Seguici su

Analisi e studi

#SaloneDelLibro La censura nei confronti di libri ed editori nell’Era del neofascismo degli antifascisti (di P. Becchi e G. Palma)

Pubblicato

il

Qui di seguito l’articolo di Paolo Becchi e Giuseppe Palma pubblicato su Libero di oggi, 9 maggio 2019, a seguito dell’esclusione dal Salone del Libro di Torino di un piccolo editore, perchè “fascista”. L’articolo affronta principalmente le questioni giuridiche. Si pubblica la versione integrale:

Il Salone del Libro di Torino è diventato terreno di scontro politico. Il tutto è iniziato con un post su facebook di Christian Raimo, consulente della kermesse letteraria poi dimessosi, che ha redatto una specie di lista di proscrizione con tanto di nomi e cognomi di giornalisti, editori e scrittori che, a parer suo, avrebbero un qualche collegamento coi “neofascismi”, e quindi indegni di partecipare all’evento letterario. L’attenzione si è soffermata soprattutto  sulla partecipazione di Altaforte, la casa editrice che ha pubblicato l’intervista di Chiara Giannini a Matteo Salvini (Io sono Matteo Salvini – Intervista allo specchio). E il responsabile di Altaforte, Francesco Polacchi, ha dichiarato espressamente di essere fascista. Vediamo ora se dichiararsi “fascista”, o pubblicare libri di scrittori fascisti o che elogiano il fascismo, sia vietato dalla legge o costituisca un impedimento giuridico al fare editoria o a partecipare ad eventi e kermesse letterarie.

Il nostro ordinamento punisce “l’apologia del fascismo”, reato previsto dall’art. 4 della Legge Scelba (Legge n. 645/1952), la quale sanziona chiunque “promuova od organizzi sotto qualsiasi forma, la costituzione di un’associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità di riorganizzazione del disciolto partito fascista, oppure – prevede la seconda parte della disposizione – chiunque pubblicamente esalti esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche”. La questione fu oggetto di vaglio da parte della Corte costituzionale, la quale – con sentenza n. 1 del 16 gennaio 1957 – chiarì che “l’apologia del fascismo, per assumere carattere di reato, deve consistere non in una difesa elogiativa, ma in una esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista. Ciò significa che deve essere considerata non già in sé e per sé, ma in rapporto a quella riorganizzazione, che è vietata dalla XII disposizione” transitoria e finale della Costituzione.

In buona sostanza, l’apologia del fascismo – in qualsiasi modo si realizzi (saluto romano, vendita di oggettistica, propaganda,  manifestazioni, pubblicazione di scritti etc) – sussiste solo quando sia dimostrato (oltre ogni ragionevole dubbio, come per qualsiasi reato) il fine concreto della ricostituzione del partito fascista. La Corte costituzionale, nella sua sentenza del 1957, non fece altro che ribadire quanto previsto dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, la quale si limita a vietare “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”.
Tanto più che, come la Corte sottolineò, l’art. 4 della Legge Scelba non poteva produrre effetti che ledessero il principio costituzionale della libera espressione del pensiero (art. 21 della Costituzione).

La questione sembrava definitivamente risolta, ma nel 1993 fu approvata la Legge Mancino (Legge n. 205/1993) che sanziona e condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista e aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. In particolare, l’art. 4 punisce il reato di “apologia del fascismo” per chiunque “pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche”. Sul punto si sono susseguite molteplici pronunce della Corte di cassazione, tutte allineate – quantomeno in linea di principio – ai contenuti della sentenza della Consulta del 1957. L’ultima sentenza della Corte di cassazione è dell’anno scorso, la n. 8108/2018, la quale (in merito al saluto romano, che costituisce corollario della fattispecie criminosa dell’apologia del fascismo punita dalla legge) ha ribadito che l’applicazione della Legge Mancino opera soltanto se c’è l’intenzione concreta da parte del reo di voler ricostituire il disciolto partito fascista. In particolare, la prima sezione penale della Cassazione che ha emanato la sentenza ha chiarito che la norma della Legge Mancino “non sanziona le manifestazioni del pensiero e dell’ideologia fascista in sé, ma soltanto quelle che possano determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste, in relazione al momento ed all’ambiente in cui sono compiute, attentando concretamente alla tenuta dell’ordine democratico e dei valori ad esso sottesi”.

Insomma, dichiararsi fascisti o esprimere elogi verso il fascismo, Mussolini e il Ventennio non costituisce reato. Punto. Ancor più ampia è poi la tutela giuridica accordata dal nostro ordinamento alle pubblicazioni di scritti. A parte la tutela assoluta riconosciuta dal primo comma dell’art. 33 della Costituzione alle pubblicazioni di carattere scientifico (che non possono essere oggetto di alcun vaglio in sede giudiziaria), quindi anche quelle che riguardano temi che si occupano del fascismo con argomentazioni “revisioniste”, tutte le altre tipologie di pubblicazioni (come ad esempio quelle politiche o divulgative) sono tutelate dal primo comma dell’art. 21 della Costituzione (Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione), con la particolarità che – se una pubblicazione a carattere divulgativo o politico finisse in Tribunale per apologia di fascismo – il giudice, oltre all’art. 21 della Costituzione, deve tener conto di due scriminanti (che fanno venire meno l’ipotesi di reato): l’esercizio del diritto di critica e la dialettica propria della contesa politica.

Sul punto, unica eccezione è costituita dalla famigerata (e discutibile) legge sul negazionismo (Legge n. 115/2016), cioè quella che ha introdotto nell’ordinamento l’aggravante alla Legge Mancino dell’istigazione e dell’incitamento all’odio o alla violenza fondati “in tutto o in parte sulla negazione della Shoa o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra” secondo la definizione di cui allo statuto della Corte penale internazionale. In tal caso, pur restando fuori dall’ambito di applicazione dell’aggravante le pubblicazioni a carattere scientifico in quanto non censurabili in sede giurisdizionale, ogni tipo di pubblicazione che contrasti con tale disposizione potrà essere ritirata dal commercio e l’autore (eventualmente insieme all’editore) sottoposti a procedimento penale. Altaforte e altre case editrici o scrittori della medesima tendenza  possono dunque  partecipare al  Salone del Libro di Torino. Una cultura cosiddetta di destra esiste e la sinistra, con la sua egemonia culturale, non riesce più a bloccarla. Questa è la realtà. “Fascista” oggi , in un senso del tutto generico, è chi vuole tappare la bocca a chi la pensa diversamente.

di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Libero di oggi, 9 maggio 2019

§§§

(di Paolo Becchi e Giuseppe Palma, “Europa, quo vadis? La sfida sovranista alle elezioni europee”, con prefazione di Antonio Maria Rinaldi, Paesi edizioni: https://www.ibs.it/europa-quo-vadis-sfida-sovranista-libro-paolo-becchi-giuseppe-palma/e/9788885939103?inventoryId=125054927)

 


Telegram
Grazie al nostro canale Telegram potete rimanere aggiornati sulla pubblicazione di nuovi articoli di Scenari Economici.

⇒ Iscrivetevi subito