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“Se 9.194 miliardi di euro vi sembran pochi“ di R. SALOMONE-MEGNA

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Multa facere possumus, sed nolumus (Seneca) (potremmo fare molte cose, ma non vogliamo).

In questo articolo cercheremo di illustrare, con la massima chiarezza possibile, le tante cose che i nostri governanti potrebbero fare per scongiurare la grave crisi economica, che le misure di contenimento dell’epidemia di covid-19 stanno causando, se non avessero le menti affette da dipendenza cognitiva e le coscienze occupate dal verbo neoliberista.

Procediamo con ordine.

Per il Capo del Governo non ci sono le risorse a sufficienza in Italia per fronteggiare l’incipiente recessione e, poiché è originata da una pandemia che coinvolge più di uno stato, è necessario che intervenga l’U.E. con dei provvedimenti economici specifici (dipendenza cognitiva).

In buona sostanza, l’ex avvocato del popolo, Giuseppe Conte, irretito dallo spirito di “solidarietà tra gli stati membri” contenuto nell’articolo 122 del TUEF (Trattato per il funzionamento dell’Unione europea), chiede alla C. E. l’applicazione del comma 2 dello stesso articolo:

L’ articolo 122 TUEF così recita:

“1. Fatta salva ogni altra procedura prevista dai trattati, il Consiglio, su proposta della Commissione, può decidere, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, le misure adeguate alla situazione economica, in particolare qualora sorgano gravi difficoltà nell’approvvigionamento di determinati prodotti, in particolare nel settore dell’energia.
2. Qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere a determinate condizioni un’assistenza finanziaria dell’Unione allo Stato membro interessato. Il presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo in merito alla decisione presa.”

Questo il fatto.

Vediamo ora di capire meglio i motivi per i quali l’Italia deve chiedere aiuto ai soci europei o se ha le necessarie risorse per fare altrimenti. Per questo ci accingiamo ad un viaggio, in verità poco lusinghiero, nella storia patria recente.

In Italia vige quella scelleratezza che si chiama “pareggio di bilancio” (le entrate statali devono compensare le uscite). Abbiamo più volte chiarito in questo sito che questa disposizione è perniciosissima per la nastra Nazione, ma tant’è. Orbene, con l’epidemia che imperversa ci saranno di sicuro minori entrate fiscali, essendo state bloccate la maggior parte delle attività produttive a fronte di maggiori uscite statali, sia per l’emergenza sanitaria sia per gli ammortizzatori sociali. Il pareggio di bilancio per l’anno 2020 non sarà conseguito e questo comporterà un maggior indebitamento della pubblica amministrazione, causando quello che si chiama deficit (termine che sempre sia aborrito e vituperato ndr).

Ma fare più deficit è vietato dal Patto di bilancio europeo, meglio conosciuto come Fiscal Compact, che i lungimiranti governanti italiani, con a capo Mario Monti, hanno approvato il 27 febbraio 2012.

Con il Fiscal Compact l’Italia rinuncia non solo a qualsiasi possibilità di nuovo indebitamento, avendo inserito il pareggio di bilancio in Costituzione, ma si impegna anche a rispettare il parametro di Maastricht del rapporto debito/PIL pari o inferiore al 60%, ricordando che il debito è la somma di tutti i deficit degli anni pregressi. Questo rientro deve avvenire, proprio come si fa per i normali mutui immobiliari, in venti anni. Questo impegno ammonta a ben 67 miliardi di euro.
Vorremmo ricordare ancora che l’Italia non ha mai rispettato il parametro del 60%.

In ogni caso, quando l’Italia ha aderito alla moneta unica, aveva un rapporto debito-PIL del 120%, ma non fu ritenuta condizione ostativa per l’ingresso, anche perché secondo i trattati di Maastricht erano limiti ordinatori e non perentori. Tali limiti sono diventati perentori con la sottoscrizione del Fiscal Compact, che è un accordo intergovernativo e non una modifica del trattato di Maastricht,

Nel 2019 il deficit è stato di circa 39 miliardi e quindi, per ottemperare all’impegno assunto da Mario Monti, complici PD e Forza Italia, nel 2020 dovremmo recuperare 67+39= 106 miliardi di euro tra tagli e nuove imposte. Questi tagli devono essere strutturali, permanenti, poiché dovranno essere operati nell’arco di un ventennio. Per dare un’idea della sua mostruosa entità ricordiamo che lo scorso anno tutto il bilancio della pubblica amministrazione, interessi passivi compresi, è stato pari a 868 miliardi di euro e 106 miliardi sono un ottavo di questa spesa pubblica. E’ un impegno insostenibile al pari dei danni che furono imposti alla repubblica di Weimar, con la differenza che gli italiani non hanno perso alcuna guerra!

Nonostante i tagli, quel rapporto aumenta, così come è puntualmente avvenuto in Italia dopo più di nove anni di riforme, sacrifici ed austerità imposta. Questo è quello che si chiama la trappola del debito in cui ci hanno precipitato i vari Andreatta, Prodi, Amato, D’Alema, Monti, Letta che alla storia passeranno come i sicari dell’economia italiana.

In ogni caso, sino ad oggi i vari governi che si sono succeduti dopo Monti hanno cercato con alacrità di ridurre il deficit.

Tuttavia, il deficit non ancora è stato azzerato, perché l’Italia ha usufruito della cosiddetta flessibilità concessa dalla UE rispetto agli OMT (obbiettivi di medio termine), bontà loro, essendo insorte negli anni cause esogene come eventi sismici e migrazioni di massa. Ogni anno, a cagione del Fiscal Compact, sul quale il popolo italiano si sarebbe dovuto esprimere, e sotto il ricatto delle agenzie di rating, il governo di turno deve pietire la percentuale di deficit consentito.

In poche parole, dovendo ridurre la massa debitoria e non contrarre nuovi debiti per l’anno in corso, volendo utilizzare un francesismo, siamo fottuti.

Ma veramente siamo gli accattoni dell’Europa ed abbiamo bisogno degli aiuti degli altri paesi per andare avanti? Io credo di no e lo affermo con dati di fatto facilmente verificabili.

Come riportato in un precedente articolo, l’Italia è un paese virtuoso avendo accumulato più di venti anni di avanzo primario consecutivi. Nel 2019 la differenza tra entrate ed uscite è stata di circa 23 miliardi di euro. Per essere maggiormente chiaro, lo stato ha incassato più di quanto ha speso. Nel nostro discorso non possiamo dimenticare le esportazioni, tanto care a questa UE mercantilistica. L’Italia è la seconda potenza manifatturiera d’Europa.

Sempre lo scorso hanno abbiamo avuto un saldo commerciale positivo di quasi 53 miliardi di euro (https://www.esteri.it/mae/resource/doc/2020/03/tabella_1__interscambio_commerciale_dellitalia.pdf).

Ma gli italiani sono poveri in canna? Niente affatto, le famiglie italiane stanno messe molto bene. Al 2017, ma la situazione è cambiata di poco, la ricchezza netta delle famiglie italiane ammontava, secondo l’ufficio statistica della Banca d’Italia, avendo detratto le passività finanziarie, a 9194 miliardi di euro. Di questa somma 4374 miliardi sono gli assets immediatamente liquidabili , come depositi bancari, titoli di stato, azioni, oro (https://www.bancaditalia.it/statistiche/tematiche/conti-patrimoniali/ricchezza-famiglie/index.html).

In buona sostanza, le famiglie italiane possono comprare quasi tre volte tutta la ricchezza prodotta dalla Germania nel 2019, atteso che il suo PIL ammonta a 3388 miliardi di euro.

In conclusione, l’Italia è un paese virtuoso che non spreca (avanzo primario), che produce (avanzo commerciale), che risparmia (ingente ricchezza delle famiglie) e non ha eguali in Europa. L’unico problema è che un’intera classe politica ci ha gettato consapevolmente in mano agli strozzini internazionali, per una delle più grandi depredazioni della storia dell’umanità!

Non siamo i paria dell’U.E. e questo deve essere ben chiaro a chi ha l’onore ed il privilegio di rappresentare gli italiani nei consessi internazionali.

Sì, tutto bene, ma si dirà: “c’è l’ingente debito pubblico”. Vediamo di fare chiarezza anche su questo punto. Innanzitutto come si è creato e chi lo detiene.

La causa dell’elevato debito pubblico, attualmente di 2.400 miliardi, sta nel fatto che negli ultimi trenta anni lo Stato italiano ha pagato più di 3.000 miliardi di interessi.

Infatti, come in precedenza detto, l’Italia non ha deficit commerciali e l’amministrazione pubblica incassa più di quanto spende. Il problema è quindi ridurre il costo degli interessi sul debito ad un livello pari o inferiore all’inflazione, come accade in Gran Bretagna, Stati Uniti, Giappone, Cina o come si faceva anche in Italia fino al 1981.

Ipoteticamente potremmo evitare di indebitarci?

No, perché nel sistema monetario europeo tutta la liquidità che è messa in circolo deve essere contabilizzata come debito. Così è scritto all’art. 123 comma 1, di seguito riportato, del già menzionato TUEF.

Non è possibile far crescere l’economia e non è possibile che le famiglie accumulino risparmi senza iniettare nuova liquidità e per fare questo lo stato si deve indebitare.

Detto ciò, il settore bancario dell’Eurozona detiene quasi la metà del debito pubblico italiano e precisamente: la BCE 200 miliardi, la Banca d’Italia 275 miliardi e le banche commerciali 650 miliardi. Le banche italiane detengono questa importante fetta del debito pubblico, poichè la BCE non può per statuto finanziare direttamente i singoli stati , essa crea moneta dal nulla, detta moneta fiat, che presta alle banche commerciali, affinché acquistino i titoli di stato.

La restante metà del debito pubblico è detenuta dalle famiglie italiane, dai fondi pensione e assicurativi e da soggetti non residenti. Questi titoli di debito sono stati sottoscritti facendo ricorso al risparmio privato, cioè a moneta che esisteva ancora prima dei titoli acquistati.

In base a quanto detto, la metà del debito pubblico non è altro che la liquidità in circolazione in Italia, quella che consente gli scambi di beni e servizi e la formazione del risparmio delle famiglie e senza la quale non avremmo un’economia monetaria, ma dovremmo ricorrere al baratto. Questa parte del debito pubblico, quindi, non va restituito.

Per esemplificare al massimo: l’Italia si comporta come una famiglia che, pur avendo ingenti disponibilità economiche , si rivolge agli strozzini per i propri bisogni.

Cosa potrebbero fare i nostri governanti per farci uscire da questo girone infernale posto in essere per depredare l’Italia?

L’intervento che va operato sul debito non è la sua riduzione, ma la sua sostituzione con strumenti che, pur inserendo liquidità nel sistema, non rappresentino debito.

La domanda interna potrebbe essere sostenuta con strumenti di pagamento non-debito quali, ad esempio, i certificati di credito fiscali (CCF) non convertibili ( vedi Alberto Micalizzi https://albertomicalizzi.com/2018/02/21/strategia-di-uscita-dal-debito-pubblico-parte-2/).

La pubblica amministrazione non assume l’impegno di conversione in Euro dei titoli, ma si limita ad accettarli in riduzione degli importi dovuti alla stessa pubblica amministrazione, per il regolamento di imposte e tasse future. Si tratterebbe di una moneta fiscale e l’Eurostat assicura che tali strumenti non vanno conteggiati nel debito della pubblica amministrazione.

Altra operazione che si potrebbe fare, perché consentita dai trattati europei, è ricorrere ad una banca pubblica, affinché acquisti i titoli di debito, come fa la Germania con la KfW , acronimo di Kreditanstalt für Wiederaufbau (lstituto di Credito per la Ricostruzione).

Si potrebbe far diventare la “Cassa depositi e prestiti” una banca pubblica che avrebbe i soldi in prestito ad interesse negativo dalla BCE onde successivamente acquistare i titoli di stato italiani con un duplice innegabile vantaggio: gli interessi lucrati resterebbero nel bilancio statale ed intervenendo alle aste del Tesoro potrebbe esercitare un’azione calmierante sugli interessi di aggiudicazione.

Per gli increduli riportiamo quanto stabilisce il TUEF.

Articolo 123 TUEF

“1. Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate “banche centrali nazionali”) ad istituzioni, organi od organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali.

2. Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell’offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati.”

Altra operazione non meno importante di uscita dal ricatto del debito e dei mercati finanziari sarebbe la riduzione della componente di titoli sottoscritti da soggetti non-residenti a vantaggio di quella dedicata alle famiglie ed ai fondi pensione italiani, favorendo la funzione di accumulo del risparmio svolta dal debito pubblico. Nessuna emissione di BTP trentennali o decennali, voluti da Carlo Azelio Ciampi, titoli eminentemente speculativi, ma strumenti finanziari pensati prevalentemente per le famiglie italiane, che hanno certamente le risorse sufficienti per sottoscriverli.

Sicuramente le banche non sarebbero felici e neanche le compagnie di assicurazioni, ma l’epidemia di coronavirus ci fornisce l’opportunità per queste scelte. Sempre che non ci sia dipendenza cognitiva ed occupazione delle coscienze dei nostri governanti.

Multa facere possumus, sed nolumus . Speriamo che Seneca questa volta sbagli.

Raffaele SALOMONE MEGNA


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