Attualità
Sanità a confronto: Italia vs USA (di Valerio Franceschini)
In Italia la parola “pubblico” coincide spesso con “mala gestio” della “res publica”. E così, ecco che la mente naviga verso quei Paesi, come gli Stati Uniti, in cui gli ospedali splendono di luce propria e pagano a peso d’oro le eccellenze della medicina perché basati su un sistema “privatistico”; ma non è tutto oro quello che ci viene propinato.
Vediamo alcuni aspetti pratici per grandi linee.
Sanità USA: se sei assicurato ti curi, altrimenti……
Negli Stati Uniti, così come in molti altri Paesi americani, il sistema sanitario è prevalentemente in mano ai privati. Per ricevere prestazioni mediche bisogna avere stipulato una polizza di assicurazione con una compagnia assicurativa privata. Gli unici programmi assistenziali pubblici sono il Medicare, rivolto agli over 65 e indipendente dal reddito, e il Medicaid, che aiuta le fasce di popolazione sotto la soglia di povertà, che in USA ammonta a 11.500 dollari annui).
Chi non rientra nelle suddette fasce deve stipulare una polizza. Fin qui sembra semplice e logico: chi ha un reddito decente stipula un’assicurazione e il gioco è fatto. In realtà dietro questo sistema apparentemente perfetto si celano moltissime anomalie, a partire dai costi delle polizze che variano di Stato in Stato e chi non ha la fortuna di lavorare in un’azienda che copre tutti o parte dei costi assicurativi, può arrivare a pagare anche 600 dollari al mese. Alcune polizze, soprattutto quelle di base, coprono le spese mediche solo a partire da una certa cifra, mentre quelle più costose danno enormi vantaggi e assicurano trattamenti d’eccellenza.
Accade inoltre che in caso di determinate patologie congenite, ma anche di soggetti con comportamenti ad alto rischio di malattie (vedasi i fumatori cronici) l’assicurazione si rifiuti di stipulare la polizza o chieda premi assicurativi con cifre da capogiro. Di importanza rilevante, poi, è da considerare che il cittadino che ha ricevuto cure e prestazioni deve anticipare quanto fatturato da medici ed ospedali in attesa che l’assicurazione provveda al rimborso delle prestazioni.
Capita quindi che un ragazzo che ha deciso di andare a vivere da solo e che si mantiene con lavori saltuari decida di non stipulare un’assicurazione privata (i casi documentati sono tantissimi) così come anche un padre di famiglia in momentanea crisi di liquidità può decidere, magari temporaneamente, di fare a meno dell’assicurazione sanitaria. Sperando, però, che la salute assista lui ed i suoi cari, perché un ricovero potrebbe costargli molto caro. Ad esempio nel caso di una semplice appendicectomia si arrivano a pagare 30 mila dollari, che possono salire a 85 mila per un trauma da incidente stradale. Un parto gemellare prematuro genera una fattura di 150 mila dollari, un infarto arriva invece a costare fino a 180 mila dollari, e una semplice visita di controllo dal pediatra può costare circa 400 dollari.
Questo sistema negli anni ha generato lobby e non ha fatto risparmiare un granché allo Stato visto che, come spiega una ricerca pubblicata nella sezione “Medialab” su un importante testata giornalistica italiana, gli USA hanno una spesa sanitaria statale più alta (il 19,9% rispetto al totale della spesa pubblica) di altri Stati Europei quali Germania, Francia e Italia (14,4%).
In Italia
Wikipedia definisce il Sistema Sanitario Nazionale italiano come un sistema pubblico di carattere “universalistico”, di uno Stato sociale che garantisce l’assistenza sociale a tutti i cittadini, finanziato dallo Stato stesso attraverso la fiscalità generale e le entrate dirette, percepite dalle aziende sanitarie locali attraverso i ticket, cioè delle quote con le quali l’assistito contribuisce alle spese e alle prestazioni a pagamento; forse qualche anomalia derivante dalle attività cosiddette “intramoenia” (o intramuraria), ovvero tutte quelle prestazioni erogate dai medici di un ospedale, al di fuori dell’orario di lavoro, che utilizzano le strutture ambulatoriali e diagnostiche dell’ospedale stesso ovviamente dietro il pagamento di un compenso stabilito dal professionista, e che purtroppo non permette agli operatori sanitari di scindere quello che è business e quello che è una vera e propria mission.
Nel 2000 l’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) lo aveva inserito al secondo posto nella classifica dei migliori sistemi sanitari nazionali al mondo in termini di efficienza di spesa e accesso alle cure pubbliche per i cittadini dopo quello francese. Da precisare che quella classifica destò parecchie critiche sia per la metodologia adottata che per i fattori presi in considerazione. Per questo nel 2010 l’OMS non l’ha aggiornata. Però l’ha fatto Bloomberg nel 2013, collocando l’Italia al 6° posto tra i Paesi con la sanità più efficiente (al primo c’è Hong Kong, seguita da Singapore, Giappone, Israele e Spagna. Gli USA sono solo quarantaseiesimi per il pessimo rapporto spesa/risultato).
Non solo: l’Italia è anche il 4° Paese dell’Europa Occidentale per spesa sanitaria governativa (la prima è la Germania, seguita da Francia e UK), basti pensare che secondo una recente ricerca dell’ISTAT, l’Italia fa registrare tassi di mortalità entro i primi 5 anni di vita tra i più bassi al mondo (3,3 per mille nati).
Per il resto, l’Italia è il secondo Paese più longevo tra quelli OCSE, (vedasi l’alta percentuale di vaccinazione degli anziani contro l’influenza, i quali sono gratuiti, dunque a carico dello Stato, per gli over 65).
E poi, non ultimo per importanza si ricorda che l’Italia vanta luminari della medicina da fare invidia alle piu note serie televisive in ambito medico, e questo è risaputo in tutto il mondo.
Valerio Franceschini
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