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Pagare per lavorare: il paradosso della “Finta Occupazione” nella Cina della deflazione

A Dongguan nascono le aziende del “Finto Lavoro”: 4 dollari al giorno per una scrivania e un capo immaginario. Così i giovani cinesi combattono la depressione e la disoccupazione record del 18,9%. Un’analisi del fenomeno che spaventa Pechino.

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C’è un vecchio adagio economico che recita: “Il lavoro nobilita l’uomo”. Tuttavia, nella Cina contemporanea, stretta tra una crescita che rallenta e una bolla immobiliare scoppiata, il lavoro sembra essere diventato un bene di lusso. Così di lusso che c’è chi è disposto a pagare pur di fingere di averne uno.

Mentre in Occidente discutiamo di Great Resignation o di settimana lavorativa corta, nel gigante asiatico si sta consolidando una tendenza che farebbe impallidire qualsiasi teorico del libero mercato: pagare per andare in ufficio. Non stiamo parlando del classico coworking per nomadi digitali con fatturati stellari, ma di disoccupati che affittano una scrivania per simulare una routine lavorativa che non esiste più.

L’Ufficio dei sogni (infranti)

La notizia, riportata da fonti internazionali come la BBC , ci porta a Dongguan, polo industriale a nord di Hong Kong. Qui opera la Pretend To Work Company (letteralmente: Azienda del Finto Lavoro).

Il meccanismo è perversamente semplice:

  • Il “lavoratore” paga una tariffa giornaliera (circa 4,20 dollari).

  • In cambio ottiene l’accesso a uno spazio ufficio completo: scrivania, Wi-Fi, computer, accesso alle sale riunioni e l’immancabile caffè.

  • Non ci sono task, non ci sono clienti, non c’è fatturato. C’è solo la recita.

Il caso emblematico è quello di Shui Zhou, un giovane imprenditore la cui attività di ristorazione è fallita l’anno scorso. Invece di rimanere a casa, Zhou timbra il cartellino in questo ufficio simulato. Arriva tra le 8:00 e le 9:00 e talvolta non esce prima delle 23:00. “Mi sento molto felice. È come se lavorassimo insieme come un gruppo”, ha dichiarato. Una frase che tradisce un disperato bisogno di appartenenza sociale più che di produttività economica.

I numeri della crisi: perché i giovani pagano?

Per comprendere questo fenomeno, dobbiamo guardare ai dati macroeconomici, pane quotidiano per chi segue le dinamiche dei mercati reali. La Cina sta affrontando una crisi di domanda aggregata classica. Le aziende non investono perché i consumi sono fermi; i consumatori non spendono perché temono per il futuro.

Ecco le motivazioni principali che spingono i giovani verso questi “uffici fantasma”:

  • Pressione Sociale e Vergogna: In una cultura confuciana dove il successo è tutto, ammettere di essere disoccupati è un’onta per la famiglia. L’ufficio finto offre una copertura rispettabile.

  • Mantenimento della Routine: La disoccupazione prolungata porta alla depressione e alla perdita di abitudini lavorative. Questi spazi fungono da “palestra” per non atrofizzare la disciplina mentale.

  • Networking: Si spera che, condividendo lo spazio con altri professionisti “in panchina”, possa nascere un’opportunità o un’idea imprenditoriale.

  • Fuga dalla solitudine: L’isolamento domestico è uno dei mali oscuri delle metropoli cinesi.

Il Muro della Disoccupazione Giovanile

Il contesto in cui nasce la “Pretend To Work Company” è quello di un mercato del lavoro inceppato. Le autorità di Pechino hanno tentato di nascondere la polvere sotto il tappeto (sospendendo per un periodo la pubblicazione dei dati), ma i numeri restano impietosi.

Di seguito una tabella riassuntiva dell’andamento recente del tasso di disoccupazione giovanile (fascia 16-24 anni, studenti esclusi), basata sui dati dell’Ufficio Nazionale di Statistica:

PeriodoTasso Disoccupazione (16-24 anni)Variazione su base mensileNote
Giugno 202321,3%Picco storico assoluto
Luglio 202517,8%
Agosto 202518,9%+1,1%Picco biennale (escl. 2023)
Settembre 202517,7%-1,2%Lieve rientro
Ottobre 202517,3%-0,4%Tendenza alla stabilizzazione

Attenzione che il calo dal 21,3% al  17,8% è stato dovuto a un ricalcolo dei criteri con cui viene valutata la disoccupazione in Cina, che ha portato a un  suo alleggerimento.

Questi numeri, seppur in lieve calo nell’ultimo trimestre, segnalano che quasi un giovane su cinque non trova impiego. È una risorsa immensa sprecata, un buco nel potenziale produttivo del Paese che nessun sussidio potrà colmare a lungo termine.

La trappola dell’istruzione e la deflazione dei salari

C’è un aspetto ancora più preoccupante che emerge dall’analisi del South China Morning Post: l’inflazione dei titoli di studio. Quest’estate, la Cina ha riversato sul mercato del lavoro il numero record di 12,2 milioni di laureati.

Secondo la teoria economica classica, un aumento dell’offerta di lavoro qualificata dovrebbe spingere l’innovazione. Ma se la domanda è stagnante, il risultato è il declassamento. Vediamo ingegneri che fanno i fattorini e architetti che consegnano il cibo. Barclay Bram, del Center for China Analysis, ha centrato il punto: “Ciò che caratterizza i giovani di oggi è il loro livello di istruzione e la sensazione che il loro duro lavoro non sarà ricompensato in un’economia in difficoltà”.

Siamo di fronte a un paradosso keynesiano:

  1. Lo Stato e le famiglie hanno investito massicciamente nell’istruzione (Capitale Umano).

  2. L’economia reale, frenata da incertezze globali e crisi immobiliare, non crea posti ad alto valore aggiunto.

  3. Il risultato è una pressione deflazionistica sui salari: i giovani competono al ribasso, accettando lavori per cui sono sovraqualificati o, nel caso estremo, pagando per fingere di lavorare.

Stabilità sociale: l’incubo di Pechino

Per il Partito Comunista Cinese, la disoccupazione non è solo un dato economico, ma un rischio esistenziale. La legittimità del governo si basa su un patto sociale non scritto: crescita economica in cambio di stabilità politica. Se il “Sogno Cinese” si trasforma nel pagare 4 dollari per sedersi in un ufficio vuoto a Dongguan, la stabilità sociale scricchiola.

Il rischio è la creazione di una classe di “lavoratori fantasma” che, frustrati e senza prospettive, potrebbero trasformarsi in una bomba a orologeria sociale. Non è un caso che l’occupazione giovanile sia ora la “massima priorità” nell’agenda di Xi Jinping. Tuttavia, senza uno stimolo massiccio alla domanda interna (e non solo agli investimenti infrastrutturali o all’export), è difficile vedere come questi 12 milioni di nuovi laureati potranno essere assorbiti.

Conclusione: Un monito per l’Occidente?

Guardare alla Cina con distacco sarebbe un errore. La tendenza a pagare per lavorare rappresenta l’estremizzazione di dinamiche presenti anche in Europa: stage non retribuiti, formazione continua a spese del lavoratore, e la “gig economy” che scarica il rischio d’impresa sull’individuo.

L’ufficio finto di Dongguan è il monumento al fallimento delle politiche dell’offerta in assenza di domanda. È la dimostrazione che il mercato, lasciato a se stesso in fase recessiva, non trova sempre un equilibrio razionale, ma può generare aberrazioni dove il disoccupato diventa cliente della sua stessa illusione lavorativa. Un’ironia amara, ma che ci deve far riflettere sulla necessità di politiche economiche che rimettano al centro il lavoro vero, retribuito e produttivo.

Che futuro per i giovani cinesi?

Domande e risposte

Come funziona esattamente il modello di business di queste aziende di “finto lavoro”?

Queste aziende operano essenzialmente come spazi di coworking a basso costo, ma con una forte componente psicologica. Non vendono solo una scrivania e la connessione internet, ma vendono “l’esperienza dell’ufficio”. Il cliente paga una tariffa oraria o giornaliera per replicare la routine lavorativa. Il margine di profitto per l’azienda deriva dalla saturazione degli spazi con costi fissi relativamente bassi, sfruttando l’enorme massa di disoccupati che cercano di mantenere una parvenza di normalità e socialità.

Perché un disoccupato dovrebbe spendere soldi invece di risparmiare in un momento di crisi?

Sembra controintuitivo, ma rientra nell’economia comportamentale. La spesa (circa 4 dollari) è percepita come un investimento nella propria salute mentale e reputazione sociale. Stare a casa tutto il giorno in Cina può portare a conflitti familiari e depressione. “Comprare” un luogo dove andare ogni mattina fornisce una struttura alla giornata, evita l’isolamento e permette di dire ai parenti o ai vicini che si sta “andando in ufficio”, preservando la dignità personale in una società altamente competitiva.

Quali sono le implicazioni economiche a lungo termine se questa tendenza continua?

Se strutturale, questo fenomeno indica una profonda inefficienza nell’allocazione delle risorse umane (mismatch). Significa che il capitale umano formato (i laureati) non viene utilizzato per produrre ricchezza, ma viene “parcheggiato” in attività improduttive. A livello macroeconomico, questo deprime la crescita potenziale del PIL, riduce i consumi futuri (poiché questi giovani stanno erodendo i risparmi invece di generare reddito) e aumenta il rischio di deflazione salariale, poiché l’eccesso di offerta di lavoro disperata abbassa il potere contrattuale.

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