Analisi e studi
RIFORMA COSTITUZIONALE E ITALICUM: anche il Presidente della Repubblica potrebbe essere di “proprietà” della minoranza diventata maggioranza (di Giuseppe PALMA)
Con il mio libro “FIGLI DESTITUENTI. I gravi aspetti di criticità della RIFORMA COSTITUZIONALE”, edito da editrice GDS in e-book il 21 gennaio 2016 e in formato cartaceo il 10 marzo, ho individuato – facendo ricorso al metodo scientifico – 11 gravi aspetti di criticità della riforma che la XVIIesima Legislatura ha portato a compimento il 12 aprile 2016 con l’approvazione definitiva in seconda votazione anche da parte della Camera dei deputati (il Senato l’aveva votata in seconda deliberazione il 20 gennaio): dalla pericolosa assenza di adeguati pesi e contrappesi all’introduzione di un bicameralismo differenziato parecchio pasticciato, dalla mancanza di qualsivoglia rispetto del significato primigenio dell’art. 138 della Costituzione alla pericolosità derivante dal combinato disposto riforma costituzionale/Italicum, dall’assoluta mancanza di “metodo costituzionale” alle gravi problematiche connesse alla legittimazione democratica della XVIIesima Legislatura a seguito della Sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale.
Ma è su un punto che, in questa sede, vorrei attrarre l’attenzione del lettore.
Uno dei motivi di criticità di questa riforma, dettagliatamente evidenziato nel mio libro “FIGLI DESTITUENTI…”, è quello che – di fronte ad un sistema tendenzialmente monocamerale con una legge elettorale a forte vocazione maggioritaria (l’Italicum) che assegna il premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione – si potrebbe verificare l’ulteriore stortura che il Presidente della Repubblica (necessario contrappeso in un sistema tendenzialmente monocamerale con premio di maggioranza alla lista) potrà essere eletto addirittura con i soli voti provenienti da quella medesima maggioranza mono-lista (e forse anche monocolore) assegnataria del premio.
Il diavolo si nasconde nei dettagli, per cui cercherò di dimostrare quanto premesso.
In merito alle maggioranze richieste per l’elezione del Presidente della Repubblica, la riforma costituzionale prevede che il Capo dello Stato sia eletto a maggioranza dei 2/3 dei componenti nelle prime tre votazioni, a maggioranza dei 3/5 dei componenti dalla quarta alla sesta votazione e – a partire dalla settima votazione in avanti – a maggioranza dei 3/5 dei votanti, la quale, nella sostanza, altro non è che una maggioranza assoluta travestita da maggioranza qualificata, e ciò renderà possibile l’elezione dell’inquilino quirinalizio da parte della sola maggioranza parlamentare mono-lista (se non addirittura monocolore). Ciononostante, alcuni esponenti della formazione parlamentare riformatrice sostengono che mai la maggioranza parlamentare alla Camera dei deputati eletta con l’Italicum riuscirebbe da sola a raggiungere, neppure dalla settima votazione in poi, la maggioranza qualificata dei 3/5 dei votanti necessaria per eleggere il Capo dello Stato. Tale “difesa”, tuttavia, è inconsistente, infatti le maggioranze richieste per l’elezione del Capo dello Stato sono previste in ordine all’intera composizione bicamerale in seduta comune (Camera dei deputati e Senato “dei 100”), quindi – qualora anche la maggioranza assoluta in sede senatoriale fosse del medesimo “colore” della maggioranza premiale della Camera – dalla settima votazione in avanti il Presidente della Repubblica potrebbe essere eletto con i soli voti provenienti da quella sola lista monocolore, e questo perché la maggioranza dei 3/5 richiesta dalla settima votazione non è più dei componenti, bensì dei soli votanti. Ecco un esempio pratico che non può essere oggetto di contestazione: se in una qualsiasi votazione successiva alla sesta i votanti fossero complessivamente 650, il Capo dello Stato potrebbe benissimo essere espressione della sola maggioranza parlamentare mono-lista/monocolore, infatti 3/5 di 650 = 390. A quel punto, addizionando i voti strettamente necessari e sufficienti della sola maggioranza bicamerale mono-lista/monocolore, questa – da sola – eleggerebbe il Presidente della Repubblica senza neppure un solo voto proveniente dalle opposizioni, infatti, sommando i 340 deputati eletti grazie al premio di maggioranza attribuito dall’Italicum alla lista vincente con i 51 senatori (mantenendomi basso) che potrebbero essere espressione politica della medesima lista maggioritaria della Camera, il risultato – 391 – sarebbe sufficiente ad eleggere il Presidente della Repubblica. Tutto ciò denota, calcolatrice alla mano, un gravissimo aspetto di criticità della riforma in quanto la figura del Presidente della Repubblica – di fronte al superamento del bicameralismo paritario – avrebbe dovuto rappresentare un fondamentale e necessario contrappeso che bilanciasse lo strapotere rappresentato sia dalla maggioranza mono-lista/monocolore della Camera, sia dalla figura del Presidente del Consiglio dei ministri che a quella maggioranza mono-lista/monocolore è strettamente legato dal rapporto di fiducia. Ecco perché, alla luce di quanto premesso e considerato inoltre il superamento del bicameralismo perfetto accompagnato dall’approvazione dell’Italicum, sarebbe stato opportuno prevedere l’elezione diretta del Presidente della Repubblica (con elezioni presidenziali da svolgersi in un momento diverso dall’elezione del corpo legislativo): in tal modo la figura del Capo dello Stato, al quale sarebbero dovuti essere attribuiti maggiori poteri sia in termini politici che di garanzia, avrebbe certamente rappresentato un idoneo contrappeso sia al “monocameralismo imperfetto” che alla maggioranza unicamerale mono-lista/monocolore, quindi alla figura del Presidente del Consiglio espressione diretta e fiduciaria di tale maggioranza. Ma v’è di più: qualcuno ha evidenziato che la soluzione semipresidenzialista non era adottabile (per i più svariati motivi), e che quindi non si sarebbe potuto procedere ad inserire nel testo della riforma l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Bene! A questo punto, se così fosse, per quale motivo il Parlamento non ha invece previsto – nel medesimo testo di revisione costituzionale – di mantenere la maggioranza qualificata dei 3/5 dei componenti (e non dei votanti) anche dalla settima votazione in avanti?
Il pericolo sinora denunciato – nella realtà – si potrebbe facilmente verificare, infatti la composizione bicamerale completa per l’elezione del Presidente della Repubblica è – con la riforma – di appena 730 “Grandi Elettori” (630 deputati e 100 senatori, più eventuali senatori a vita pre-esistenti ed altre possibili variabili numeriche della composizione senatoriale). Ma si faccia l’ipotesi classica di 100 senatori e 630 deputati (totale 730). Ciò premesso, qualora vi fosse – ad esempio – una protesta da parte delle opposizioni nei confronti del modus operandi della maggioranza (oppure un accordo sottobanco tra maggioranza ed una parte delle opposizioni), sarebbe sufficiente che anche una sola parte di esse (delle opposizioni) non partecipasse al voto: in tal modo il numero dei votanti potrebbe scendere finanche sotto l’ipotizzata soglia dei 650, rendendo di fatto possibile – a partire dalla settima votazione in avanti – l’elezione del Capo dello Stato ad opera della sola maggioranza bicamerale mono-lista/monocolore.
Qualcuno potrebbe obiettare quanto sinora argomentato evidenziando, ad esempio, che per ben sessantotto anni è stato esattamente così, cioè che il Presidente della Repubblica eletto dal Parlamento poteva essere espressione della sola maggioranza parlamentare (la Costituzione del 48′ prevede infatti la maggioranza assoluta dalla quarta votazione in avanti), ma in realtà ciò è potuto avvenire in un sistema di bicameralismo perfetto (che garantiva comunque un idoneo contrappeso) e con leggi elettorali che obbligavano all’alleanza politico-parlamentare due o più gruppi. Ecco perché, di fronte ad un sistema tendenzialmente monocamerale e ad una legge elettorale a forte vocazione maggioritaria che attribuisce il premio di maggioranza alla lista “vincente” e non alla coalizione, sarebbe stato opportuno prevedere – al fine di garantire un’adeguata sussistenza di pesi e contrappesi – l’elezione diretta del Capo dello Stato (in un momento diverso dall’elezione del corpo legislativo), al quale sarebbero dovuti essere attribuiti maggiori poteri soprattutto in termini di garanzia.
Tutto ciò premesso, la riforma costituzionale sulla quale i cittadini saranno chiamati ad esprimersi nel referendum confermativo di ottobre è – in combinato disposto con l’Italicum – certamente priva di quegli adeguati pesi e contrappesi cui necessita un Ordinamento costituzionale che voglia continuare a definirsi democratico e pluralista.
Non ai posteri, ma a noi, l’ardua sentenza!
Giuseppe PALMA
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Giuseppe PALMA
“FIGLI DESTITUENTI. I gravi aspetti di criticità della RIFORMA COSTITUZIONALE“
Editrice GDS, Vaprio d’Adda (MI), 21 gennaio 2016 (in formato e-book)
10 marzo 2016 (versione cartacea)
Genere: saggio giuridico (diritto costituzionale)
Autore: Giuseppe PALMA
Prefazione di Marco Mori
L’e-book è acquistabile in tutte le librerie on-line (tra le quali Amazon, Feltrinelli, Mondadori, Hoepli, Libreria Universitaria e tantissime altre…) al costo di € 2,49.
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Giuseppe PALMA
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