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Migranti, la Corte UE scavalca i governi: che senso ha la Democrazia?

Una sentenza della Corte di Giustizia UE dà ai giudici nazionali il potere di bloccare i rimpatri, scavalcando le decisioni del governo sui “Paesi sicuri”. Un duro colpo per il Protocollo Albania e la sovranità. Scopri le implicazioni di questa decisione.

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La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso una sentenza che, ad essere moderati, solleva forti perplessità e accende il dibattito sulla delimitazione dei poteri tra politica e magistratura, in particolare riguardo alla gestione dei flussi migratori.

La decisione, emessa su richiesta del Tribunale di Roma, stabilisce che spetta ai giudici nazionali l’ultima parola sulla designazione dei “Paesi sicuri” per il rimpatrio dei migranti, anche qualora tale designazione sia stata fatta tramite atto legislativo da uno Stato membro. Praticamente le decisioni di un governo democraticamente eletto, e quindi degli elettori, non valgono nulla nei confronti di una persona che non ha nessuna legittimazione, se non aver vinto un concorso pubblico.

Questo pronunciamento è stato accolto con reazioni contrastanti, ma ha soprattutto generato una forte irritazione da parte del governo italiano.

Dettagli della sentenza e implicazioni pratiche

Andiamo nel dettaglio della decisione per capirne cosa ne discende:

  • Controllo Giurisdizionale Effettivo: La Corte ha affermato che la designazione di un Paese come “sicuro” deve essere soggetta a un “controllo giurisdizionale effettivo” da parte del giudice nazionale. Questo implica che i giudici devono poter controllare la conformità delle designazioni con il diritto comunitario e che le fonti utilizzate per classificare le nazioni di provenienza devono essere note sia a loro che ai migranti.
  • Sicurezza per Tutta la Popolazione: Un Paese non può essere designato come sicuro se non lo è per la totalità della sua popolazione o del suo territorio, anche in presenza di categorie di persone chiaramente identificabili. Questo criterio, secondo alcuni, renderebbe quasi impossibile trovare nazioni in cui effettuare rimpatri. Neanche in Italia sarebbe possibile rimpatriare un italiano emigrato illegalmente all’estero, perché non è assicurata la sicurezza in tutto il territorio
  • Contesto del Ricorso: La sentenza è scaturita dal ricorso di due cittadini bengalesi soccorsi in mare e trasferiti in Albania, la cui richiesta di protezione internazionale era stata respinta perché il Bangladesh era considerato sicuro. Il Tribunale di Roma non aveva convalidato il trattenimento, ritenendo il Bangladesh non sicuro, e si era rivolto alla Corte Ue per chiarimenti. È paradossale, come sottolineato, che il Bangladesh sia nella lista dei Paesi sicuri stilata sia dall’Italia che dalla Commissione UE, ma il giudice nazionale possa disattenderla.
  • Effetti sul Protocollo Albania: Il pronunciamento ha un impatto diretto sul protocollo Italia-Albania e, più in generale, sulle politiche di rimpatrio accelerate. Per la maggioranza, ciò renderà le espulsioni praticamente impossibili, a meno che l’UE non anticipi il cambio di rotta previsto per luglio 2026 con l’entrata in vigore del nuovo Patto su immigrazione e asilo, che contiene regole più stringenti. Nonostante la sentenza, il governo ha ribadito che i centri in Albania continueranno a funzionare come CPR, ma il rischio è che ogni trasferimento venga contestato.

Maggioranza infuriata, ma non serve

La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha espresso amarezza e sorpresa, definendo la decisione una “indebita invasione di campo” che “riduce ulteriormente i già ristretti margini di autonomia dei governi e dei parlamenti nell’indirizzo normativo e amministrativo del fenomeno migratorio”.

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha aggiunto che il sistema d’asilo attuale, fondato sulla Convenzione delle Nazioni Unite del 1951, “non regge più” ed è “strumentalmente utilizzato” per l’immigrazione permanente, e che la sentenza accentua questa anomalia. Ha sottolineato che se i giudici possono prevalere sulle scelte politiche, è un problema per tutti.

Anche il Vicepremier Matteo Salvini ha parlato di “sentenza politica, scandalosa, vergognosa e imbarazzante”, che “cancella la sovranità nazionale”. Sara Kelany di Fratelli d’Italia ha criticato la delega delle politiche migratorie al potere giudiziario come “assurdità antidemocratica”.

Tutto questo sono solo però proteste inutili, se non si prende atto che senza la cancellazione di giurisdizioni sovrannazionali si può tornare alla vera  democrazia, con una legittimazione popolare vera e completa. Però non sembra che molti abbiano il coraggio di percorrere questa strada, di riprendere i poteri delegati a organi che li stanno gestendo male, come conferma la vicenda dei dazi di Trump.

Un’Istituzione da cui Uscire?

La polemica si sposta sulla questione più ampia della sovranità politica.a Corte Ue, e più in generale la magistratura (nazionale ed europea), sta rivendicando e acquisendo sempre più potere, trasformandosi in un “contropotere” o un “nemico interno” che si sostituisce ai governi democraticamente eletti nel definire politiche cruciali come quelle migratorie.

La crescita dei poteri della Corte è avvenuta “per diritto”, senza nessuna votazione, ma solo perché la corte era inclusa nei trattati europei. Nessuno l’ha esplicitamente approvata, ce la siamo trovata quasi per diritto divino, calata dal cielo. Nulla è più antidemocratico di questo atteggiamento, e forse è proprio il momento di ripensare tutto, a partire dai trattati stessi.

Se la democrazia è la scelta legittima di un programma politico, in Europa questa non esiste più, perché ci sarà sempre un giudice a Berlino, Roma o Bruxelles, che ne impedirà l’esecuzione in nome di proprie priorità, spacciate per quelle della legge, ma non quella votata dal popolo. Una legge che deriva da trattati internazionali decisi senza legittimazione popolare, da enti superiori che, appunto, agiscono come i Re Assoluti, per illuminazione divina, o per l’interesse di gruppi superiori.

Alla fine oltre 200 anni di lotte democratiche sono state cancellate da un giudice, il tutto, ovviamente, sotto gli scroscianti applausi della sinistra. 

 


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