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Pace Fiscale: o sia vera pace o non sia. Prima parte: le liti fiscali

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Iniziano ad essere pubblicate le prime indiscrezioni sui provvedimenti fiscali del Governo e , pur essendo lodevole l’intenzione e pur essendo indiscrezioni parziali, tutte da discutere in Parlamento che, per fortuna, è sovrano, alcuni dubbi vengono a porli, e sono dubbi di senso opposto a quelli che sono stati posti da buona parte delle opposizioni i cui esponenti, non avendo svolto attività imprenditoriale in vita loro, non conoscono la vita del “Pressato fiscale italiano” medio.

Lodevole è la cancellazione delle minicartelle sotto i 1000 euro dal 2000 al 2010, anche se ritenevamo che fossero prescritte nella loro quasi totalità. Non è chiaro come questa avverrà (non basterebbe un motu proprio dell’Agenzia delle Entrate? Ci vorrà un’istanza? se non so di avere una cartella per 30 euro me lo comunicherà qualcuno? Ci sarà un minicondono legato magari alla presentazione dell’istanza in bollo?). Vedremo come verrà applicato in pratica.

Vorrei invece esaminare il problema dei ricorsi davanti alla commissioni provinciali (primo grado) e regionali (secondo grado). Qui il discorso però deve essere approfondito e reso più completo.

Prima di tutto ricordiamo che la situazione attuale dei rapporti fra Agenzie delle Entrate e contribuenti è tutt’altro che idilliaca. Esigenze di cassa (e di debito), mascherate da esigenze di equità incredibilmente distorte, hanno portato a situazioni assurde come lo spesometro, l’inversione dell’onere della prova etc, quando la fine del segreto bancario a livello internazionale è già, unito agli stringenti vincoli sul contate e le verifiche dei valori catastali, più che sufficiente a reprimere le evasioni economicamente rilevanti. Perchè si sono utilizzati questi stupidi lacciuoli? per FARE DEBITO: un governo introduceva lo spesometro, il reverse charge o qualche altra cavolata simile per poter poi scrivere in bilancio che questo avrebbe diminuito l’evasione di X miliardi e quindi poter fare X miliardi in più di spesa senza che l’Europa , in questo caso cieca, dicesse nulla. Insomma una presa in giro delle norme fatta sulla pelle dei cittadini che non ha portato ad un centesimo di recuperato reale, ma ha  ingolfato di poteri l’Agenzia ed ha ridotto il cittadino a servo della gleba fiscale, oltre ad aver generato un contenzioso enorme.

Se si vuole la “PACE” cioè ritornare ad un rapporto fiscale e giuridico equo, è necessario che tutto questo contenzioso, a partire da quello generato dall’applicazione delle norme più assurde ed astruse, dai coefficienti presuntivi alle rendite catastali, siano trattati come quello che sono: fatti oltre il limite del diritto naturale e nati dall’arbitrarietà. La proposta attuale di cui si parla, per fortuna ancora in modo ufficioso, per cui si può chiudere un contenzioso vittorioso in primo grado pagando il 50% del dovuto e vittorioso in secondo grado pagando il 20% è, sinceramente scandalosa moralmente ed inefficace praticamente.

Due fattori sono da considerare: il comportamento del ricorrente e quello degli uffici. Iniziamo dal primo attore. Un ricorso tributario è l’ultima ratio perchè costoso ed incerto. Il contribuente che se ne avvale lo fa perchè pensa, spesso a ragione, di essere dalla parte giusta, di subire un torto, per cui c’è un elemento anche di GIUSTIZIA che muove i suoi passi. Se vince in primo grado , pagandone per altro le spese legali in quanto, anche quando ha ragione in modo lapalissiano, la liquidazione delle spese da parte dell’Ufficio è sempre insufficiente, perchè dovrebbe pagare il 50% ed ammettere di avere torto? Farà sicuramente ricorso in secondo grado. Non parliamo poi del secondo grado, perchè se ha resistito sino a quel punto ed ha ancora vinto, caricandosi di ulteriori spese legali, perchè dovrebbe pagare una “Stecca” del 20% all’ufficio perdente. Se si vuole una vera PACE fiscale nel contenzioso è necessario:

  • proporre un’offerta transattiva a chi ha fatto ricorso di primo grado differenziata sulla base della causa del contendere, che possa arrivare al 50%;
  • se il contribuente è vincitore in primo grado l’esclusione della possibilità del ricorso deve essere fatta con una percentuale molto più bassa, attorno al 20%, da giustificarsi non come un’ammissione di colpa, ma come eliminazione dell’alea  legata alla possibilità di ulteriore ricorso dell’ufficio;
  • se il contribuente è vincitore in secondo grado la percentuale deve ulteriormente dimezzarsi.

Per quanto riguarda l’Ufficio una normativa così punitiva per il contribuente anche vincitore rischia di essere uno sprono a proseguire con ricorsi in commissione regionale o Cassazione anche nei casi un cui questo non sia giustificato, solo per obbligare il contribuente comunque ad aderire in modo parziale. Inoltre sarebbe primo o poi da individuare, al fianco al regime premiale per il recuperato, anche un regime premiale negativo per gli uffici, relativo al danno erariale derivante dalle cause che l’ufficio ha proseguito e che si sono rivelate oggettivamente senza base legale, per non spingere a perseguire ricorsi infondati basandosi solo sull’alea (leggasi casualità) legata al comune pensiero per cui “Anche se perdo, non vengo toccato”.

Tra l’altro l’equilibrio di una proposta che voglia veramente ricostruire una base di diritto nei rapporti fra fisco e contribuente verrebbe sicuramente ad avere dei forti riscontro non solo morali, ma pratici, convertendosi in un significativo flusso finanziario per lo stato. Del resto in una situazione in cui siamo “Tutti evasori” potenziali, per norme assurde o squilibrate, nessuno è un vero evasore, e tutta la riprovazione morale del caso viene ad essere inefficace, se non contro-produttiva.


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