Ripubblichiamo un chiarissimo articolo di Jacques Sapir del 2012, ma sempre attuale, che dati alla mano dimostra come il “Più Europa” sia solo un castello in aria per sognatori…
di Jacques Sapir, 10 novembre 2012
Ora sull’ipotesi “Federale” si sprecano fiumi di inchiostro. E’ presentata come “la” soluzione alla crisi dell’euro, le alternative essendo o un drammatico impoverimento dei Paesi “del sud” dell’Euro o un crollo dell’eurozona [1]. Alcuni non esitano ad aggiungere che quest’ipotesi era già implicita nelle imperfezioni oggi riconosciute della zona euro [2] . Tuttavia, non sembra che si abbia una reale comprensione di ciò che comporta la formazione di una “Federazione europea”, in particolare dal punto di vista dei flussi di trasferimento.
Per contro, cominciamo a sentirne lo stress, e in particolare l’abbandono della sovranità fiscale. La volontà della Germania di sottoporre i bilanci a una decisione preventiva di Bruxelles, naturalmente, va in questo senso [3] .
In realtà, passare al “federalismo” implica che le politiche fiscali degli Stati membri della Federazione siano controllate dal governo “federale”, in questo caso, nella situazione attuale, dalla Commissione Europea. Ma, “il federalismo” implica anche notevoli trasferimenti di bilancio che esistono altrove negli Stati federali, sia in Germania, che negli Stati Uniti, in Brasile o in Russia. Il presidente russo Vladimir Putin ha d’altronde posto perfettamente la questione, in una discussione tra esperti internazionali che abbiamo avuto con lui, sottolineando che il passaggio a una moneta unica tra paesi molto eterogenei comporta ingenti flussi di trasferimenti [4]
I. Il livello di eterogeneità all’interno dell’eurozona
Tre gli elementi utilizzati per misurare il livello di eterogeneità nella Zona Euro. Il primo è senza dubbio l’aumento cumulativo della produttività del lavoro nei diversi paesi. I livelli di partenza erano già molto diversi, con scarti da 1 a 3, e la Germania e la Francia avevano una produttività molto elevata nel 1998. Logicamente, gli altri paesi avrebbero dovuto recuperare il livello di produttività. Notiamo che questo era accettabile per la Grecia [5], almeno fino al 2008, e per l’Irlanda, ma sicuramente non per l’Italia. Spagna e Portogallo hanno mantenuto il divario che questi paesi avevano con la Francia e la Germania. La creazione della zona euro non ha portato a una generale convergenza delle economie e le differenze nella produttività del lavoro sono rimaste o peggiorate, nel caso dell’Italia.
Ma un altro fattore deve essere preso in considerazione, è l’inflazione indotta dai salari nel lungo periodo. Le differenze qui sono molto importanti. In una situazione “normale” avrebbero potuto essere corrette da svalutazioni, cosa vietata dall’appartenenza ad una moneta unica. Nel 2010, il divario tra la Grecia e la Germania era del 50%. Tende a diminuire a seguito della drammatica politica economica attuata in Grecia, ma la conseguenza è stata di precipitare il paese in una depressione estremamente violenta. La Spagna, che ha mantenuto il suo gap di produttività con la Germania, ha visto la sua inflazione salariale accumulare uno scarto del 25% con quest’ultimo paese, come la Francia del resto. L’Italia, dove l’inflazione da salari era la più bassa in confronto con la Germania, mostra uno scarto del 12%, cui va aggiunto, per misurare il divario di competitività, il ritardo accumulato nella produttività.
Come possiamo vedere, la combinazione dei guadagni cumulativi di produttività e del movimento di inflazione dei salari, si traduce in una conseguente divaricazione delle differenze di competitività. Infatti, la differenza tra i tassi di inflazione all’interno di una moneta unica si riferisce all’esistenza di tassi strutturali di inflazione diversi tra i paesi, dettati dalle strutture economiche di questi paesi. Contrariamente all’opinione prevalente, l’inflazione non è principalmente un fenomeno monetario. Infatti, se fosse così, avendo la stessa politica monetaria nel quadro della moneta unica, il tasso di inflazione sarebbe stato lo stesso. L’esistenza di diversi livelli strutturali di inflazione tra i paesi [6] implica o di tornare alla flessibilità del tasso di cambio (svalutazioni regolari) o a dei flussi di trasferimenti.
Ma dobbiamo anche tener conto di un terzo fattore. La competitività tedesca non è solo il prodotto dei guadagni di produttività e di una bassa inflazione. E’ dovuta anche a una migliore qualità dei prodotti, alla capacità di “una maggiore varietà”. Questo può essere misurato confrontando la spesa per ricerca e sviluppo (R&S), sia pubblica che privata. Qui il divario con i paesi del “sud” dell’eurozona è regolare e importante sul lungo periodo.
È chiaro che questa differenza ha delle conseguenze sugli aumenti di produttività. È inoltre possibile includere le differenze in termini di formazione del lavoro e di livello di istruzione di una classe di età. Nel 2010, il numero di giovani con un basso livello di istruzione inferiore al 2 ° ciclo dell’istruzione secondaria eradel 14% della fascia di età in Germania, del 29% in Francia, del 45% in Italia, del 47% in Spagna [7]. La spesa per gli studenti universitari era di € 15.711 (in media) per la Germania, 14.642 € in Francia, ma solo 9.562 € in Italia [8].Questo indica chiaramente la natura degli sforzi che dovrebbero essere fatti in un quadro federale perché i diversi paesi del ‘”sud” possano colmare il loro divario con la Germania.
II. L’importanza dei trasferimenti
I trasferimenti che si calcolano qui riguardano solo quattro paesi (Grecia, Portogallo, Spagna e Italia), e non includono gli aiuti comunitari già esistenti. Il primo punto consiste nel calcolare lo scarto accumulato in 10 anni nel campo della R&S. Questo divario ammonta, in percentuale del PIL, per ciascun paese, a :
A questo va aggiunto la deviazione annuale (nel 2010):
Se calcoliamo un recupero su 10 anni, questo implica un trasferimento annuale dai paesi del “nord”, calcolato in punti percentuali del PIL di ciascun paese, per recuperare lo scarto accumulato in spesa per R&S :
Il secondo punto importante consiste nel permettere a questi paesi di recuperare nei loro sistemi di istruzione. Le spese necessarie per ridurre il numero di giovani che abbandonano la scuola con un livello più basso del 2 ° ciclo di istruzione secondaria, sono stimate, ancora in punti di PIL del paese, a:
Il terzo punto è quello di stabilizzare la domanda in questi paesi, perché altrimenti gli sforzi nel campo della R&S e nel campo dell’educazione non serviranno a nulla. Questa stabilizzazione della domanda può passare attraverso la ristrutturazione o costruzione di infrastrutture, ma anche sostenendo la domanda di alcune categorie della popolazione. Calcolate in punti percentuali del PIL di ciascun paese, queste spese ammontano annualmente, per un periodo di dieci anni, a :
Se sommiamo queste spese, da finanziare mediante trasferimenti di bilancio dai paesi del “nord” della Zona Euro, si arriva al totale seguente, che ricordiamo è la cifra annuale calcolata sulla base di un recupero in 10 anni degli scarti di questi diversi paesi:
Il totale ammonta quindi a € 257,71 miliardi di euro all’anno. Questo non è il totale di tutti i trasferimenti (vi sono le esigenze di altri paesi), e non comprende il contributo comunitario (che è un costo netto per paesi come la Germania e la Francia), ma copre solo i bisogni necessari perché la zona euro possa sopravvivere, al di fuori dei bisogni finanziari immediati, che già implicano un significativo contributo di Germania e Francia.
Quali sarebbero i contribuenti ?
La Francia non potrebbe contribuire perché anch’essa dovrebbe finanziare il suo sforzo per la ripresa, dell’ordine dall’ 1,5% al 2% del PIL. Il finanziamento dei trasferimenti quindi dovrebbe essere basato su Germania, Finlandia, Austria e Paesi Bassi. Questo suggerisce che la Germania dovrebbe sopportare il 90% del finanziamento di questi trasferimenti netti, ossia tra i 220 e i 232 miliardi di euro all’anno (pari a un totale dai 2.200 ai 2.320 miliardi in dieci anni), tra l’ 8 % e il 9% del suo PIL. Altre stime danno dei livelli ancora più alti, che raggiungono anche il 12,7% del PIL [9].Noi crediamo che la nostra stima sia comunque più realistica. Nondimeno resta un livello impossibile da finanziare per la Germania, a prescindere dalla volontà di farlo.Pertanto, siamo in grado di comprendere la strategia della Merkel che cerca di ottenere un diritto di controllo sui bilanci degli altri paesi, ma si rifiuta di prendere in considerazione un’”unione di trasferimento”, che sarebbe d’altra parte la forma logica che dovrebbe assumere una struttura federale per la zona euro.
E’ quindi necessario trarre da queste considerazioni tutte le dovute conseguenze: il federalismo non è possibile ed è inutile discutere sul fatto se sarebbe una soluzione buona o cattiva. Non rimangono che due possibilità: o il rapido esaurimento dei paesi del “sud” della Zona Euro, con conseguenze politiche estremamente spiacevoli che potrebbero portare alla messa in discussione della stessa Unione Europea, o la dissoluzione dell’eurozona per consentire gli aggiustamenti necessari, senza dover ricorrere a massicci trasferimenti.
Note:
[1] Patrick Artus, Trois possibilités seulement pour la zone euro, NATIXIS, Flash-Économie, n°729, 25 octobre 2012.
[2] Michel Aglietta, Zone Euro : éclatement ou fédération, Michalon, Paris, 2012.
[3] Vedere la dichiarazione di Mme Merkel il 7 novembre, les Echos, URL :http://bourse.lesechos.fr/infos-conseils-boursiers/actus-des-marches/infos-marches/merkel-veut-des-mesures-ambitieuses-pour-la-zone-euro-82425
[4] Jacques Sapir, “La diplomatie russe, entre Asie et Euro(pe)”, billet publié sur le carnet Russeurope le 27/10/2012, URL: http://russeurope.hypotheses.org/390
[5] Smentita clamorosa per tutti quelli che credono che la Grecia sia fatta solo da “raccoglitori di olive”…
[6] Jacques Sapir, Inflation monétaire ou inflation structurelle ? Un modèle hétérodoxe bisectoriel, Working paper, juin 2012, http://russeurope.hypotheses.org/61
[7] OCDE, Regards sur l’éducation, Paris, 2012.
[8] Idem, chiffre pour 2009.
[9] Patrick Artus, « La solidarité avec les autres pays de la zone euro est-elle incompatible avec la stratégie fondamentale de l’Allemagne : rester compétitive au niveau mondial ? La réponse est oui », NATIXIS, Flash-Économie, n°508, 17 juillet 2012.