Attualità
Riformiamo l’articolo 5 per salvare la Repubblica
Non è il momento di festeggiare la Repubblica, ma di salvarla. E possiamo farlo solo cominciando da dove non vogliamo finire: gli Stati Uniti d’Europa. Nell’Unione europea ci siamo già entrati ed ora è complicatissimo uscirne. Negli Stati Uniti d’Europa non ci siamo ancora entrati, ma è lì che vogliono portarci. Al game over: fine “definitiva” delle nostre libertà democratiche e costituzionali. Liquefazione dell’Italia in un nuovo Superstato rispetto al quale persino la UE ci susciterà nostalgia.
Ebbene, poiché prevenire è meglio che curare, stavolta non facciamoci cogliere impreparati. In attesa che maturino altre, e più radicali, determinazioni (come ad esempio l’Italexit) rafforziamo almeno la Costituzione, rendendola “inespugnabile”.
Per la dottrina costituzionale uniforme ci sono cinquantaquattro articoli della nostra legge fondamentale – i primi, quelli recanti i principii fondamentali e i diritti inviolabili su cui si regge la Repubblica – che non sono modificabili. E ciò in ossequio a quanto previsto dall’articolo 139 della stessa Suprema Carta, secondo il quale la “forma repubblicana” dello Stato non è suscettibile di modifiche, neppure con la procedura dell’articolo 138.
Memori della tragica esperienza della dittatura fascista, avallata dal Regno d’Italia, i padri costituenti vollero che almeno un principio cardine fosse esente dalla possibilità di modifica, foss’anche attraverso la procedura di revisione costituzionale. E individuarono tale principio nella “forma repubblicana”, appunto, intesa non solo come configurazione istituzionale antitetica alla monarchia, ma anche come complesso di tutti i principii fondamentali iscritti nei primi 12 articoli della Carta e di tutti i diritti fondamentali sanciti dagli articoli dal 13 al 54. Gli stessi principii, e gli stessi diritti, per intenderci, palesemente violati dai Trattati europei per una serie di innumerevoli ragioni (che non stiamo qui ad approfondire).
Noi siamo d’accordo, ci mancherebbe. E tuttavia coltiviamo un sogno. Che i sommi giuristi della Nazione, e le somme giurisdizioni della stessa, si autorizzino (ci autorizzino), a un eccezionale “strappo” alla regola. Dopotutto, i sommi economisti del globo hanno “autorizzato”, e “legittimato” (senza la nostra autorizzazione e senza alcuna legittimazione) il cambiamento epocale di struttura della convivenza civile responsabile della rovina politica, economica, sociale del nostro Paese. Quella rovina, quelle “rovine”, su cui oggi il Covid 19 ha semplicemente sparso il sale.
Un piccolo ma buon argomento, in verità, per rischiare l’azzardo, ci sarebbe: quello individuato dalla migliore dottrina, secondo la quale le modifiche alla prima parte della Carta sarebbero eccezionalmente possibili laddove “in melius”, cioè migliorative e arricchenti rispetto ai principii ivi contenuti.
Ebbene, allora sogniamo; poco altro ci resta, e nessuno può impedirci di farlo. E auspichiamo una modifica “in melius” – e quindi, forse, ammissibile per quanto anzidetto – di due delle norme più “rigide” della nostra legge fondamentale. Una modifica che non toglierebbe nulla a ciò che avevano in mente i padri costituenti; anzi, rafforzerebbe lo spirito, e la “ratio”, delle “regole” da essi stessi partorite. Il che ci consentirebbe di evitare, ora e per sempre, quella deriva altrimenti ineluttabile (all’orizzonte) che risponde al nome di “Stati Uniti d’Europa”.
Il nostro “sogno”, in altri termini, è benefico, tanto quando il “Grande sogno” unionista si è rivelato, e si sta rivelando “malefico”. Ergo, se il secondo è stato accettato, e digerito, da quasi tutti i giuristi e inflitto, come un ergastolo, a tutti i cittadini d’Europa, non vediamo perché il primo non possa essere preso in considerazione. Quando arriva la “fine di un mondo”, tutti i sogni diventano realizzabili. Non solo quelli più brutti, ma anche quelli più belli. E siccome sognare non costa nulla, noi procediamo col sogno.
Potremmo pensare a un “arricchimento” dell’articolo 5 laddove si legge che “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”, integrandolo come segue: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; è, altresì, indisponibile a qualsiasi forma di fusione o aggregazione sovra-statuale e transnazionale, di natura federativa o confederativa, con altri Stati, tale da implicare definitive cessioni di sovranità a organismi extra-statuali in violazione dell’articolo 11”.
Dopo di che, l’articolo 139 andrebbe, a sua volta, “rafforzato” come segue: “La forma repubblicana, così come specificata dagli articoli da 1 a 12, e in particolare dall’articolo 5, non può essere oggetto di revisione costituzionale”. Questa modifica renderebbe definitivamente inattuabile, per via costituzionale, l’obiettivo (quasi mai apertamente confessato) degli europeisti odierni: e cioè la confluenza dell’Italia negli “Stati Uniti d’Europa”.
O, comunque, renderebbe irrealizzabile – a prescindere dal nomen che i “piccoli chimici” dell’europeismo ad oltranza volessero attribuire alla “cosa” – ogni ulteriore avanzamento nel processo di unificazione. Infatti, giunti al punto in cui siamo (e cioè a pochi metri dal traguardo degli U.S.E), qualsiasi altro passo in avanti sarebbe inderogabilmente, e inequivocabilmente, proibito dal novellato articolo 5 e dal novellato articolo 139. Insomma, avremo così, e se non altro, arrestato una volta per tutte il treno della “unificazione” europea.
Se poi, per ipotesi, la riforma non dovesse ottenere, in seconda votazione, il benestare dei due terzi dei parlamentari – e fosse quindi necessario ricorrere al referendum confermativo previsto dall’articolo 138 della Costituzione – ciò consentirebbe di raggiungere, comunque, due risultati. In primis, stanare coloro che vogliono rinunciare alla sovranità nazionale (tradendo la Costituzione vigente più di quanto non sia stata già clamorosamente tradita).
In secundis, consentire ai cittadini di potersi finalmente pronunciare con un grande referendum popolare sulla questione “occultata” degli U.S.E. Si tratterebbe di un evento storico, per la nostra democrazia, paragonabile per importanza solo al referendum tra Monarchia e Repubblica del 1946.
Ovviamente, il coro unanime vi dirà: non troverai mai una maggioranza disponibile; può darsi, ma questo era sicuramente vero “prima” del Covid. “Dopo” – e soprattutto dopo le prime elezioni post-Covid – non lo so. Poi vi diranno: “Non si può, è una forzatura giuridica”. Può essere, così come è certo che il mio è un sogno. E il dibattito è aperto. Ma una cosa sia chiara a tutti: siamo, a tutti gli effetti, entrati in una fase nuova della storia del nostro Paese e del mondo.
Ci siamo resi conto del rischio corso, negli ultimi anni, di perdere definitivamente la libertà popolare “regalataci” dai costituenti nel secondo dopo-guerra. Allora quei rischi erano rappresentati dal fascismo e dai totalitarismi. Oggi, invece, da forme più subdole di “torsione eversiva” e di “deformazione” della democrazia rappresentativa e della sovranità statuale che vanno fermate ad ogni costo giuridicamente lecito: anche attraverso l’introduzione di nuovi “scudi” giuridici (visto che, ad oggi, i già esistenti si sono dimostrati inefficaci) sulla scia di quello originariamente concepito e messo per iscritto nell’articolo 139 della Suprema Carta.
In altri termini, gli italiani del 1946 individuarono nella “forma repubblicana” le colonne d’Ercole della nostra democrazia, da non oltrepassare mai, per nessuna ragione. Noi – in attesa che si realizzi la deflagrazione totale della UE o almeno un più modesto, e in verità complicatissimo, Italexit – le vorremmo stabilite anche nella intangibilità della sovrana indipendenza statuale, sotto il profilo dell’integrità territoriale e della “autonomia” non negoziabile del popolo italiano, così come cristallizzatesi all’atto della fondazione della Repubblica.
In ogni caso, quand’anche volessimo derubricare il suindicato “sogno” alla stregua di una inaccettabile “forzatura giuridica”, esso è provocatorio a sufficienza da indurci perlomeno a riflettere su tutti i macroscopici errori in cui siamo incappati a causa della intossicazione “unionista”.
È certamente vero, inoltre, che le forzature, più o meno intense, fanno parte di ogni tradizione giuridica; ed è anche vero che noi viviamo tempi eccezionali che richiedono iniziative eccezionali. Ed è, infine, altrettanto innegabile che il nostro passato, più o meno recente, è letteralmente lastricato di “cattive intenzioni” sotto forma di ben più serie, e distorsive, “effrazioni” giuridiche reiterate e dolose, ciascuna delle quali si è situata ben oltre i limiti della costituzionalità.
Ad ogni buon conto, non ne faremmo una questione “di stato”. Piuttosto, una questione di definitiva e irrevocabile riaffermazione della libertà e indipendenza “dello Stato”. Per finire, ricordiamoci sempre che, come disse quel tale, “se non segui i tuoi sogni qualcuno ti costringerà a seguire i suoi”.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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