Attualità
PER COMBATTERE LA GUERRA ECONOMICA CONTRO IL VIRUS CI VOGLIONO I WAR BOND di A.M. Rinaldi e F. Dragoni
Una proposta shock, ma fattibile, per risolvere subito il problema della liquidità.
L’emergenza sanitaria scaturita dallo scoppio della pandemia COVID-19 ha sconvolto l’intero pianeta al pari di una vera e propria guerra mondiale. Ne è conseguito uno shock economico senza precedenti caratterizzato da tre elementi chiave: una contrazione del PIL nell’ordine di decine di punti in conseguenza della chiusura delle attività connessa alla volontà di rallentare il contagio (severità); che ha interessato contemporaneamente tutte le economie del mondo (simmetricità) e con ripercussioni sia dal lato dell’offerta (imprese) che della domanda (strutturalità).
Il Governo sembra paralizzato nonostante la sospensione del Fiscal Compact e la dichiarata intenzione della Banca Centrale Europea di estendere ulteriormente gli acquisti dei titoli di stato che fosse necessario emettere per raccogliere i fondi per rilanciare l’economia.
Attendere le istituzioni comunitarie è una strategia inconcludente e perdente. Queste non sono in grado di proporre efficaci contromisure. Tutta l’architettura su cui si basa l’Unione Europea è stata infatti concepita e realizzata per durare in tempo di pace. Ma se da parte loro serve una risposta pur di ripartire, le azioni da mettere in campo devono essere tali da evitare che il disastro epidemico in termini di vittime non si trasformi in un completo collasso economico con ricadute sulla tenuta sociale-occupazionale dei Paesi del vecchio continente.
In questi giorni il dibattito verte sull’opportunità o meno di adottare strumenti finanziari ad hoc: dall’incomprensibile e dannoso ricorso al MES all’emissione di debito solidale (eurobond che per l’occasione sono denominati corona-bond). Due i fronti contrapposti: quello latino (Francia, Italia, Spagna e Portogallo) da una parte contro i paesi del nord (Germania, Austria, Olanda e Finalandia). In ogni caso le proposte per quanto “flessibili” rientrano sempre negli schemi di quanto previsto dai Trattati, dagli accordi governativi e dai regolamenti, non prendendo minimamente in considerazione lo “stato di guerra” attuale sopra evocato.
Una proposta tecnicamente ed immediatamente realizzabile con il concorso attivo della BCE può essere quella di far emettere a tutti gli stati membri dei veri e propri war-bond, aventi le seguenti caratteristiche:
- ciascun paese ne emette un ammontare definito sulla base del proprio PIL. Quindi nessuna mutualizzazione del debito come richiesto dai paesi del nord;
- il regolamento in termini di durata (tre/cinque anni) e cedola zero è identico per tutti, venendo incontro alla richiesta del fronte latino di emettere uno strumento comune;
- obbligo di utilizzo dei proventi dell’emissione secondo un protocollo condiviso. Si deve contrastare l’emergenza sanitaria attraverso la costruzione di infrastrutture generiche (reti di trasporto, etc) o specifiche (quali ospedali) nonché la formazione e mantenimento del personale medico ed infermieristico (attuale e prospettico) con ciò dando anche una risposta alle problematiche occupazionali e di sostegno delle singole economie. Viene inoltre mantenuta la parvenza di un minimo principio di condizionalità;
- sottoscrizione delle emissioni dei singoli stati (pari ad esempio ad almeno il 20% del PIL che per l’Italia sarebbero circa 350 miliardi), da parte delle rispettive banche centrali nazionali. Coinvolgendo preventivamente un consorzio di collocamento privato da cui le banche centrali riacquisterebbero i titoli. Viene così mantenuto il rispetto del divieto formale di intervento sul mercato primario;
- impegno alla cancellazione del debito alla scadenza da parte delle banche centrali con ciò concretizzandosi la necessaria risposta alla crisi derivante dal COVID-19: quella della monetizzazione del deficit.
Naturalmente tali war-bond emessi saranno scomputati dal calcolo del debito pubblico a patto che l’utilizzo della liquidità ricevuta effettivamente rispetti le destinazioni di utilizzo (sviluppo e mantenimento dei rispettivi servizi sanitari, costruzione di infrastrutture e sostegno all’occupazione). In caso di totale o parziale difforme utilizzo il relativo importo dovrà essere come tale conteggiato e remunerato con un ulteriore 2% senza possibilità di essere cancellato alla scadenza.
In questo modo si rispetterebbero le proporzionalità fra gli stati membri in funzione dei rispettivi PIL e inducendo i governi nazionali a destinare realmente la liquidità per le finalità di emergenza. Le istituzioni europee saranno in grado di capire l’eccezionalità e gravità dell’emergenza mettendo in atto questa operazione straordinaria per salvare il salvabile e mettendo da parte quelle famose regole che hanno dimostrato anche in “tempo di pace” di non funzionare ed anzi portando i Paesi al collasso?
Una operazione del genere sarebbe da inquadrare come un accordo straordinario fra stati europei desiderosi di coordinarsi per risolvere insieme una emergenza epocale che rischia di stravolgere completamente il nostro comune futuro.
Insomma se nel luglio del 2012 Mario Draghi pronunciò lo storico “whatever it takes” oggi è necessario molto di più!
MF 31.3.20
Antonio Maria Rinaldi e Fabio Dragoni
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