Attualità
Quando l’isteria del debito colpì la Serenissima
Un giorno sì e l’altro pure i vari portavoce del sistema di potere finanziario (Mario Draghi, Christine Lagarde, Jean-Claude Junkers, gli economisti tedeschi, Repubblica e Corriere, Lili Gruber e Cottarelli) ci ricordano che dobbiamo “ridurre il debito pubblico”.
Ci siamo già occupati in passato di spiegare l’assurdità di questo approccio alla questione.
https://www.attivismo.info/2018/03/04/e-davvero-necessario-ridurre-il-debito-pubblico-i-falsi-luoghi-comuni-che-sembrerebbero-sostenere-questa-necessita/
Dato che ci troviamo di fronte a persone che hanno difficoltà a seguire dei ragionamento logico-matematici, vogliamo adottare il metodo scientifico, riportando il caso storico di quando la Repubblica di Venezia decise di estinguere interamente il debito pubblico dello stato.
A tale proposito riproponiamo questo bell’articolo dell’amica Chiara Zoccarato.
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La Repubblica Serenissima aveva finanziato la sua espansione e la sua prosperità con il debito pubblico. Uno solo però non bastava per l’ambizione dello Stato Veneziano e il desiderio di benessere dei suoi cittadini. Per cui si istituirono tre diversi conti di debito pubblico: Monte Vecchio, seguirono Monte Nuovo e Monte Novissimo. Parve poi che la pressione fiscale per il pagamento degli interessi fosse troppo gravosa, soprattutto non “equa”. Pertanto si fece avanti Zuan Francesco Priuli a dire che il debito andava dismesso e rimborsato. Partendo in primis dal Monte della Zecca di Stato, che pagava il 16% di interesse.
Così fu avviata la sua dismissione. 1584. Una data da ricordare.
“L’affrancazione delle serie dei titoli in Zecca procedette più speditamente di quanto avesse previsto Priuli. Il gettito delle decime e delle tanse, il recupero di crediti d’imposta, la vendita di beni appartenenti allo Stato ed un riordino contabile effettuato nel 1579 consentirono alla Signoria di restituire i capitali ai prestatori nel giro di soli sette anni. Infatti il 15 giugno 1584 il senato, che nel frattempo aveva assunto il governo della materia finanziaria, dichiarava con soddisfazione che era avvenuta la completa restituzione dei debiti aperti in Zecca”.
Ma che accade nell’economia reale? La quantità di denaro resa disponibile e riversata sui creditori dello Stato ebbe l’effetto di stimolare il mercato e le attività commerciali? La risposta è NO. Perché?
“Erano soldi che erano stati investiti nel debito pubblico per trovare una certa sicurezza; nei depositi in Zecca erano affluite le doti delle mogli e si erano costituite quelle delle figlie. Ora tutto questo denaro doveva trovare una nuova collocazione, che assicurasse un rendimento soddisfacente e, soprattutto, una sicurezza di stabilità della rendita”. La fonte di rendita sicura anche per le categorie più deboli, e quindi distributiva nella fasce meno “avventurose” fu svincolata, pericolosamente.
Dove andarono i soldi?
Da Interesse Pubblico a speculazione privata senza controllo. Inoltre la tassazione non fu abbassata, perché le guerre esigevano fondi continui. Non so se avete idea di che periodo era quello, in Europa.
“Una buona parte dei capitali liberati dalla Zecca pare abbia preso la via degli investimenti in Terraferma, e in particolare nell’acquisto di fondi rurali e nel prestito ipotecario. Si fa strada l’interesse nei confronti del mercato dei cambi, delle assicurazioni – forse in connessione con la passione per il gioco che pare colpire la città. È la stagione dei Fiorentini e soprattutto dei Genovesi, che controllano il sistema creditizio basato sulle fiere dei cambi. Sono loro che, forti dell’esperienza e della pratica acquisita in decenni al servizio dei vari sovrani europei – e in particolare degli Asburgo – riescono a rastrellare parecchio denaro dai Veneziani, e specie dai patrizi. Quel che preme sottolineare è la ricerca dei Veneziani di una relativa sicurezza della rendita; una sicurezza che il mercato creditizio – strutturato nei vari livelli – pare offrire più di altri settori. Occorre tener altresì conto delle eventuali prospettive di collocazione del denaro nel debito pubblico di altri Stati. E’ presumibile che vi sia stato un movimento di capitali oltreconfine, verso le altre tesorerie“.
Che terribile dejà vu…
Allora il Priuli pensò che lo stimolo monetario non aveva avuto l’effetto sperato, perché c’era ancora troppo debito… e Venezia si accinse a estinguere tutto il debito e iniziò a rimborsare perfino il Monte Vecchio, il debito più antico di Venezia. La base su cui fu costruito il suo splendore.
“Nel giro di otto anni la Signoria avrebbe reso circa quattro milioni di ducati, risparmiando una spesa annua di interessi di 200 mila ducati.” Un genio. Spendere 4 milioni per risparmiare 200 mila.
Dismissione debito più tassazione. Anni di surplus di bilancio. E finalmente nei primi del 1600 Venezia fu senza debito. “Le fondazioni caritative non disponevano più di titoli idonei in cui investire” e così capirono che non poteva funzionare. Allora fu ricostituito un debito a lungo termine con l’accettazione di nuovi depositi presso la Zecca con un tasso di interesse al 4%.
Ma la società veneziana, il suo modello di sviluppo e i suoi valori erano stati modificati. E forse iniziò il vero declino culturale. L’interesse pubblico, identificato nell’interesse dello Stato e della sua potenza commerciale, fu minato dallo spostamento di interesse sulle proprietà immobili e la rendita speculativa.
Da: “Mercanti a rentiers. L’involuzione fu compiuta.”
fonti: Frederic C. Lane, Luciano Penzolo.
Tratto da:
https://www.attivismo.info/quando-listeria-del-debito-colpi-la-serenissima/
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