Crisi
SE IL PESSIMISMO PER L’ITALIA SIA GIUSTIFICATO
Se fondato, il pessimismo non è un pregiudizio
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Alcuni amici – a proposito della situazione socio-economica italiana e a proposito delle iniziative del nuovo Primo Ministro – mi accusano di un pessimismo talmente radicale da andare oltre “il pessimismo della ragione”. L’accusa è grave. Il pessimismo – che sa tanto di malaugurio – si giustifica se inevitabile, se fondato sui dati di fatto, se frutto della spassionata osservazione della realtà. Se invece supera le indicazioni della ragione, diviene pregiudizio, mania, patologia. E chi vuole essere innanzi tutto razionale deve allarmarsi.
Mentre riconfermo la stima e la gratitudine agli amici che mi hanno criticato, tenterò di esporre le mie ragioni.
L’ottimismo e il pessimismo non riguardano i dati certi. Se sta piovendo, si può soltanto constatare il fatto. Non c’è modo da essere ottimisti o pessimisti, al riguardo. Di questi atteggiamenti si potrà parlare a partire dal momento in cui si esprimono giudizi sul futuro (“Non smetterà almeno fino a domani”), oppure sul presente ignoto (“Questa pioggia favorisce la produzione agricola”, oppure “Questa pioggia sta danneggiando la produzione agricola”). Anche se la distinzione in fondo può essere superata da questa formulazione, che comprende tutti i casi: “Il pessimismo e l’ottimismo si possono manifestare soltanto rispetto ai dati incerti”.
Forse è stato Bertrand Russell che, tanti anni fa, ha affermato che non sempre si può distinguere nettamente il vero dal falso. Vi sono fra loro almeno altre due categorie: la probabilità del sì e la probabilità del no. E, aggiungiamo, la probabilità va da uno zero che corrisponde al no, ad un cento che corrisponde al sì. Il dato incerto, per sua natura, si pone necessariamente nell’ambito della probabilità.
Se gli esiti possibili sono A e B, e le probabilità dell’uno o dell’altro sono ambedue al 50%, dire che finirà bene o male è del tutto arbitrario. E chi dirà l’una o l’altra cosa, si dimostrerà irrazionalmente ottimista o pessimista. Dunque, fra persone ragionevoli, la discussione non dovrà mai essere sull’atteggiamento pessimista od ottimista dell’interlocutore, ma sulle ragioni di quell’atteggiamento.
Per quanto riguarda la nostra nazione, viviamo una crisi che dura da anni e che, invece di avviarsi a soluzione – come proclamano molti politici, dimostrando un intrepido ottimismo della volontà – va aggravandosi. Naturalmente, come dice un bel proverbio siciliano, “buon tempo e cattivo tempo non durano tutto il tempo”. Dunque una volta o l’altra se ne uscirà. Anche il pessimista riconosce che gli esseri umani muoiono, le nazioni no. O almeno, non nel giro di qualche decennio. Dunque l’Italia si riprenderà, ma dal momento che tutto ciò è posto, dogmaticamente, in un incerto e forse lontano futuro, è inutile occuparsene. Un po’ come non ci occupiamo del fatto che dobbiamo morire, pur essendo ciò assolutamente certo.
Riguardo alla nostra realtà, il nostro atteggiamento dovrà essere ottimista o pessimista secondo le probabilità obiettive di una vigorosa ripresa economica. E qui bisogna notare, melanconicamente, che gli amici che mi accusano di eccessivo pessimismo lo fanno non con argomenti a favore delle probabilità positive, ma, per così dire, con l’argomento che “sarebbe troppo brutto pensare il contrario”. Un po’ come quando vorremmo smentire la diagnosi di cancro per una persona cara. Solo perché ci è cara.
Io vado insistendo sui punti seguenti. Se l’Italia fosse un Paese padrone della propria politica monetaria, e non avesse debiti, saremmo autorizzati a sperare in grandi, positivi cambiamenti. Anche per merito di Matteo Renzi. Purtroppo l’Italia ha un debito pubblico tale che, nel caso di un’improvvisa perdita di fiducia delle Borse, rischierebbe gravissime conseguenze: infatti, non potendo manovrare l’euro a piacimento, non può farvi fronte “stampando moneta”. È inserita nell’eurozona e la situazione è tale che se vi rimane agonizza e se ne esce forse agonizzerà ancora di più. Inoltre ha sottoscritto dei trattati, in materia di spesa pubblica, pareggio di bilancio e rientro dal debito, che ne limitano l’azione quasi alla scelta della squadra da mandare ai campionati di calcio. Come se non bastasse, i parametri economici continuano a peggiorare.
In conclusione, non sono severo nei confronti di Renzi, ciò sarebbe il meno: è la situazione che mi rende pessimista. E non serve a niente che qualcuno mi definisca tale, per smentire la tesi. È la tesi stessa, che bisogna smentire. Ricordando che le vaghe speranze non sono seri argomenti. Non serve dire “se il pil aumentasse di tot il rapporto del debito col pil cambierebbe così e così”. Sarebbe come scrivere: “Se non fossimo in crisi non saremmo in crisi”. Chiunque è autorizzato a credere nei miracoli, purché non definisca chi non ci spera un pessimista radicale.
Naturalmente la storia va avanti. Ma nel nostro caso potrebbe “andare avanti” più per un cataclisma economico che per volontà di Renzi.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
22 aprile 2014
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