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Economia

OpenAI in “Codice Rosso”: Altman ferma tutto per inseguire Google. La bolla AI scricchiola o si evolve?

Sam Altman ferma i nuovi progetti e mobilita l’azienda per salvare ChatGPT. Google Gemini avanza e i conti preoccupano: la sfida dell’AI entra nella fase critica.

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Sam Altman ha premuto il pulsante del panico. Quello che filtra dal quartier generale di OpenAI non è il solito annuncio trionfalistico, ma un “Codice Rosso” che ha il sapore amaro della rincorsa. In un memo interno, visionato dal Wall Street Journal, il CEO di OpenAI ha messo in pausa i progetti collaterali per concentrarsi sull’unica cosa che conta davvero: salvare la leadership di ChatGPT.

La mossa è la più chiara ammissione, finora, che la pressione della concorrenza — in particolare quella di Google — sta iniziando a fare male. Non siamo più nel 2023, quando OpenAI correva da sola; ora il gigante di Mountain View e la rivale Anthropic hanno non solo colmato il divario, ma su certi fronti hanno messo la freccia per il sorpasso.

La Grande Pausa: priorità alla sopravvivenza

Altman è stato chiaro: bisogna lavorare sull’esperienza quotidiana del chatbot. La priorità assoluta è migliorare le funzionalità di personalizzazione, la velocità e l’affidabilità. Tutto il resto può attendere.

Ecco cosa è stato, di fatto, congelato o rallentato:

  • Lo sviluppo della pubblicità sulla piattaforma.

  • Gli agenti AI dedicati a salute e shopping.

  • L’assistente personale denominato Pulse.

Nick Turley, capo di ChatGPT, ha confermato su X che il focus è rendere il bot “ancora più intuitivo e personale”. Una bella frase per dire che il prodotto attuale, evidentemente, non basta più.

I Numeri della Sfida: Google morde

La preoccupazione principale di Altman ha un nome: Gemini. Il modello di Google, nella sua ultima versione rilasciata il mese scorso, ha superato OpenAI nei test di riferimento del settore, facendo volare le azioni di Alphabet.

Mentre OpenAI vanta ancora una base utenti massiccia (800 milioni settimanali), la crescita di Google è impressionante, trainata dall’integrazione nel suo ecosistema.

Di seguito un confronto rapido tra i due contendenti basato sugli ultimi dati:

IndicatoreOpenAI (ChatGPT)Google (Gemini)
Utenti> 800 milioni (settimanali)650 milioni (mensili, in rapida crescita)
Trend recenteDifficoltà con GPT-5 (rilasciato ad agosto)Crescita forte post-lancio “Nano Banana”
Modello finanziarioDipendente da aumenti di capitale continuiInvestimenti coperti dai ricavi propri
Stato attualeCodice Rosso (Focus sulla qualità)Espansione aggressiva

Il problema è che Gemini 3.0 risulta superiore,  e anche di molto, a chatGPT in alcuni campi: il primo eccelle nel riconoscimento visivo e nella creazione grafica, oltre ad essere notevolmente migliorato nella creazione dei testi, ma il modello di OpenAI è ancora ottimo nelle attività di editing del software e di programmazione. Peccato che le caratteristiche del primo siano molto più diffusamente utilizzate.

Il problema della sostenibilità economica

Qui veniamo al punto caro a chi, come noi, guarda i bilanci e non solo le slide di marketing. OpenAI non è profittevole. Per sopravvivere deve raccogliere fondi a un ritmo forsennato, il che la pone in netto svantaggio rispetto a Google, che può finanziare la guerra dell’AI con i flussi di cassa generati da Search e YouTube.

Le proiezioni interne sono da capogiro: per generare profitti nel 2030, OpenAI dovrà raggiungere ricavi per circa 200 miliardi di dollari. Una scommessa colossale che lega a doppio filo il destino della startup a quello di partner come Microsoft, Nvidia e Oracle. Le recenti incertezze sulla timeline dei ricavi hanno già creato tremori nei mercati azionari, preoccupati per gli investimenti in data center da centinaia di miliardi.

I passi falsi di GPT-5

Non aiuta il fatto che l’ultimo modello di punta, GPT-5, rilasciato lo scorso agosto (2025), sia stato accolto tiepidamente. Gli utenti hanno lamentato un “tono più freddo” e difficoltà su compiti basilari di matematica e geografia, costringendo l’azienda a correre ai ripari con aggiornamenti successivi per renderlo più “caldo”.

La battaglia si gioca ora sul filo del rasoio: bilanciare la sicurezza (per evitare disastri PR) con il coinvolgimento (per non perdere utenti). Altman promette che il prossimo modello di “ragionamento”, in arrivo settimana prossima, batterà nuovamente Google. Ma fino ad allora, il colore a San Francisco resta un allarmante rosso acceso.

Domande e risposte

Cosa significa esattamente “Codice Rosso” per un’azienda come OpenAI?

Il “Codice Rosso” è il massimo livello di urgenza interna utilizzato da OpenAI (dopo giallo e arancione). Indica una mobilitazione totale delle risorse verso un unico obiettivo critico. In questo caso, significa che lo sviluppo di nuovi prodotti “accessori” viene fermato per concentrare tutti gli ingegneri e le risorse sul miglioramento del prodotto principale, ChatGPT. È una mossa difensiva che segnala come l’azienda senta minacciata la propria posizione di leadership tecnologica e di mercato.

Perché Google rappresenta una minaccia così seria nonostante il vantaggio iniziale di OpenAI?

Google possiede due vantaggi strutturali che OpenAI non ha: una capacità finanziaria quasi illimitata derivante dai propri utili (mentre OpenAI dipende dai finanziatori) e un ecosistema di distribuzione integrato (Android, Search, Docs). Inoltre, con il recente rilascio di versioni avanzate di Gemini e tool come “Nano Banana”, Google ha dimostrato di aver colmato il gap tecnologico, offrendo prestazioni pari o superiori nei benchmark, erodendo la percezione di “unicità” di ChatGPT.2

Qual è la situazione finanziaria di OpenAI in questo contesto?

La situazione è delicata. Nonostante l’enorme base utenti, l’azienda opera in perdita a causa degli spaventosi costi computazionali. Le proiezioni indicano la necessità di raggiungere 200 miliardi di dollari di ricavi entro il 2030 per diventare profittevole. Questa necessità di capitale continuo la rende vulnerabile agli umori degli investitori e alle fluttuazioni del mercato azionario, a differenza dei suoi concorrenti “Big Tech” che hanno bilanci solidi e diversificati.

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