione e miglioramenti infrastrutturali) e i capitoli di spesa per l’istruzione registrano spesso un utilizzo dei fondi inferiore alle previsioni.

Queste deviazioni dal budget iniziale sono più pronunciate nei paesi a basso reddito. In media, queste nazioni hanno speso per la difesa il 51% in più di quanto preventivato, contemporaneamente a una significativa sottospesa in attività sanitarie essenziali. Questa situazione è particolarmente evidente in paesi interessati da conflitti, come Afghanistan, Burkina Faso e Niger.

Per fare un esempio concreto, nel 2015 in Nigeria il ministero della Difesa ha impiegato il 65% della sua dotazione finanziaria, mentre il ministero per le Donne ha raggiunto solo il 34% e quello per la Gioventù ha utilizzato poco più della metà dei fondi a sua disposizione.

Durante la pandemia di COVID-19, la spesa militare è aumentata in molti paesi, specialmente quelli fragili e colpiti da conflitti, riducendo potenzialmente lo spazio fiscale per misure di risposta alla pandemia. I paesi colpiti da conflitti hanno adottato meno misure di protezione sociale (in media la metà rispetto ai paesi non in conflitto) e meno politiche specifiche per donne e ragazze, come quelle contro la violenza di genere o per il lavoro di cura non retribuito.

Moltiplicatori Fiscali: Militare vs. Non-Militare

Le stime dei moltiplicatori fiscali indicano che la spesa militare ha un impatto sul PIL inferiore a quello della spesa governativa non militare. Nei paesi dell’Europa centrale e orientale (CEE) tra il 1999 e il 2021, ogni euro speso per le forze armate ha portato a una crescita del PIL inferiore a un euro. I moltiplicatori per la spesa militare sono stati stimati tra 0.7 e 1.0 all’impatto, diminuendo gradualmente negli anni successivi.

In contrasto, i moltiplicatori fiscali del consumo governativo non militare sono risultati significativamente più alti, superando quelli della spesa militare di 0.2-0.3 punti all’impatto e di 0.4-0.5 punti nel secondo e terzo anno dopo uno shock. Questo suggerisce che l’espansione fiscale attraverso l’aumento della spesa non militare sarebbe più efficace nello stimolare la crescita del PIL.

Studi sulla ripresa dalla Grande Depressione in Germania hanno mostrato che il recupero iniziò prima dell’ascesa al potere di Hitler e non può essere chiaramente attribuito allo stimolo fiscale del riarmo nazista, i cui effetti moltiplicatori non furono identificati con certezza. Similmente, la Seconda Guerra Mondiale non salvò l’America dalla Grande Depressione; il principale motore della ripresa fu l’investimento privato. La guerra non fu benefica per gli investimenti e i consumi privati americani, e i guadagni di produttività furono transitori. Non vi è alcuna prova che la spesa militare abbia evitato una nuova Grande Depressione dopo la Seconda Guerra Mondiale, anzi, la riduzione delle spese militari portò alla creazione di milioni di posti di lavoro civili e all’aumento della produzione civile sia negli Stati Uniti che nella Germania Ovest.

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Spese Militari Più Produttive

L’analisi disaggregata della spesa militare rivela che non tutte le componenti hanno lo stesso impatto sull’economia.

  • Spesa per il personale militare: Questa categoria ha l’impatto negativo più forte e significativo sulla crescita economica nel lungo periodo. È strettamente legata all’assorbimento di lavoratori dai settori civili, riducendo l’offerta di lavoro e la produttività potenziale in tali settori. Sebbene possa avere un moltiplicatore positivo a breve termine (intorno a 1.1-1.3) a causa degli effetti sulla domanda, si trasforma in un moltiplicatore negativo nel medio-lungo periodo (tre-sei anni dopo lo shock), suggerendo un forte effetto negativo sull’offerta.
  • Acquisti di equipaggiamento e altre spese militari: Queste includono l’acquisto di armi, la manutenzione dell’esercito (uniformi, carburante, munizioni) e le spese per missioni all’estero. Hanno un effetto negativo sulla crescita del PIL, sebbene minore rispetto alla spesa per il personale. I moltiplicatori a breve termine per equipaggiamento e infrastrutture possono variare tra 0.8 e 1.0 nei primi due anni, indicando effetti sulla domanda e minori effetti positivi sull’offerta.
  • Investimenti in infrastrutture militari: Questa è l’unica tipologia di spesa militare che può avere un effetto positivo e significativo sulla crescita economica nel lungo periodo. Tali investimenti, come la costruzione o modernizzazione di strade, ponti, ferrovie e infrastrutture di telecomunicazione, possono portare benefici anche al settore civile. Tuttavia, questa voce di spesa rappresenta una parte molto piccola del totale della spesa militare (ad esempio, solo il 4.8% nei paesi CEE).

Il Caso dei Paesi NATO

È interessante notare che per i paesi membri della NATO, la relazione tra spesa militare e crescita economica è risultata costantemente negativa, diventando ancora più negativa una volta superata una soglia dell’1.609% del PIL. Questo potrebbe spiegare la riluttanza di alcuni membri a rispettare i requisiti minimi di spesa per la difesa. Poiché l’adesione alla NATO fornisce una protezione esterna significativa (Articolo 5 del trattato), questi paesi potrebbero trarre maggiori benefici dall’investire le loro risorse in altri settori. Al contrario, i paesi non NATO mostrano una relazione positiva tra spesa militare e crescita fino a una soglia più alta (3.407% del PIL), presumibilmente perché devono investire di più per la propria sicurezza e stabilità.

In sintesi, mentre la spesa militare può offrire uno stimolo di domanda a breve termine, specialmente durante le recessioni, le prove suggeriscono che l’effetto moltiplicatore è spesso inferiore all’unità, e che a lungo termine, essa può spiazzare gli investimenti e i consumi privati, rallentando la crescita economica. Il suo impatto è generalmente inferiore a quello della spesa governativa non militare e ha un costo opportunità significativo, soprattutto in settori vitali come la sanità e la protezione sociale. Le spese per il personale militare sembrano essere le meno produttive a lungo termine, mentre gli investimenti in infrastrutture militari, pur rappresentando una piccola parte del totale, possono avere ricadute positive. Per i paesi NATO, la protezione collettiva offerta dall’alleanza suggerisce che potrebbero trarre maggiori benefici da investimenti in settori civili.

Nonostante la teoria economica concordi, in generale, sugli effetti negativi della spesa militare, i Paesi europei si sono infilati in un vicolo cieco fatto di crescita della spesa militare, ikn un momento in cui sia la demografia sia uan cattiva legislazione mettono pressione sulla crescita economica e sui sistemi industriali continentali. Si tratta dell’ennesimo errore politico che sarà pagato dai cittadini, ma la democrazia ormai nonm funziona più , e queste scelte ne sono proprio una conseguenza.

Fonti

  • “14. Military Keynesianism – University of Warwick”: Mark Harrison, Term 2, 2018/19.
  • “COMPARING MILITARY AND HUMAN SECURITY SPENDING: KEY FINDINGS AND METHODOLOGICAL NOTES – UN Women”: UN Women, Maggio 2022.
  • “Economic growth and military expenditure in the countries on NATOs eastern flank in 1999-2021 – Eesti Pank”: Łukasz Wiktor Olejnik, Working Paper Series 2/2023.
  • “Economic militarism – Wikipedia”.
  • “How Military Spending Affects the Economy – Investopedia”: Andrew Beattie, aggiornato il 2 settembre 2024, revisionato da Robert C. Kelly, verificato da Michael Rosenston.
  • “Infrastructure spending and economic growth”: Ryan Bourne e Diego Zuluaga, novembre 2016.
  • “Keynesian government spending multipliers and spillovers in the euro area – European Central Bank”: Tobias Cwik e Volker Wieland, Working Paper Series no 1267 / novembre 2010.
  • “The impact of military spending on economic growth: A threshold regression analysis – Munich Personal RePEc Archive”: Anindya Banerjee, Yiannis Karavias, Lijun Wang, 25 maggio 2023.

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