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Usa 2016: è il neoliberismo il grande sconfitto.

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“Il neoliberismo non rappresenta l’inveramento della dottrina liberale, ma piuttosto la sua perversione” (L.Gallino)

Il messaggio è chiaro, l’ha capito anche il mainstream, che pure sembra un po’ duro di comprendonio, ad analizzare l’inattendibilità dei sondaggi e dei pronostici.

La vittoria di Donald Trump rappresenta una presa di coscienza, una volontà di riscatto da parte del cittadino medio, del popolo, la principale vittima della crisi che da troppo tempo attanaglia l’economia globale. Troppo lunga per considerarla una crisi, si tratta piuttosto di una ridefinizione dell’assetto collettivo, che mira a creare un nuovo equilibrio socio-economico, passando necessariamente attraverso lo svuotamento del concetto di democrazia.

Ragionare ancora attraverso le dicotomie classiche di globalizzazione versus protezionismo, progressismo versus conservazione non è solo fuorviante ma alimenta lo stato di caos funzionale al processo di destrutturazione sociale in atto. Il neoliberismo economico – definito da Luciano Gallino come la perversione delle teorie liberali, e non un suo inveramento – ha permeato l’intero tessuto sociale con una potenza straordinaria e inedita. Nata come teoria economica, ha presto valicato i suoi confini. Facendo leva su una massiccia e continua dose di propaganda, invadendo la sfera politica e dell’istruzione, si è presto trasformata in un’ideologia onnipervasiva.

La teoria originaria di base può essere riassunta in pochi e semplici assiomi noti a tutti: i mercati si autoregolano; il denaro affluisce dove ha la massima utilità; ogni rischio economico è calcolabile. Perché questo sistema funzioni è sufficiente una crescita costante del Pil alimentata e finalizzata a una crescita costante dei consumi, per indurre i quali è fondamentale la macchina sempre in moto della Propaganda.

La contaminazione della teoria dell’istruzione è stato un passaggio consequenziale e necessario affinché l’individuo acquisisse competenze tali da divenire un agente razionale e produttivamente utile. Per quanto riguarda poi l’adozione del pensiero liberista nella sfera politica, si è operato per analogia: come il mercato, la società tende spontaneamente a un ordine naturale, quindi occorre eliminare ogni interferenza dello Stato.

In men che non si dica, lavorando in modo incessante, il dogma neoliberale, farcito di propaganda progressista e portatore delle cosiddette istanze “modernizzatrici”, è stato interiorizzato dalla collettività. Così è accaduto che l’indebolimento dei diritti del lavoro, delle tutele sociali, delle garanzie collettive, in una sola parola, lo svuotamento della democrazia, è stato accettato come condizione naturale al funzionamento del sistema.

donald Il sistema deve essere sfuggito di mano anche alle menti creatrici; la rimozione di ogni limite che potesse interferire allo sviluppo naturale dei mercati e delle società ha creato un equilibrio che, per funzionare, ha bisogno del caos e del paradosso. Tanto paradossale da consentire che a fronte di un’economia reale, legata alla produzione e al lavoro umano sempre più morente, si creasse il molok dell’economia finanziaria, sempre più crescente e inglobante. In questo caos senza sorveglianti la finanza, nata come strumento per sostenere l’economia di produzione, ha preso il dominio e l’ha fagocitata.

Attraverso la rimozione dei limiti preesistenti (in particolare, il Glass Steagall Act introdotto dopo la crisi del ’29 e rimosso dal democratico Bill Clinton) la finanza ha avuto uno sviluppo incontrollato, la cui potenza ha travolto e ridisegnato l’intero sistema. Quel gioco di scatole cinesi e incastri, noto come finanza-ombra, ha reso il sistema finanziario mastodontico, complesso e troppo opaco per essere monitorato.

Si tratta di un modello di sviluppo insostenibile, perché basato sulla speculazione e non sulla produzione di beni o servizi, che non è in grado di redistribuire ricchezza ma solo di accentrarla nelle mani di pochi, pochissimi. Paradossalmente trova nel caos e nella povertà terreno fertile, in quanto proprio la speculazione su debiti e sofferenze è la sua linfa vitale. Il suo funzionamento è regolato da meccanismi complessi, artificiosi, che si basano sull’applicazioni di modelli della fisica e della cibernetica. Nulla di più lontano dal cittadino medio e dall’economia reale, appannaggio di potenti lobby finanziarie che muovono le trame del sistema e di cui la politica è diventata portavoce.

 

Questi potenti gruppi di potere, che possono essere identificati nelle grandi banche d’affari ed hedge fund mondiali – sempre tenendo conto degli intrecci e delle opacità che rendono difficile personificare – erano tutti apertamente schierati per Hillary Clinton. Bastava poi dare una sbirciata alle donazioni ricevute dalla sua “Fondazione di beneficienza” da parte dei più grandi colossi finanziari per capire quanto la candidata democratica fosse lontana, e per sua ammissione ormai insensibile, alle esigenze della gente comune.

La distanza e l’inconciliabilità tra mondo della finanza e dell’economia reale è la stessa che si è creata tra l’èlite di chi “governa” e il sistema e il popolo sempre più impoverito, di portafoglio e di democrazia. Così l’America ha scelto l’uomo reale, il tycoon dal ciuffo biondo che ha promesso “prima gli americani”.

Ilaria Bifarini


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