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Petrolio russo: non solo non si ferma, ma si prepara a superare l’Arabia in Cina

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Un anno fa l’uomo comune prevedeva che le nazioni occidentali avrebbero bloccato le esportazioni di petrolio russo per affamare la macchina da guerra di Putin, privando il Cremlino del denaro necessario, facendo pendere l’ago della bilancia dei mercati petroliferi globali verso uno stato di squilibrio della domanda e facendo schizzare il prezzo del greggio nella stratosfera a tre cifre. Le cose sono andarre un po’ diversamente.

Alla fine è successo esattamente il contrario e, nonostante la pomposa retorica e le innumerevoli “sanzioni”, i governi occidentali hanno fatto di tutto per consentire a Putin di esportare quanto più petrolio possibile verso acquirenti volenterosi come India e Cina. Pochi giorni fa, nientemeno che Goldman Sachs ha spiegato come la retorica virtuosa delle “democrazie” occidentali, che hanno trascorso gran parte del 2022 giurando che avrebbero paralizzato le esportazioni di petrolio russo, non fosse altro che una grande menzogna, e che nel frattempo, dietro le quinte, le nazioni occidentali affamate di petrolio stavano facendo tutto ciò che era in loro potere per evitare che il petrolio russo uscisse dal mercato, un risultato che sapevano avrebbe fatto impennare ulteriormente l’inflazione:

La produzione [russa] ha registrato una forte ripresa entro il giugno 2022, poiché sono state rapidamente reperite navi alternative dalla flotta globale “oscura” e “grigia”, che non dipendevano dai servizi finanziari e logistici occidentali. Alla fine, i massimali di prezzo del petrolio imposti dal G7 hanno permesso a qualsiasi nave di agevolare i flussi di petrolio russo se il carico aveva un prezzo inferiore ai massimali. Il punto chiave è che l’interruzione del 2022 era in definitiva di natura politica e i governi occidentali avevano la possibilità di intraprendere azioni per ridurre le interruzioni, cosa che hanno fatto.

Ed ecco come sono andate in realtà le cose relativamente alla produzione di petrolio russo

Ma se la fine dell’interruzione “politica” del 2022 ha fatto sì che Putin ricevesse volentieri decine di miliardi di dollari americani in cambio di petrolio russo ogni mese, non è stato l’unico beneficiario: risulta che anche la flotta “oscura” e “grigia” di cui parlava Goldman sopra – per lo più vari armatori e petrolieri greci – ne abbia tratto grande profitto.

Come scrive Bloomberg, mentre il principale greggio russo continua a essere venduto ben al di sotto dei parametri internazionali a causa del limite di prezzo imposto dal G7, che è una tacita benedizione per Cina e India di acquistare tutto il petrolio russo che vogliono, e a un prezzo più basso di tutti gli altri acquisti di petrolio nel mondo, un’enorme quantità di denaro per la consegna continua ad andare nelle mani di misteriosi intermediari.

Secondo i dati di Argus Media, il prodotto di punta del Paese, il petrolio degli Urali, ha raggiunto finora una media di circa 52 dollari al barile nel porto di Primorsk sul Mar Baltico, con uno sconto di circa 20 dollari rispetto al Brent datato (uno sconto che all’inizio dell’anno raggiungeva i 40 dollari). Il G-7 permette alle aziende di fornire servizi chiave come assicurazioni e petroliere per le esportazioni di petrolio russo solo se i barili costano 60 dollari o meno.

Tuttavia, ciò che Bloomberg ha notato è che il divario tra il prezzo di esportazione e il prezzo di importazione in India si è attestato a circa 12 dollari al barile fino a giugno. Dove vanno a finire questi soldi? A una serie di intermediari, armatori, fornitori di servizio, spesso occidentali, che si riempiono le tasche con questi extra utili. Forse il business più ricco del momento.

Tuttavia, l’Urals continua a essere scambiato con forti sconti rispetto ai prezzi internazionali. Grandi quantità di petrolio sono scambiate rispetto al Bren, un benchmark di prezzo fisico ancorato nel Mare del Nord. Finora l’Urals ha registrato una media di circa 23 dollari in meno rispetto al Brent, più o meno come a maggio, ma con uno sconto leggermente inferiore rispetto ad aprile, secondo i dati di Argus.

Il misterioso delta delle “commissioni” significa che più della metà di questo differenziale tra Urals e Brent è destinato a intermediari intraprendenti e a commercianti di petrolio “grigi” che facilitano la vendita di petrolio russo a India e Cina.

L’Unione Europea ha vietato le importazioni via mare di greggio russo già a dicembre, contemporaneamente all’introduzione del limite di prezzo. Il divieto ha costretto i barili russi a praticare sconti per competere con gli acquirenti asiatici; tuttavia non ha fatto nulla per fermare effettivamente le esportazioni di petrolio russo, e non solo “la Russia è pronta a superare l’Arabia Saudita nella battaglia per il mercato petrolifero cinese”, ma il petrolio russo continua a inondare i mercati globali. Nel frattempo, questi “misteriosi intermediari” stanno diventando estremamente ricchi a spese dei comuni cittadini europei, che sono schiacciati da un’inflazione incontrollata e che potrebbero acquistare il petrolio a un prezzo molto più basso se solo si permettesse al greggio russo di entrare in tutti i mercati invece che solo in India e in Cina, ma grazie ai loro politici sprovveduti, Putin sta tenendo sotto controllo l’inflazione energetica nelle due più grandi nazioni asiatiche mentre Christine Lagarde continua ad aumentare i tassi in quella che ora è ufficialmente una recessione tecnica europea.


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