Attualità
Siamo cittadini o mezzi di produzione ? – L’importanza delle conoscenze diffuse
di Davide Gionco
Gli italiani che hanno scarse competenze scientifiche
Non passa mese in cui su qualche giornale famoso o in qualche programma televisivo in prima serata ci venga ricordata la necessità di aumentare la cultura scientifica in Italia, intesa come mezzo fondamentale per “essere competitivi sui mercati internazionali”, per esportare merci e “vincere la sfida della globalizzazione”. Non si perde occasione di ricordare come gli italiani abbiano meno “competenze scientifiche” rispetto agli altri paesi “concorrenti”.
Per “cultura scientifica”, quindi, probabilmente non si intende neppure la conoscenza del metodo scientifico o dei principi della termodinamica, ma solo il fatto di possedere le “competenze tecniche” richieste dalle aziende che devono esportare merci.
Peraltro pare che negli ultimi 10 anni i mandati pubblici per consulenze di ingegneria siano calati del 70% e quelli privati di oltre il 50%, tanto per dimostrare che una economia depressa non sa cosa farsene delle competenze tecniche.
E’ evidente che le competenze tecniche sono importanti e fondamentali in una società avanzata, in quanto permettono di realizzare molte cose utili.
In fin dei conti ogni “mestiere” richiede le sue competenze tecniche e queste competenze, messe a buon frutto, generano ricchezza reale per la società.
Tuttavia noi siamo persone, siamo cittadini, non siamo solo degli efficienti mezzi di produzione a servizio del “mercato”. Non viviamo solo per produrre merci da esportare!
A cosa servono le conoscenze
Nel Canto XXVI dell’Inferno della Divina Commedia, Dante mette in bocca ad Ulisse le famose parole “Considerata la vostra semenza, fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”
Siamo esseri sociali e intelligenti, abbiamo una coscienza; viviamo in una società complessa; viviamo in un pianeta pieno di risorse, ma anche con i suoi limiti. Abbiamo bisogno di conoscere il mondo in cui viviamo, di capire, per quanto possibile, tutto ciò che può condizionare la nostra esistenza e quella dei nostri posteri.
Se non conosciamo i fattori che influenzano, ad esempio, la nostra salute, la nostra situazione lavorativa, le nostre convinzioni, il nostro benessere, non abbiamo la possibilità di reagire. Un po’ come gli animali, che subiscono il mondo in cui vivono.
Se non comprendiamo come funziona il mondo in cui viviamo, molto difficilmente sapremo dare una delega politica a chi ci dovrà governare o sapremo sottrarci a dei meccanismi, magari subdoli, che colpiscono negativamente la nostra vita.
Di quali conoscenze abbiamo bisogno?
Quando in televisione e sui giornali si parla di “cultura” ci si riferisce generalmente al mondo della letteratura (magari non troppo impegnata), alle arti figurative, alla musica, al teatro…
Effettivamente assstere ad un concerto di Stefano Bollani è qualcosa di impagabile, per gli appassionati di jazz. Ma il contributo di questa “cultura soft” alla nostra comprensione del mondo è molto limitato.
In realtà il sistema scolastico italiano, erede della riforma di Giovanni Gentile, ci propone una serie di nozioni culturali di base che, in qualche modo, sono diventate patrimonio comune degli italiani: italiano (conoscenza della nostra lingua), lettere, storia, geografia, un po’ di biologia, un po’ di fisica, un po’ di chimica, matematica, religione cattolica (facoltativo). Una lingua straniera.
E di questo ringraziamo Giovanni Gentile, in quanto in altri paesi del mondo, come ad esempio gli USA, le nozioni culturali di base sono molto più limitate.
La formazione umanistica “classica” prevede l’approfondimento di materie come lo studio delle lingue antiche (latino, greco) e della loro letteratura, la storia della filosofia, la filologia, ecc.
Si tratta certamente di conoscenze utili, che “liberano la mente”, ma si tratta di un “bagaglio di conoscenze umane” che sono state definite quando il mondo funzionava in modo più semplice di oggi.
Vi sono altre conoscenze fondamentali per comprendere il mondo di oggi, che in Italia vengono insegnate solo a chi frequenta certe scuole di indirizzo, a livello di scuola media superiore e di università.
Provo ad elencarne alcune che personalmente ritengo fondamentali (senza la pretesa di essere esaustivo):
* la filosofia (almeno certi concetti fondamentali, come la logica di Aristotele, la critica alla ragion pura di Kant o l’epistemologia della scienza di Popper, ma soprattutto il pensiero del XX secolo)
* la storia contemporanea, in modo più approfondito
* aspetti della fisica rilevanti per la nostra vita quotidiana, come l’energia (che costa ed inquina), l’entropia, l’elettromagnetismo
* la Costituzione e conoscenze di base del diritto, in particolare per quanto riguarda i diritti democratici
* la macroeconomia, come funziona l’economia di una nazione, cos’è il denaro, la speculazione finanziaria, come funzionano le multinazionali
* la psicologia di massa, le tecniche di comunicazione e di condizionamento dell’opinione pubblica, la pubblicità
* la conoscenza della cultura islamica, con la quale dobbiamo necessariamente confrontarci
* la conoscenza della cultura cristiana, che è la radice dei valori della cultura italiana, oggi troppo spesso ignorata per ragioni di anticlericalismo, che non possono giustificare l’ignoranza culturale
* etica individuale, sociale, ambientale
* fondamenti di geologia, per comprendere l’ambiente in cui viviamo e gli impatti delle attività umane
* alimentazione, conoscenze di base dell’agricoltura biologica
* utilizzo consapevole di internet e dei moderni mezzi di comunicazione
Il tutto potrebbe essere completato da almeno 6 mesi di esperienza vissuta di volontariato in favore di persone povere e bisognose, per formare il proprio animo allo spirito di servizio e di solidarietà verso gli altri.
Il ruolo della scuola e dei mass media
Nella scuola di oggi si dà probabilmente troppo spazio ad un nozionismo fine a se stesso (ricordo ancora al liceo la professoressa che ci chiedeva di ricordare la fondamentale battaglia del Lago Regillo dei Romani contro i Latini del 496 a.C.), mentre si trascurano totalmente delle questioni essenziali per il nostro vivere democratico, come il funzionamento dei mass-media nel plasmare l’opinione pubblica o come il concetto macroeconomico dei saldi settoriali.
E’ certamente vero che la scuola non ha materialmente il tempo di fornire tutte queste conoscenze. La realtà è che oggi gran parte delle conoscenze provengono dalla stratificazione di anni di “ricezione” di programmi televisivi, radiofonici, lettura di giornali, di libri, video su internet, ecc.
Ovvero la diffusione della cultura non deve restare limitata al percorso scolastico, ma dovrebbe essere parte di un servizio pubblico, sui vari mezzi di comunicazione, finalizzato a formare la coscienza e le conoscenze dei cittadini, in modo da renderli membri attivi e consapevoli della società in cui viviamo.
Solo possedendo queste conoscenze diffuse, generali, non limitate a specifiche competenze tecniche, possiamo vivere pienamente come esseri umani e non come “mezzi” del sistema produttivo.
Cosa fare per cambiare?
Oggi ci ritroviamo con una classe dirigente italiana sempre meno formata a livello “umanistico” e molto poco formata alle “conoscenze diffuse” sopra proposte.
Molto improbabile che persone del genere propongano di inserire queste “materie” nei programmi scolastici e fra gli obiettivi del servizio pubblico di informazione.
Ancora meno probabile che una iniziativa del genere parta da imprese private.
L’unica cosa possibile sarebbe chiamare a raccolta gli intellettuali che credono nella funzione fondamentale della conoscenza diffusa per dare pieno compimento alla nostra umanità e, a livello politico, per dare piena attuazione alla Democrazia nel paese.
Queste persone potrebbero dare vita insieme ad un polo universitario, ovvero ciò che per secoli sono state le università in Italia e in Europa: il luogo in cui si raccoglievano le conoscenze e da cui le conoscenze venivano diffuse.
Questo polo universitario potrebbe attuare delle iniziative di diffusione della conoscenza diffusa ed alimentare, culturalmente parlando, i mezzi di comunicazione di massa.
Solo quando la consapevolezza dell’importanza di una formazione culturale ampia sarà diffusa nel paese si potrà pensare che questo venga fatto attivamente anche dalle autorità pubbliche.
Potremo così arrivare alla meta, all’amata Itaca di una società “veramente umana” come tutti desideriamo.
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