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OPEC+: il “Grande Bluff” continua. Quote ferme fino al 2026, ma il mercato teme l’eccesso di offerta

L’OPEC+ congela la produzione fino al 2026 per fermare il crollo dei prezzi, ma il mercato teme un bluff: tra scappatoie tecniche, tassi alti e petrolio russo, l’eccesso di offerta sembra inevitabile con il Brent a 63$.

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L’OPEC+ ha parlato, o meglio, ha deciso di non decidere nulla di drastico, cercando di mantenere una facciata di unità in un mercato che sta diventando sempre più scivoloso. Nella riunione di domenica, il cartello petrolifero e i suoi alleati (Russia in testa) hanno concordato di estendere i tagli alla produzione di petrolio per tutto il 2026.

Una mossa che sa di difesa disperata: con il Brent sceso vicino ai 63 dollari al barile (un calo del 15% da inizio anno), il gruppo cerca di evitare il collasso dei prezzi in un contesto macroeconomico incerto.

Brent, quotazione Tradingeconomics

L’accordo in pillole

Per rendere chiara la situazione, ecco i punti salienti emersi dal meeting di domenica:

  • Quote congelate: I limiti di produzione attuali rimarranno invariati per tutto il 2026.

  • Pausa agli aumenti: Otto paesi chiave dell’OPEC+ hanno concordato in linea di principio di non aumentare la produzione nemmeno nel primo trimestre del 2026 (dopo aver già immesso 2,9 milioni di barili da aprile 2025).

  • Il nodo del 2027: È stato approvato un nuovo meccanismo tecnico per valutare la “massima capacità produttiva” dei membri, che servirà a stabilire le quote dal 2027 in poi. Un modo elegante per rimandare le liti interne tra chi vuole pompare di più (Emirati Arabi) e chi non riesce a produrre (Nigeria, Angola).

Il contesto Geopolitico: La variabile “Pace”

La riunione arriva in un momento delicatissimo. Gli Stati Uniti stanno spingendo per un accordo di pace tra Russia e Ucraina. Perché è importante per il petrolio? Semplice: se le sanzioni alla Russia venissero allentate in seguito a una tregua, un fiume di greggio russo potrebbe tornare ufficialmente sul mercato, aumentando l’offerta e deprimendo ulteriormente i prezzi.

Se invece la pace fallisce, Mosca vedrebbe la sua capacità di esportazione ulteriormente erosa dalle sanzioni. L’OPEC+, che controlla metà dell’offerta mondiale, si trova quindi ostaggio della geopolitica.

Quote ingannevoli?

Qui entra in gioco l’ironia della realtà contro la finzione dei comunicati stampa. Mentre l’OPEC+ parla di “piena conformità”, gli analisti più attenti storcono il naso.

Javier Blas di Bloomberg ha recentemente definito le mosse del cartello come una inganno artistico. Il trucco?

  1. Le scappatoie: Le quote OPEC si applicano solo al “crude” (greggio), escludendo i condensati e i gas liquefatti naturali (GNL). I produttori sfruttano questa zona grigia per pompare molto più di quanto dichiarato.

  2. La realtà dei dati: I dati di tracciamento delle petroliere suggeriscono che paesi come gli Emirati Arabi Uniti stiano producendo ben oltre i limiti.

  3. Barili in mare: Secondo la società di analisi Kpler, i volumi di petrolio “sull’acqua” (in viaggio o stoccati in mare) sono ai massimi dai tempi della pandemia del 2020.

Il problema vero: I tassi d’interesse

Al di là delle quote, c’è un problema prettamente finanziario che dovrebbe preoccupare i mercati. Blas sottolinea che il pericolo maggiore non è solo la sovrapproduzione, ma i tassi di finanziamento superiori al 6%.

In passato, il credito a basso costo permetteva ai trader di stoccare petrolio in attesa di tempi migliori (il cosiddetto contango). Oggi, col denaro che costa caro, nessuno vuole tenere scorte invendute. Questo spinge il petrolio sul mercato “a qualsiasi prezzo”, deprimendo le quotazioni.

Prospettive fosche

Mentre l’Agenzia Internazionale dell’Energia prevede un surplus di oltre 4 milioni di barili al giorno per il prossimo anno e JP Morgan parla di un “eccesso persistente”, l’OPEC+ cerca di guadagnare tempo. Il prossimo appuntamento è fissato per il 7 giugno 2026. Fino ad allora, prepariamoci a vedere se la “disciplina” dichiarata reggerà alla prova della realtà economica.

Domande e risposte

Perché il prezzo del petrolio scende nonostante i tagli alla produzione? Il mercato sta scontando un eccesso di offerta strutturale previsto per il 2026 e oltre. Nonostante i tagli nominali dell’OPEC+, la produzione reale (inclusi i paesi non OPEC come gli USA) è alta, mentre la domanda globale è tiepida, specialmente dalla Cina. Inoltre, gli alti tassi di interesse rendono costoso immagazzinare il petrolio, costringendo i produttori a vendere subito, spingendo i prezzi al ribasso verso i 60 dollari.

Cosa significa l'”inganno artistico” di cui parlano gli analisti? Si riferisce al fatto che i membri dell’OPEC+ rispettano le quote solo sulla carta. Molti paesi aggirano i limiti classificando parte della produzione come “condensati” o “liquidi di gas naturale”, che non rientrano nei conteggi ufficiali delle quote. Inoltre, i dati di tracciamento delle navi mostrano che l’export reale di alcuni membri, come gli Emirati Arabi, è superiore a quanto dichiarato, rendendo i tagli meno efficaci del previsto.

Come influisce la guerra in Ucraina su questa decisione? La guerra è una variabile cruciale. Se i tentativi di pace guidati dagli USA avessero successo e le sanzioni alla Russia venissero allentate, l’offerta globale di petrolio aumenterebbe ulteriormente, facendo crollare i prezzi. L’OPEC+ mantiene le quote ferme anche per proteggersi da questa eventualità. Viceversa, un inasprimento del conflitto potrebbe ridurre l’offerta russa, ma al momento il mercato teme più l’abbondanza che la scarsità.

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