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Economia

LA RIDUZIONE DELLE TASSE PROMESSA DA RENZI E I CONTI CHE NON TORNANO

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Guest post di Paolo Cardena’ di Vincitori e Vinti

 Renzi-Premier

Facciamo qualche conto al provvedimento fiore all’occhiello della politica economica del Governo Renzi, cioè la detassazione dei redditi di 10 milioni di lavoratori dipendenti.

 
Partiamo da una delle poche cose certe che si conosce, che desumiamo dal comunicato stampa ufficiale, pubblicato sul sito del Governo:
 
Si legge:

…Tra le misure previste, la relazione approvata ha individuato in 10 miliardi di euro le risorse per consentire l’aumento della detrazione Irpef in busta paga ai lavoratori dipendenti sotto i 25 mila euro di reddito lordi, circa 10 milioni di persone, dal 1° maggio prossimo, per un ammontare di circa 1000 euro netti annui a persona. Gli atti tecnici e legislativi verranno approvati nelle prossime settimane

Da queste poche righe possiamo desumere 4 cose:
1) il governo intende stanziare 10 miliardi di euro per ridurre le tasse;
2) verranno ridotte a circa 10 milioni di contribuenti;
3) i contribuenti interessati sono solo ed esclusivamente lavoratori dipendenti con un reddito lordo di 25000 euro annui;
4) percepiranno circa 1000 euro annui aggiuntivi, a prescindere dal livello di reddito.
 
Quindi, da quanto scritto, sembrerebbe  che l’azione del Governo intenda concentrarsi solo ed esclusivamente sui lavoratori dipendenti con determinate caratteristiche, escludendo, ad esempio, qualche milione di pensionati che vivono con un assegno che non supera i 500 euro mensili. Ma lasciamo stare.
 
Da quanto annunciato dal governo appare subito evidente che i conti non tornano. E non tornano per il semplice motivo che i contribuenti che hanno caratteristiche conformi a quelle individuate dal Governo (reddito da lavoro dipendente, sotto ai 25 mila euro annui lordi) sono circa 15 milioni di persone.
I dati della tabella sotto riportata sono desunti dal sito del Dipartimento delle Finanze e si riferiscono alle dichiarazioni dei redditi del periodo di imposta 2011.
 
 Quindi, le risorse che Governo vorrebbe stanziare per finanziare la manovra  non sono sufficienti per garantire 1000 euro a tutti i lavoratori dipendenti che hanno un reddito lordo annuo inferiore a 25000 euro. E questo è un primo dato.
 
Andiamo avanti nel ragionamento. Il governo, per ridurre le tasse alla platea di contribuenti considerati e assegnare loro i 1000 euro promessi, attribuirà (lo dice il comunicato stampa) delle detrazioni aggiuntive rispetto a quelle in essere. L’attuale impianto normativo prevede la totale detrazione d’imposta  per i redditi da lavoro dipendente che non superano gli 8.000 euro annui circa. Quindi, costoro, che nel caso in esame sono quasi 4 milioni di contribuenti, non pagano l’Irpef per effetto delle detrazioni da lavoro dipendente spettanti. Da ciò se ne deduce che,  non pagando l’imposta, non sarebbero avvantaggiati dalla proposta di Renzi, che, a questo punto, sarebbe destinata solo ai redditi compresi tra gli 8000 e i 25000 euro, oltre 11 milioni di contribuenti.Ma anche per i redditi immediatamente successivi agli 8000 euro e fino a poco più di  11000 euro, considerate le detrazioni ora vigenti e la detrazione aggiuntiva di 1000 euro che il governo vorrebbe assegnare, l’imposta risulterebbe parzialmente capiente al fine di poter essere abbattuta dalla detrazione aggiuntiva proposta dal Governo. Ecco quindi che la platea dei contribuenti si ristringe ulteriormente di  oltre un milione  di contribuenti, avvicinandosi a circa dieci milioni di contribuenti che, stando al tenore letterale del comunicato del governo e al ragionamento sopra osservato, sarebbero interessati al beneficio dei mille euro annui.

Da quanto appena affermato se ne deduce  che il governo vorrebbe lasciare fuori da questa misura redistributiva proprio quei redditi più bassi, cioè la parte più debole della catena. Che poi sarebbero quei percettori di reddito con una propensione al consumo più alta, quindi di maggior  impatto sul ciclo economico (seppur marginale, vista l’esiguità delle somme trattate).Quindi, un numero considerevole di contribuenti esclusi. A meno che non si crei un meccanismo di imposta negativa che consenta di attribuire una sorta di sussidio monetario elargito dalla stato. Ma, in questo caso, non ci sarebbero abbastanza soldi per tutti (15 milioni di contribuenti), posto il fatto che la somma che il governo vorrebbe stanziare, nella migliore dell ipotesi e ammesso che si individuino le risorse necessarie per finanziarie la manovra, non supererà i 10 miliardi di euro.

Senza poi dimenticare che l’idea bizzarra di voler assegnare mille euro per ogni lavoratore dipendente con un reddito netto annuo inferiore ai 15000 euro, a prescindere dal livello del reddito percepito, oltre a creare un effetto distorsivo di  equità (perché i redditi più alti avrebbero lo stesso beneficio dei redditi più bassi), genererebbe anche il paradosso che chi dispone  di un reddito appena superiore ai 15000 euro, magari 15001 euro, verrebbe del tutto escluso escluso dal beneficio. Al tempo stesso sarebbe  incentivato a ridursi il proprio reddito appena sotto i 15000 euro, al fine di godere dei 1000 euro. Una situazione paradossale, direi.

Un ragionamento a parte lo merita l’individuazione delle risorse necessarie per finanziare il taglio.
Proprio ieri, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Delrio,  in un’intervista rilasciata al Corriere delle Sera, ha affermato che il Governo potrebbe finanziare il taglio del cuneo fiscale per la parte relativa al 2014 con una spending review, nell’ordine di 4-5 miliardi di euro, ma anche con entrate straordinarie come l’Iva sui pagamenti della pubblica amministrazione o il rientro dei capitali. E se questo non bastasse si prenderebbe in considerazione un lieve rialzo del deficit/Pil dal 2,6%. 

Alcune considerazioni sono d’obbligo. 
Al netto del fatto che, per il 2014, le risorse necessarie per finanziarie il  taglio delle tasse sono ridotte in ragione del periodo temporale inferiore all’anno (la riduzione partirebbe da maggio), vi è, innanzitutto, il problema che la manovra di politica economica di carattere strutturale annunciata dal Governo, verrebbe finanziata con entrate una tantum, peraltro assai aleatorie (rientro capitali, Iva sui pagamenti della Pa).
La stessa spending review  non è detto che porti nell’anno in corso a risparmi dell’ordine di quelli enunciati da Delrio. E questo anche per ammissione dello stesso Cottarelli. Vi è poi la questione relativa alla possibilità di utilizzare del deficit aggiuntivo oltre al 2,6% evocata da Delrio, pur rimanendo entro al 3%. In questa ipotesi andrebbe considerato che il livello del 2,6% è calcolato ipotizzando una crescita del Pil dell’1%. Ma stando alle previsioni di crescita elaborate da più o meno tutte le istituzioni internazionali, il PIl, nel 2014 crescerà molto meno dell’1% ipotizzato dal Governo nella Nota di Aggiornamento dal DEF dello scorso ottobre. Ed è verosimile pensare che questo sia già oltre il 3%.

 

Arrivati a questo punto possiamo concludere che il sospetto sia proprio quello che il Governo, nell’annunciare l’iniziativa -magari per fini propagandistici,  anche in vista delle prossime elezioni europee- non abbia tenuto conto della realtà dei numeri, assai differenti rispetto a quelli “immaginati dal Governo.

 


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