Analisi e studi
QUANTO SVALUTEREBBE LA NUOVA LIRA?
Preso atto che resta da spegnere solo una candelina prima della fine dell’euro, è ora di fare qualche riflessione in merito a quanto inevitabilmente accadrà e di sfruttare l’occasione per mettere alla berlina certe affermazioni aberranti rilasciate da alcuni giornalisti “economici”, istituti bancari in palese conflitto d’interesse e professori universitari di economia (in gran parte bocconiani o affini, ma non solo). A titolo esemplificativo e non esaustivo si potrebbero citare:
- Lorenzo Pinna: il potere di acquisto dell’italiano medio subirà un tracollo dal 30% al 50% […].Ma un 30-50% di svalutazione della nuova lira non renderà almeno più competitivo il nostro sistema industriale permettendoci di rimetterci rapidamente in piedi? Non è detto.
- Tonia Mastrobuoni: la lira subirebbe sicuramente una svalutazione molto pesante rispetto all’euro. Un rapporto della banca d’affari Ubs che si esercita proprio sull’ipotesi di uscita dall’Eurozona di un Paese come l’Italia, ritiene probabile, in questo caso, un crollo della lira del 60 per cento. Vuol dire che gli stipendi e le pensioni varrebbero improvvisamente il 60 per cento in meno.
- Affaritaliani.it: tra le varie argomentazioni contro l’opportunità di un’uscita dell’Italia dall’Euro primeggia quella secondo cui il passaggio alla nuova valuta, con una conseguente svalutazione immediata della stessa (le stime vanno dal 20% al 40%) […] Del resto, se un ritorno alla lira rendesse di colpo tutti i mutui più pesanti del 30-60% di fatto le banche si ritroverebbero con più o meno la totalità dei mutui emessi inesigibili o in sofferenza: è assurdo pensare che il passaggio venga gestito senza porre rimedio a un aspetto di questo genere, ovvero senza la conversione istantanea dei contratti alla nuova valuta.
- Giorgio Lunghini: nelle condizioni date, il primo effetto sarebbe la svalutazione della nuova moneta nazionale. La perdita di competitività nei confronti della Germania è ora del 30%, e questa sarebbe la soglia minima; tuttavia i movimenti valutari potrebbero determinare una svalutazione del 50-60%. La conseguenza immediata sull’inflazione sarebbe di circa il 15%, e si innescherebbe una rincorsa salari-prezzi-cambio: con un tasso di inflazione nell’ordine del 20% l’anno e con una perdita salariale insopportabile.
- Marcello Esposito: oggi, se la nuova lira si svalutasse anche “solo” del 30-50 per cento rispetto all’euro, il debito pubblico sarebbe insostenibile.
- Giuseppe Turani: la moneta italiana si svaluta ancora, ormai siamo al 70 per cento. Il prezzo delle marmellate inglesi nei supermercati ha raggiunto prezzi proibitivi, gli smartphone sono spariti dalla circolazione e sono riapparsi, estratti da scatoloni in soffitta, certi vecchi Nokia. In un mese 3456 aziende italiane vengono comperate dall’Islanda: costano il 70 per cento in meno, grazie alla svalutazione della lira.
- Famiglia Cristiana: la svalutazione della lira rispetto al cambio di 1936,27 lire, si calcola, oscillerebbe dal 50 al 70 per cento. I capitali fuggiranno all’estero più di quanto lo stiano facendo. Metter su un’impresa in Italia non converrà più per via dell’incertezza monetaria. E non serve illudersi che la moneta debole favorirà le esportazioni, perché questo avverrà anche con i Paesi dell’ex Eurozona, con un micidiale effetto competitivo.
- Lorenzo Bini Smaghi, Franco Bruni, Marcello De Cecco, Jean-Paul Fitoussi, Marcello Messori, Stefano Micossi, Antonio Padoa Schioppa, Fabrizio Saccomanni, Gianni Toniolo: reintrodurre la lira significherebbe imporre ai cittadini italiani la conversione dei loro risparmi nella nuova moneta, destinata a perdere di valore nei confronti dell’euro. Gli italiani subirebbero dunque una svalutazione dei risparmi. Inoltre, la conversione dall’euro alla lira non potrebbe modificare le condizioni dei prestiti contratti dai residenti italiani nei confronti del resto del mondo. La svalutazione della lira determinerebbe quindi un aumento del valore dei debiti verso l’estero degli italiani, ponendo imprese e famiglie di fronte al rischio di insolvenza, con effetti a catena sul resto del sistema economico. […] L’uscita dall’euro rafforzerebbe la parte meno competitiva del Paese, quella meno aperta all’innovazione (cioè artigiani e piccole e medie imprese – ndr) e maggiormente arroccata a difesa di privilegi che non hanno più ragione di essere. Sarebbe una fuga all’indietro verso una società più chiusa e introversa che danneggerebbe soprattutto i più giovani e le fasce più deboli della società.
Mi chiedo seriamente come sia possibile che persone “del mestiere” possano sostenere tesi così “dilettantesche” senza provare un minimo di imbarazzo. Lancio una sfida a lorsignori: confrontiamo le previsioni sopra riportate con quelle del sottoscritto e vediamo chi ha ragione. Tra poco più di un anno, quando non ci sarà più l’euro e saremo tornati alle valute nazionali, avremo il responso.
E’ noto dalla letteratura scientifica che, in occasione dello sganciamento di una valuta “debole” da un’unione monetaria, il cambio tende a recuperare la competitività perduta. Un primo elemento da tenere sott’occhio potrebbe essere il differenziale del tasso d’inflazione accumulato dal 1999 (anno dell’effettivo aggancio valutario) al 2015 (la Banca Mondiale non fornisce dati più recenti). Esaminiamo, ad esempio, quello tra Italia e Germania:
elaborazione su dati della Banca Mondiale (http://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.DEFL.KD.ZG?locations=IT&name_desc=true)
L’inflazione italiana è cresciuta del 37% a fronte di quella tedesca che ha avuto un incremento più contenuto, pari al 21%. Il differenziale si attesterebbe quindi attorno al 16-17%, ma tale valore, da solo, non riesce a cogliere l’”anomalia” tedesca: un paese con partite correnti veramente pazzesche!
(http://it.tradingeconomics.com/germany/current-account-to-gdp)
A partire dal 2001, infatti, le partite correnti teutoniche sono andate in positivo ed hanno avuto un’impennata inarrestabile che sta sfiorando la soglia del 10% del prodotto interno lordo (per fare un confronto, nel 2015 quella italiana era del 2,2%, mentre quella cinese del 2,7%). Questo abnorme richiesta di moneta tedesca tenderebbe a farla apprezzare in quanto, per la legge della domanda e dell’offerta, se tutti vogliono un determinato bene, il suo valore tende ad aumentare. Anzi, aumenterebbe se non fosse in un rapporto di cambi fissi che le impedisce di fare ciò che la legge di mercato impone.
Una stima più accurata del differenziale di competitività tra paesi deve però tenere conto di due aspetti: non solo il tasso di inflazione, ma anche il tasso di cambio in quanto entrambi concorrono a determinare la convenienza, per un operatore economico, ad acquistare in un paese piuttosto che in un altro. Per avere una valutazione spannometrica del deprezzamento della nuova lira rispetto al nuovo marco (ma sarebbe più corretto parlare di apprezzamento del nuovo marco rispetto alla nuova lira), si può allora fare riferimento al REER (Real Effective Exchange Rate) o tasso di cambio effettivo reale che rappresenta il prezzo relativo dei beni nazionali in termini di beni esteri. E’ una media pesata di tutti i tassi di cambio bilaterali principali misurata in base al valore degli scambi effettuati tra i paesi. Maggiore è l’interscambio commerciale e maggiore è il peso (secondo l’ultimo calcolo, che risale al 2015, sul cambio effettivo dell’euro a 19 valute, l’euro/renminbi pesa per il 22,18%, l’euro/dollaro per il 15,92%, e l’euro/sterlina per il 12,99%, l’euro/yen per il 6,69% e l’euro/zloty per il 6,40%). Perché è un tasso “reale”? Perché tiene conto del differenziale di inflazione fra i due paesi. Facciamo un esempio: se la moneta di un paese si svaluta del 10% e contestualmente l’inflazione cresce del 10%, il tasso di cambio reale non varia perché l’aumento dei prezzi interni compensa la svalutazione e l’acquirente estero non noterà alcuna variazione di prezzo. Essendo quotato certo per incerto, un apprezzamento del tasso di cambio effettivo reale vuole dire che i beni nazionali diventano meno convenienti (perdita di competitività), un suo deprezzamento vuole dire che i beni nazionali diventano più convenienti (aumento di competitività). Vediamo come stanno le cose:
elaborazione su dati Eurostat (http://ec.europa.eu/eurostat/tgm/table.do?tab=table&init=1&language=en&pcode=tsdec330&plugin=1)
La valuta tedesca (linea blu) è sottovalutata rispetto al suo valore reale quindi i prezzi tedeschi sono artificiosamente scontati (e quindi più competitivi), mentre la moneta italiana (linea rossa) risulta sopravvalutata e quindi i nostri prodotti sono soggetti ad una sorta di dazio che ne incrementa il prezzo per gli operatori esteri (quindi sono meno competitivi). Il differenziale si attesta intorno al 27%. Poiché, come detto in precedenza, in caso di sganciamento valutario si tende a recuperare la perdita di competitività accumulata, la svalutazione della nuova lira rispetto al nuovo marco dovrebbe attestarsi indicativamente intorno al 27%, quindi nella banda d’oscillazione del 25-29%.
E rispetto alle altre valute? Poiché il tasso di cambio effettivo reale della valuta italiana è sopravvalutato indicativamente dell’11% e poiché l’euro, anche a seguito del quantitative easing, si è notevolmente svalutato negli ultimi anni (per non parlare del buco deflazionistico nel quale si è cacciata l’eurozona), questi due effetti dovrebbero tendere a compensarsi parzialmente (almeno rispetto ai paesi non aderenti alla zona euro).
elaborazione su dati Eurostat (http://ec.europa.eu/eurostat/tgm/table.do?tab=table&init=1&language=en&pcode=tsdec330&plugin=1)
L’euro, a partire dal 1999, ha deprezzato il suo tasso di cambio effettivo reale indicativamente del 4%, perciò la nuova lira dovrebbe svalutare in termini reali indicativamente dell’8% (questo effetto di parziale compensazione non si avrebbe rispetto tutti i paesi, ma solo con quelli che non hanno l’euro). Potremmo perciò indicare una banda di oscillazione dal 6 al 10% rispetto alla media pesata dei nostri partner commerciali. Nulla di paragonabile al 60 o 70% paventato da certuni!!!!
Discorso opposto varrebbe per il nuovo marco che, ad esempio rispetto al dollaro o al renminbi, dovrebbe rivalutare per un duplice aspetto: in quanto moneta sottovalutata all’interno dell’euro e in quanto l’euro è leggermente sottovalutato rispetto al suo valore effettivo, quindi non saremmo tanto noi a svalutare, sarebbero i tedeschi a rivalutare!!!
Segnatevi queste cose, tra poco più di un anno vedremo chi è il vero dilettante.
di Claudio Barnabè
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