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Nucleare: si o no? ( di C.A. Mauceri)

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Riceviamo e pubblichiamo, anche per mostrare la viarietà di opinioni nel dibattito

Da quando è iniziata la guerra in Ucraina, i governi europei sono tutti lì a parlare di fornitura di gas e petrolio. C’è chi (come l’Italia) si è precipitato in Africa a cercare di trovare nuovi fornitori di energia (mossa strategicamente sbagliata: è servita solo a spostare la dipendenza da un Paese all’altro e per di più extraeuropeo). Altri si sono vantati di aver ottenuto la fornitura di gas dagli USA o dal Canada. Anche in questo caso si tratta di scelte discutibili: i costi di trasporto (e i rischi per l’ambiente) sono esorbitanti. Eancora una volta non cambierebbe nulla quanto alla dipendenza dall’estero.

C’è stato chi ha riproposto la soluzione nucleare. Chi lo ha fatto evidentemente non conosce i veri rischi legati all’utilizzo di questa fonte energetica. Ma sopratutto non sa che, in Europa, il nucleare è già molto più diffuso di quanto si dica. Non solo in Francia, Paese che spesso finisce  sulle prime pagine dei giornali a causa degli incidenti che si verificano nelle sue centrali, molte delle quali obsolete e vecchie di decenni. Ma in molti altri Paesi.

Gli USA (che protestano ogni volta che un Paese mediorientale cerca di costruire una centrale nucleare accusandolo di volere produrre armi atomiche) sono la prima nazione al mondo per energia nucleare prodotta: 96 reattori nucleari – il numero attualmente più alto al mondo per singola nazione – che coprono circa il 20 per cento del totale dell’energia elettrica utilizzata negli USA (e il 30 per cento del totale dell’energia nucleare prodotta a livello globale).

Al secondo posto per numero di centrali nucleari ci sarebbe la Francia: 58 reattori nucleari la rendono la terza potenza energetica nucleare a livello globale e il primo Paese al mondo per utilizzo di nucleare nel proprio mix energetico (ben il 70 per cento dell’energia elettrica proviene dai suoi reattori). Una produzione che, a breve, potrebbe aumentare grazie a un investimento da 50 miliardi di euro per produrre altri otto reattori.

In Europa non è la Francia il Paese che, grazie al nucleare, soddisfa la maggior percentuale del proprio fabbisogno energetico. Questo primato spetterebbe alla Slovacchia che genera buona parte dell’energia richiesta con il nucleare(alcune centrali sono prodotte dall’ENEL che “è uno dei maggiori operatori europei, con impianti della capacità complessiva di 5.370 MW in esercizio in Spagna e Slovacchia”!).

L’Europa è costellata di centrali nucleari. Ce ne sono 15 in Ucraina (Paese in guerra – e pensare che, allo scoppio della guerra,  c’è stato chi ha cercato di far credere che dipendeva dal gas russo). A proposito di Russia, qui ce ne sono ben 39 regolarmente attive (quanto accaduto a Chernobyl nel 1986 pare non aver insegnato nulla). E poi il Regno Unito che, con le sue 15 centrali è tra i Paesi europei maggiori produttori europei di energia nucleare. A seguire ci sono Belgio, Spagna e Svezia (ciascuna con 7 centrali nucleari). E poi Repubblica Ceca e Germania (ciascuna con sei centrali), Finlandia, Ungheria Slovacchia e Svizzera (quattro ciascuna) e la Bulgaria (“solo” due).

Fuori dall’Europa, tra i Paesi con il maggior numero di centrali nucleari ci sono il Canada (19), l’India (22), la Corea del Sud (24), il Giappone (33, anche qui i danni causati dal disastro di Fukushima nel 2011 sembrano non aver insegnato nulla) e la Cina. Proprio la Cina potrebbe diventare a brevissimo il Paese con il maggior numero di centrali nucleari al mondo: entro i prossimi 15 anni saranno completati150 nuovi reattori nucleari (che si andrebbero ad aggiungere ai 50 già attivi). La giustificazione del governo cinese (come di molti altri paesi) è che si sta compiendo un grande sforzo per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni entro il 2050. Ma si tratta di un’arma a doppio taglio. É vero che le emissioni di CO2 e metano dalle centrali nucleari sono praticamente zero, ma esistono altri rischi. E ben maggiori. Rischi che potrebbero comportare danni all’ambiente e alla salute davvero incontrollabili. E a poco servirebbero le misure previste dai piani di emergenza (i disastri avvenuti negli ultimi anni lo dimostrano).

E l’Italia? Con un referendum popolare l’Italia ha detto (giustamente) un secco no al nucleare. Ha adottato politiche molto più “sicure”. Poi, però, con una scelta discutibile, ha deciso di acquistare l’energia prodotta dalle centrali nucleari oltre confine. Oppure di fare salti mortali per comprare prima il petrolio e poi il gas da Paesi esteri poco affidabili. Edi fare molto poco per sfruttare le risorse “verdi” del territorio. Risorse che, in Italia come in molti altri Paesi mediterranei sono davvero rilevanti. Produrre energia dal sole (fotovoltaico e termico) e dal vento potrebbe consentire di realizzare un vero cambiamento. Anzi una vera rivoluzione: si pensi a cosa significherebbe soddisfare buona parte del fabbisogno energetico con energia auto-prodotta. Significherebbe (quasi) zero emissioni. Significherebbe liberarsi dalla dipendenza dai contratti capestro delle grandi multinazionali del petrolio e dell’energia. Significherebbe non dipendere dai diktat, economici e non solo, di paesi stranieri (come dimostra quanto accaduto dall’inizio della guerra in Ucraina con il prezzo del petrolio e del gas schizzati alle stelle). Soddisfare il proprio fabbisogno energetico con energia auto-prodotta significherebbe non essere più dipendenti da tutto questo. Potrebbe essere un ulteriore stimolo anche a portare avanti il tanto decantato New Green Deal. E forse dare una spinta anche la tanto vantata mobilità elettrica.

Invece no. Gli ultimi governi (non solo il governo Draghi) pare abbiano dimenticato tutto questo. Di solare e eolico si parla molto poco (e si fa ancora meno). L’energia per le auto elettriche “non inquinanti” viene prodotta da centrali alimentate con combustibili fossili (addirittura è stata rimandata la chiusura di una grande centrale elettrica a carbone!). Ci si è vantati del risultato ottenuto con la missione in Algeria (dove il premier, accompagnato da un pletora di ministri, ha firmato un contratto per rendere l’Italia dipendente non più dall’Ucraina ma da un altro Paese straniero).

E intanto, nel silenzio più totale, a marzo 2022, con l’ennesimo DPCM è stato approvato il nuovo “Piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari da impianti oltre confine”. Un piano che dovrebbe servire a fronteggiare le conseguenze di incidenti o inconvenienti in impianti nucleari posti al di fuori dei confini nazionali, secondo tre diversi scenari: impianti entro i 200 chilometri dal confine nazionale; impianti oltre i 200 chilometri dal confine nazionale; impianti in paesi extraeuropei. Sono definite le procedure operative per la gestione del flusso delle informazioni tra i diversi soggetti coinvolti, l’attivazione e il coordinamento delle principali componenti del Servizio nazionale della protezione civile (Snpc), e il modello organizzativo per la gestione dell’emergenza, con l’indicazione degli interventi prioritari da disporre, a livello nazionale, ai fini della massima riduzione degli effetti indotti sulla popolazione e sull’ambiente. Un piano che, come tanti altri (si pensi a ciò che è successo con la pandemia da COVID-19) lascia molte perplessità e non pochi dubbi. Un esempio per tutti. Il Piano prevede che le Regioni dovrebbero avere a disposizione le pasticche allo iodio da distribuire alla popolazione (per fasce d’età) in caso di incidente nucleare. Ebbene, quante sono le Regioni italiane che si sono già attivate, non solo per acquistare queste pasticche ma soprattutto per organizzare la distribuzione ai beneficiari in pochissime ore (oltre, non servono più a niente). Di tutto questo si è preferito non parlare.

 

C.Alessandro Mauceri


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