Conti pubbliciFrancia
Quando le regole fiscali le scrive il Marchese del Grillo: il caso Francia. (di Antonio Maria Rinaldi)
Regole fiscali UE: mentre l’Italia è sotto osservazione, la Francia sfora il deficit da dieci anni senza conseguenze. L’analisi impietosa dei numeri e il paradosso del “Marchese del Grillo” che minaccia la credibilità dell’Europa.

L’architettura istituzionale dell’Unione economica e monetaria si fonda su un principio cardine: la disciplina di bilancio come presupposto della stabilità monetaria. Tuttavia, l’esperienza concreta degli ultimi anni mostra come tale principio sia applicato in modo asimmetrico, generando distorsioni che rischiano di compromettere la credibilità dell’intero impianto europeo. Il caso della Francia costituisce, in tal senso, un esempio emblematico e, per certi versi, paradigmatico.
Da oltre un decennio la Francia si colloca stabilmente in una condizione di disavanzo eccessivo. Il superamento reiterato della soglia del 3 per cento del rapporto deficit/PIL non rappresenta più un’eccezione ciclica, bensì una caratteristica strutturale della finanza pubblica francese. Eppure, anziché tradursi in un effettivo percorso correttivo, tale condizione ha progressivamente assunto la forma di una negoziazione permanente con la Commissione europea, nella quale gli obiettivi di rientro vengono sistematicamente rinviati e adattati alle contingenze politiche ed economiche del momento.
Il paradosso risiede proprio qui: la violazione reiterata delle regole non produce un rafforzamento della disciplina, ma diventa il presupposto per ottenere maggiore flessibilità. La procedura per disavanzo eccessivo, concepita come strumento di correzione, si trasforma così in un canale privilegiato di interlocuzione che consente alla Francia di differire gli aggiustamenti, mantenendo livelli di spesa pubblica incompatibili con una traiettoria sostenibile del debito.
I dati più recenti rendono evidente la portata del problema. Il rapporto debito pubblico/PIL ha ormai superato stabilmente il 110 per cento, collocandosi nel 2024 attorno al 113 per cento, con proiezioni che indicano un ulteriore incremento verso il 118–120 per cento entro la fine del decennio in assenza di correzioni strutturali. Si tratta di valori che, in altri contesti nazionali, avrebbero già attivato meccanismi di sorveglianza rafforzata e richieste di consolidamento ben più stringenti.
Ed è proprio qui che il paradosso assume contorni ancora più evidenti. Nonostante la Francia benefici da anni di una flessibilità sostanzialmente superiore a quella concessa ad altri Stati membri, i suoi conti pubblici continuano a deteriorarsi. Paesi come l’Italia, sottoposti a vincoli più severi e a un controllo europeo più stringente, hanno invece intrapreso – pur tra difficoltà – percorsi di aggiustamento più credibili. Lo spread sui decennali di Roma é inferiore ormai a quelli di Parigi a riprova che i mercati non sono insensibili alle difficoltà francesi.
La persistenza di tale dinamica segnala un deterioramento profondo dei fondamentali dell’economia francese. La crescita potenziale resta modesta, la spesa pubblica rimane tra le più elevate dell’area euro, mentre il servizio del debito assorbe quote crescenti di risorse fiscali, comprimendo gli spazi per investimenti produttivi e riforme strutturali. In questo quadro, la Francia appare sempre meno come un’eccezione virtuosa e sempre più come un caso emblematico di fragilità strutturale mascherata da stabilità istituzionale.
Il punto cruciale non riguarda soltanto la sostenibilità dei conti francesi, ma la credibilità complessiva dell’architettura fiscale europea. Quando l’applicazione delle regole dipende dal peso politico del Paese interessato, il principio di parità tra Stati membri viene inevitabilmente svuotato di contenuto. Chi rispetta le regole sopporta vincoli più stringenti; chi le viola, paradossalmente, ottiene margini di manovra più ampi.
È in questa asimmetria che si annida il vero rischio sistemico. Se la flessibilità diventa la norma e non l’eccezione, anche il nuovo il Patto di stabilità perde la sua funzione disciplinante e l’Unione monetaria finisce per reggersi su equilibri sempre più fragili. In fondo, il messaggio che emerge è fin troppo chiaro: nel teatro delle regole fiscali europee, per alcuni continua a valere la massima del Marchese del Grillo — «Io so’ io, e voi non siete un…».
Domande e risposte
Perché alla Francia viene concesso di superare il 3% di deficit da anni senza sanzioni reali? La situazione deriva dal peso politico specifico della Francia all’interno dell’Unione Europea e dalla sua capacità di trasformare la procedura per disavanzo eccessivo in un tavolo di trattativa politica. Anziché subire sanzioni automatiche o richieste immediate di rientro, Parigi riesce a negoziare rinvii degli obiettivi di bilancio, giustificandoli con situazioni contingenti che, però, si protraggono ormai da oltre un decennio, trasformando l’eccezione in regola.
Qual è la differenza sostanziale tra la gestione del debito italiano e quello francese oggi? Nonostante l’Italia abbia un debito storico elevato, negli ultimi anni è stata costretta a percorsi di risanamento molto più stringenti e controllati da Bruxelles. La Francia, pur beneficiando di maggiore flessibilità, ha visto i suoi fondamentali peggiorare: il debito/PIL viaggia verso il 118-120% e la spesa pubblica resta fuori controllo. Il mercato ha certificato questa inversione di percezione, portando spesso lo spread dei titoli francesi a livelli superiori o uguali a quelli italiani.
Quali sono i rischi per l’Europa se continua questo “doppio standard”? Il rischio principale è la perdita totale di credibilità dell’architettura istituzionale europea. Se le regole fiscali vengono percepite come strumenti punitivi solo per i paesi politicamente più deboli, mentre i “grandi” possono ignorarle impunemente (il “metodo Marchese del Grillo”), viene meno il principio di parità tra Stati. Questo indebolisce il nuovo Patto di Stabilità e mina la fiducia reciproca necessaria per la sopravvivenza dell’Unione Monetaria nel lungo periodo.








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