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Se uno vuole morire, deve poter morire; se uno vuole vivere, deve morire

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Indi deve morire. Lo ha deciso un giudice. Quindi deve morire. Ma ci sono un po’ di cose, in questa storia, che dovrebbero inquietare soprattutto la parte “migliore” del nostro Paese e, più in generale, dell’Occidente libero, democratico e progressista. Cose che hanno a che fare con i concetti di scienza e di salute (ma un po’ anche con il “principio” della vita). Vale a dire i due pilastri su cui si fonda – lo abbiamo imparato nel triennio pandemico oramai alle spalle – la nostra evoluta civiltà. Con la nuova “gerarchia delle fonti” propostaci (impostaci) a furia di dpcm, lockdown e green-pass ci hanno resi obbedienti, nell’ordine, alla “scienza” che salva la “salute” che viene prima di ogni “diritto”. In una successione così perentoria e rigorosa che persino gli illustri componenti della nostra Corte Costituzionale hanno dovuto adattarvisi, a dispetto del loro curriculum studiorum.

In cima alla “piramide” delle norme, non ci sono più la Costituzione e le leggi Costituzionali, ma LaScienza e LaSalute. Al punto da legittimare sul piano giuridico, e giustificare sul piano etico, la somministrazione coatta ed erga omnes di un farmaco potenzialmente foriero di effetti collaterali financo letali. Ma ciò è stato ritenuto accettabile stante la necessità di “piegare” qualsiasi altro valore-diritto al “duo” di cui sopra. Nello stesso periodo, ci fu magnificato anche  il principio della “vita”: intesa nel senso (puramente biologico) di sopravvivenza organica: meglio un corpo annichilito, comatoso, derelitto, ma “esistente”, che uno morto.

Così, durante le fasi acute della pandemia, l’imperativo era di non lasciare (giustamente) indietro nessuno. E perciò i sanitari si sono meritoriamente “accaniti” con l’ausilio prima dei più sofisticati ritrovati scientifici (tachipirina e vigile attesa) e poi della tecnologia più innovativa (i ventilatori polmonari). Al fine di insufflare, fino all’ultimo istante, un fiato, foss’anche estremo, nelle membra martoriate di anziani pluri-patologici e oramai condannati dalla malattia.

Dunque, riassumendo: scienza+salute+vita per proteggere la salute dei sani e salvare la vita dei malati. Anche in tardissima età, e al costo del sacrificio di qualunque diritto. Un programma per certi versi ammirevole nella sua radicalità pro-life; e anche nella sua superomistica volontà compendiata nella tenaglia scientifico-salutista. Una sorta di road-map per salvaguardare, e prolungare quanto più possibile, l’orizzonte biografico di qualunque moribondo (con o senza il suo consenso). Un’agenda, aggiungiamo, adottata da cima a fondo, e senza alcun tentennamento, soprattutto dall’area “progressista”, di “sinistra” e “dem”, non solo italiana, ma pure europea e americana.

Ebbene, oggi stranamente –  davanti a Indi e alla tignosa volontà di “terminarla” delle toghe inglesi –  questi cultori della vita ad ogni prezzo, tacciono. Un silenzio sepolcrale – mai aggettivo fu più calzante –  è calato sul loro campo largo, sui loro giornali, tra i loro opinionisti. Eppure, siamo in presenza di una bambina che, grazie al contributo della scienza, potrebbe avere salva, foss’anche temporaneamente, la vita e quel poco di salute che le resta. Tuttavia, per la piccola Indi non vale ciò che valeva per gli ottuagenari nel 2020 e nel 2021. E ciò, nonostante i di lei genitori – fino a prova contraria gli unici a potersi pronunciare in uno Stato civile degno di questo nome – stiano provando in tutti i modi a fare esattamente ciò che veniva predicato non solo come possibile, ma addirittura come sommamente doveroso, giusto un paio di anni  fa.

Ma non c’è verso: l’unica che si batte come un leone per far sopravvivere Indi (la quale,  a sua volta, non vuol proprio rassegnarsi a morire da sola) è una “fascista” premier di un governo di “destra”. Che buffo. Avevamo capito che  la conservazione della vita biologica purchessia fosse un valore non negoziabile propugnato dai dem, dai progressisti, dalla sinistra. Persino a costo di lasciar crepare dei poveri vecchi, nella più disinfettata solitudine, in asettiche strutture, incellophanati con lo scotch, onde evitare che potessero contagiare i loro cari prima di esalare l’ultimo, soddisfatto, respiro.

Poi c’è un’altra faccenda, bizzarra assai, nella vicenda di Indi.  Ha sempre a che vedere con un tombale silenzio, ma riguarda il tema dei “diritti”. La stessa area politica di cui ci siamo occupati poc’anzi, soprattutto nella sua declinazione più radicale, è di una petulanza quasi fastidiosa (ma, ovviamente, anche in tal caso meritoria) nel ricordarci, e nel reclamare a tambur battente, il diritto  “a morire” di chi “vuole” morire. E, dunque, nell’elaborare sofisticati arzigogoli giuridici per giungere, presto o tardi, a una liberalizzazione tout court dell’eutanasia, prendendola larga con il suicidio assistito.

Si badi bene: nulla da eccepire, ci mancherebbe. Abbiamo la fortuna di vivere in un mondo libero, liberale, liberista e libertario dove la chiave è la “volontà” individuale (esigenze di cassa di Pfizer & Co. a parte); ma anche queste ultime sono, pur sempre, libertà commerciale. E, dunque, perché non garantire la “volontà” di chiunque anche in limine vitae? Volontà di morire compresa? Tutto giusto. Forse, però, i genitori di Indi, e magari Indi medesima se potesse esprimersi, avrebbero un suggerimento altrettanto liberale da dare, a questi numi tutelari di ogni volere individuale, di qualsivoglia libertà personale e di tutti i diritti inviolabili: perché – oltre a battervi per la vostra volontà di morire e far morire – non scendete in piazza anche per la nostra volontà di vivere e di far vivere?

Confessiamo che ci verrebbe un sospetto, se non fosse che l’area politica di cui stiamo parlando si è già dimostrata una indefessa paladina della vita, come abbiamo ampiamente dimostrato: e cioè che, sotto sotto, essa covi una leggerissima infatuazione per la morte.

Ad ogni buon conto, la sentenza del giudice inglese – nel migliore interesse di Indi, va da sé – dovrebbe ora, coerentemente, chiudersi con il seguente verdetto: se uno vuole morire deve poter morire; se uno vuole vivere, deve morire.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com


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