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Economia

NAVA, una proposta concreta per convertire il reddito cittadinanza nelle nuove attività a valore aggiunto

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NAVA una proposta per trasformare il reddito di cittadinanza in lavoro reale e di valore.

NAVA, articolo già a apparso sul blog economia spiegata facile.

Ferma restando la necessità di sostegno economico alle persone realmente impossibilitate a lavorare, è possibile convertire il reddito di cittadinanza in uno strumento che premi chi abbia voglia di fare e possa alimentare il tessuto produttivo locale, invece di sopprimerlo?

Le NAVA, nuove attività a valore aggiunto, potrebbero attirare i fondi prima destinati al reddito di cittadinanza premiando il merito e il talento delle persone disposte a mettersi in gioco. Vediamo, con un caso reale, quali sono le difficoltà dei piccoli imprenditori che si possono trasformare in grandi opportunità per il tessuto produttivo italiano.

Una storia vera per inquadrare il discorso

N. lavora da 25 anni nell’alta moda, ma sente che è tempo di mettersi in gioco con un progetto parallelo che, chissà, magari un giorno diventerà tutto suo. C. lavora nella grafica e nella comunicazione da una vita. Vanta crediti presso clienti ed ex datori di lavoro che superano gli n. mila euro e l’ultimo cliente che gli ha commissionato un piccolo lavoro ha fatto sparire le sue tracce proprio quando doveva staccare il pagamento. Una strana coincidenza che i liberi professionisti conoscono bene e che è sempre più frequente.
NAVA, nuove attività a valore aggiunto NAVA, nuove attività a valore aggiunto
N e C sono coetanei, hanno entrambi 45 anni; quindi un profilo anagraficamente poco appetibile per l’investitore che è abituato a vedere le start up come il regno dei giovincelli. Insieme hanno in mente un’idea che pare possa funzionare. Un piccolo brand di vestiario in stile retrò di alta qualità in cui mettere tutte le loro competenze e la passione per il lavoro.Da una loro ricerca di mercato risulta che la potenziale clientela supera le aspettative. In Italia e all’estero c’è una crescente richiesta del tipo di abbigliamento che hanno in mente.
Producono un piccolo campionario e lo mostrano nei locali e ai mercatini del fai da te. Il riscontro è buono e decidono di fare una piccola produzione.
Sfruttano le loro abilità per progettare e ottimizzare i capi e per creare un vero e proprio brand: logo, comunicazione, sito con tanto di negozietto online. Tutto lavoro fatto in proprio che gli fa risparmiare una decina di migliaia di euro.


Un brand che piace

Il brand piace e con il loro lavoro sui social nell’arco di poche settimane hanno già attirato l’attenzione da parte di attività sospette provenienti dalla Cina che hanno tutta l’aria di essere del tipo che ti clonano il marchio e ti scippano il lavoro costruito con fatica. Fanno delle indagini tramite un amico a Taiwan ed effettivamente risulta essere proprio il caso di queste società, talvolta mascherate da imprese americane, che si prendono il tuo know-how e ti ricompensano con una mancetta, mentre nel frattempo si sono registrate il tuo marchio e di fatto ti trasformano in una loro proprietà. Ma il loro è un marchio nuovo ed è nato dal basso. Trattandosi di capi di fascia medio-alta il pubblico non è tutto disposto a puntare a occhi chiusi spendendo più di quanto pagherebbero in un negozio un capo, benché di solito acquistino abbigliamento fatto in Cina o in Thailandia. Si limitano a guardare il cartellino del prezzo. Fanno tanti complimenti, vorrebbero comprare, ma non hanno i mezzi economici per farlo. Complessivamente l’esperimento frutta gli incassi sufficienti ad iniziare ad ammortizzare i costi iniziali.metro a fettuccia sartoria Atreo da sarto

I primi risultati commerciali

La spesa fino ad ora sostenuta è di circa 12.000 euro complessivi, che hanno creato dal nulla un piccolo valore, di oltre 25.000 euro.

I ricavi sono intorno ai 7.000 che, tolte le spese per partecipare agli eventi, gli spostamenti per produrre i vari pezzi della collezione, la periodica stiratura dei capi, ecc. si riducono a circa la metà.
Però la loro idea ha creato lavoro per i venditori dei tessuti e degli accessori come i bottoni, per i prototipisti, per il tagliatore dei tessuti, per i sarti del laboratorio artigianale, per la piccola serigrafia artigianale che ha stampato sacchi tasca ed etichette, per la tipografia che ha stampato il materiale promozionale.
Complessivamente il progetto ha creato reddito per almeno 18 persone.

Ora i due incontrano la prima sostanziale difficoltà. I clienti chiedono più varietà di tessuti e di scelta dei capi, chiedono taglie più piccole e più grandi rispetto a quelle proposte con il campionario sperimentale.

Occorre reinvestire parte degli incassi se non tutto nella nuova produzione per soddisfare le richieste e portare ad un livello superiore il test sulla start-up.

Non sanno ancora se avranno successo, ma che la collezione necessiti di un ampliamento, lo sapevano già dall’inizio.


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I colli di bottiglia che soffocano il business

ditale da sarto

Quando è ora di mettersi a commerciare il loro brand capiscono che l’unico modo è proporsi come hobbisti, perché aprire una attività commerciale, per quanto in proprio, costerebbe la bellezza di 3.600€ all’anno a testa di INPS solo per aprire la posizione fiscale come artigiani.
Se aprono la posizione fiscale il capitale accumulato con le prime vendita verrà del tutto cancellato e non rimarrà un solo euro per creare all’ampliamento della collezione. Ma se non lo fanno incontreranno difficoltà a proporsi in pubblico, con la spada di Damocle della finanza sempre incombente sulle loro teste.
Inoltre gli hobbisti non sono visti di buon occhio nei mercati del vintage più importanti, dove esserci farebbe la differenza.

Occorre promuoversi in rete, ma anche questo ha un prezzo e non necessariamente gli corrisponde un ritorno commerciale.

Allora come e cosa fare?

Servirebbe poter crescere senza incorrere nella certezza di morire prima ancora di essere partiti e la normativa attuale non lo prevede.

In più bisognerebbe registrare il marchio per tutelarlo sul mercato dalle contraffazioni e dallo sfruttamento indebito del loro duro lavoro di costruzione del brand, visto che sono già finiti sotto la lente dei cinesi.

Ma poi perché aprire una posizione INPS quando N ha già il suo lavoro e C conduce la propria attività con la partita iva in un settore diverso?

 

progettazione moda - NAVA

 

Tutto sommato svolgono compiti di consulenza alla produzione e alla comunicazione. Non costruiscono fisicamente il prodotto, ma lo producono intellettualmente. Se potessero lavorare fin da subito alla luce del sole potrebbero scaricare le spese, l’iva e quindi acquistare i tessuti dai produttori, anziché reperire quello che trovano dagli stocchisti e nelle botteghe a costi di negozio invece che a prezzo di produttore!

Cosa avverrebbe se lo Stato investisse nel lavoro invece che nell’assistenzialismo nei confronti di chi potrebbe fare come N e C? E se convertisse la spesa destinata al reddito di cittadinanza (invece di abolirlo) in crediti fiscali da destinare allo sgravio di tutte le spese in tasse e in versamenti previdenziali che affossano le attività?

Se N e C potessero avere il tempo necessario a costruire il loro progetto in sicurezza, alla luce del sole e magari con un partner al fianco invece che un controllore costantemente alle loro spalle, ciò non creerebbe occupazione e un primo passo indietro verso le produzioni interne, ora che la globalizzazione è entrata in crisi ed occorre tornare a produrre in casa nostra?

È ipotizzabile un patto tra Stato e artigiani per fare un “cartello” del Made in Italy 100% reale?

Gli inoccupati sono a perdere. Le banche non li finanzieranno mai, per via delle regole di Basilea 3; gli investitori non puntano sui quarantenni e poi siamo sicuri che contrarre debiti con un ente invece che un altro comporti tutta questa differenza?

Possiamo trasformare questi “vuoti a perdere” in risorse e in una scorciatoia verso un nuovo mercato interno, proprio mentre il commercio internazionale da cui dipendiamo sta crollando?


 

NAVA = nuova attività a valore aggiunto

Proviamo a dargli un nome: nuove attività a valore aggiunto; in un acronimo, NAVA.
N e C Hanno appena creato a 45 anni una sorta di start-up della moda. Non una cosa sulla carta, di quelle che nel 90% dei casi chiudono entro pochi anni. La loro è una attività concreta e testata, capace di creare lavoro per molte persone e in grado di creare valore concreto, eppure il loro principale problema è sfuggire alle regole e alle gabelle invece di concentrarsi sulla realizzazione del loro piano.

È una nuova attività a valore aggiunto come le tante che, come qui nel Nordest potrebbero nascere anche in Campania, un’altra Regione di grande tradizione sartoriale, dalle ceneri del reddito di cittadinanza. Anche lì centinaia di piccole aziende hanno chiuso lasciando sulle spalle della collettività il peso del reddito di cittadinanza dato a chissà quanti potrebbero essere messi nelle condizioni di fare come N e C se avessero le spalle coperte per quei 3/5 anni necessari a rimettersi in pista.

Riceverebbero quei contributi sostituivi del reddito di cittadinanza per creare la propria attività. Quei soldi andrebbero ad alimentare il tessuto produttivo locale fatto di altri tessutai, artigiani, piccole serigrafie, prototipisti, ecc.


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Come normare le NAVA?

Si è fatto un gran parlare di come il reddito di cittadinanza avrebbe creato posti di lavoro facendo leva sui talenti delle persone emarginate dalla crisi economica.

Come per la moda, lo stesso progetto delle NAVA potrebbe essere adattato ad altri settori che oggi non vengono baciati dalla moda delle start-up. Le NAVA darebbero lavoro a quanti rimangono tagliati fuori dall’automazione nelle fabbriche, dalla delocalizzazione o dalla chiusura delle aziende e dal crollo dell’economia.

Qualcosa che negli anni di governo dei Cinquestelle non si è realizzato perché trattato come forma assistenziale che non andava a premiare il merito e le capacità reali.

Come attuare un’idea del genere? Qual è l’incubatole che dobbiamo inventare per mettere all’opera quei tanti che hanno il talento sotto chiave?

  • Cancellando l’assurda spesa di 3.600€ solo per aprire una attività artigianale anche senza fatturare un solo euro?
  • Detassando un primo scaglione di reddito e aumentando progressivamente i successivi?
  • Creando gli sgravi fiscali e aiutare i piccoli artigiani ad aprire una attività capace di crescere e di consolidarsi?
  • Assegnando un contributo economico di partenza?
  • Abbassando l’iva come per le partite iva all’estero, in modo da ridurre i costi finali al consumatore?
  • Creando dei patentini aziendali oppure individuali?
  • Limitando tale possibilità a 2/5 micro imprenditori per evitare che vi sia una speculazione fraudolenta da parte dei furbetti, magari tramite gli immancabili prestanome?
  • Verificando che i fannulloni non possano entrare nel meccanismo?

E come normare questo comparto e come legare imprenditori artigiani con lo Stato con l’obiettivo di proteggerli anche contro il copia incolla dei loro brand in Cina ed estremo oriente in generale?

  • Come rendiamo redditizio, ovvero sostenibile per lo Stato questo investimento sul presente e sul futuro?
  • Come rendiamo vantaggioso uscire dal lavoro nero o dalla rassegnazione di non avere possibilità di reintegro nel mondo del lavoro?
  • Come trasformiamo un settore in perdita, come quello della disoccupazione in un comparto produttivo?
  • In che modo potremmo sfruttare la leva del moltiplicatore fiscale per lanciare questo progetto senza gravare troppo a lungo sullo Stato?
  • Con quale moneta alimentarlo?
  • Come creare la partnership virtuosa tra pubblico e privato?
  • Come rendere accessibile il NAVA ai piccoli potenziali imprenditori e allo stesso tempo renderlo agevole, rapido ma efficiente, senza creare mostri e carrozzoni burocratici o permettere a banche e organismi conto terzi di lucrare o sottrarre risorse al sistema?
  • Su quali basi e con quali sistemi selezionare i progetti effettivamente realizzabili invece di accontentare tutti, purché si presentino a ritirare i soldi?

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1 Commento

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  1. Costantino Rover

    9 Novembre 2022 at 00:23

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