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Malinvestimenti: la teoria economica dietro i danni della politica monetaria ultra-rilassata

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Con la stretta monetaria in corso da parte di molte banche centrali torna ad essere interessante un termine che non si sente più da tempo, ma che ha una sua fondatezza economica: il malinvestimento, cioè l’investimento distorto che porta alla distruzione del capitale investito.

Il malinvestimento è un termine usato dalla scuola economica austriaca per indicare gli investimenti sbagliati o inefficienti che si verificano a causa di una distorsione dei segnali di prezzo provocata da un’espansione monetaria artificiosa. Il malinvestimento si manifesta soprattutto nella fase di boom del ciclo economico, quando le banche riducono il tasso di interesse e aumentano il credito, inducendo gli imprenditori a intraprendere progetti che si rivelano poi non redditizi.

La teoria del ciclo economico di Hayek, spiega che il malinvestimento è dovuto alla combinazione di due fattori: la riserva frazionaria e il tasso di interesse artificiosamente basso. La riserva frazionaria è la pratica delle banche di prestare una parte dei depositi dei clienti, mantenendo solo una frazione come riserva.  Questo permette alle banche di creare moneta dal nulla e di espandere il credito oltre la quantità di risparmio reale disponibile. Il tasso di interesse artificiosamente basso è il risultato dell’espansione monetaria, che fa diminuire il costo del denaro e rende più attraenti gli investimenti a lungo termine.

Hayek sostiene che il tasso di interesse ha una funzione fondamentale nel coordinare le decisioni degli agenti economici, in particolare tra i consumatori e gli investitori. Il tasso di interesse riflette la preferenza temporale dei consumatori, cioè il loro grado di pazienza o impazienza nel rinunciare al consumo presente in cambio di un consumo futuro maggiore. Un tasso di interesse alto indica una forte preferenza per il presente, mentre un tasso di interesse basso indica una debole preferenza per il presente. Il tasso di interesse influisce anche sulle scelte degli investitori, che devono confrontare il rendimento atteso dei loro progetti con il costo del capitale.

Potremmo spiegare questo in modo diverso: l’interesse è il prezzo del tempo. Se il prezzo del tempo, cioè l’interesse, è alto, si tenderà a comprarne di meno con il prestito, quindi a fare investimenti che abbiano rendimenti in tempi più brevi. Se il prezzo è alto, allora se ne comprerà di più Se il prezzi viene tenuto artificialmente basso, allora si distorceranno le scelte dei consumatori e delle aziende spingendoli verso investimenti a più lungo termine. Quali sono questi investimenti? In caso classico è quello dell’immobilare, ma potrebbero anche essere investimenti di nessuna redditività se non nei tempi lunghi, come tecnologie non provate a lungo termine di  sviluppo.

Quando il tasso di interesse è determinato dal mercato, esso tende a equilibrare l’offerta e la domanda di risparmio e a garantire una corretta allocazione delle risorse tra i diversi stadi della produzione. La produzione ha infatti una struttura temporale, che va dai beni più lontani dal consumo finale (come le materie prime) ai beni più vicini al consumo finale (come i beni di consumo). Gli stadi più lontani dal consumo sono più lunghi e richiedono più capitale, ma offrono anche un rendimento maggiore nel lungo periodo. Gli stadi più vicini al consumo sono più brevi e richiedono meno capitale, ma offrono anche un rendimento minore nel breve periodo.

Quando il tasso di interesse è manipolato dalle banche centrali o dalle autorità attraverso l’espansione monetaria, esso non riflette più la preferenza temporale dei consumatori e crea una discrepanza tra i piani degli investitori e quelli dei consumatori. Gli investitori sono indotti a credere che ci sia più risparmio disponibile e che i consumatori siano disposti a rinviare il loro consumo in cambio di un maggior consumo futuro. Di conseguenza, gli investitori allungano la struttura della produzione e avviano progetti che richiedono più tempo e più capitale, ma che promettono un rendimento elevato nel lungo termine. Questa fase è quella del boom, caratterizzata da un aumento dell’attività economica, dell’occupazione e dei profitti.

Tuttavia, questa situazione non è sostenibile, perché i consumatori non hanno cambiato la loro preferenza temporale e continuano a desiderare un livello elevato di consumo presente. Il risparmio reale non è sufficiente a finanziare tutti i progetti avviati dagli investitori e il tasso di interesse deve inevitabilmente salire per ristabilire l’equilibrio tra l’offerta e la domanda di risparmio. A questo punto, molti progetti si rivelano non redditizi e devono essere abbandonati o ristrutturati. Questa fase è quella del crash, caratterizzata da una riduzione dell’attività economica, della disoccupazione e delle perdite.

Facciamo un esempio pratico: in un momento di forzati interessi bassi gli investitori sono spinti a credere che vi sia una forte domanda di beni con rendimenti a lungo termine e che richiedono alti investimenti, tipicamente le case. Questo incrementa l’attività economica perché viene a sovrapporsi alla normale domanda di beni a breve termine, beni di consumo, per cui abbiamo un momento di  boom. Però, progressivamente, la domanda eccessiva genera inflazione e quindi genera anche un aumento dei tassi di interesse, per il mantenimento dei rendimenti reali, al netto dell’inflazione. A questo punto i capitali offerti sono sia troppo costosi e scarsi, e questo costo eccessivo causa il fallimento degli investimenti immobiliari a lungo termine. Avremo una pletora di progetti non finiti, quindi di valore praticamente nullo che vengono svenduti sul mercato e assisteremo alla distruzione del capitale investito. Al boom segue il crash e la sua intensità viene a essere dipendente dall’eccesso di consumo precedente.

Il malinvestimento, quindi, è la causa principale del ciclo economico secondo la teoria di Hayek. Il malinvestimento implica uno spreco di risorse e una perdita di benessere sociale, perché gli investimenti non sono coordinati con le preferenze dei consumatori e non soddisfano i loro bisogni. Il malinvestimento richiede anche un processo di correzione, che consiste nel liquidare o riconvertire gli investimenti sbagliati e nel riportare la struttura della produzione in linea con la domanda effettiva. Questo processo è doloroso e richiede tempo, ma è necessario per ripristinare la salute dell’economia.

Per evitare il malinvestimento e il ciclo economico, Hayek propone di abolire la riserva frazionaria e di adottare una moneta basata sull’oro o su un altro bene scarso e stabile. In questo modo, il tasso di interesse sarebbe determinato dal mercato e non dalle banche, e rifletterebbe la preferenza temporale dei consumatori. Gli investitori sarebbero guidati da segnali di prezzo veritieri e coordinerebbero i loro piani con quelli dei consumatori. La struttura della produzione sarebbe adeguata alla domanda effettiva e non ci sarebbero fluttuazioni artificiali dell’attività economica.

L’osservazione che fa Hayek era corretta nell’epoca in cui operava, quando la gran parte delle valute era ancora ancorata, in qualche forma, all’oro. Ricordiamo che, per esempio, proprio negli anni trenta della grande crisi, fu Lord Keynes, l’amico personale e avversario ideologico di Hayek, a staccare la Sterlina dalla convertibilità in oro, superando quindi la visione dell’austriaco che vedeva nelle banche private il momento di eccesso di generazione di moneta. Al giorno d’oggi sono le politiche monetarie delle banche centrali a decidere l’offerta monetaria, ormai completamente staccata dall’oro.

Questa evoluzione però non  ha eliminato la possibilità di generare malinvestimenti, se mai ne ha modificato la direzione: se prima era il sistema creditizio il possibile colpevole, oggi sono le banche centrali, che agiscono con motivazioni politiche, nel tentativo di sostenere il ciclo economico e la crescita. Una funzione positiva, ma che dovrebbe essere accompagnata dalla politicca fiscale e demografica, non essere un qualcosa di separato e autonomo, quasi distaccato dalla realtà dei fatti. Invece si è distrutta la politica demografica, si è ingessata e depotenziata la politica fiscale, con i vincoli di bilancio e le normative draconiane di controllo sul privato e sul pubblico, e si è preteso che solo la politica monetaria potesse garantire stabilità e crescita. I risultati sono sotto gli occhi: un alternarsi di boom e crash che non portano, ma distruggono, benessere.


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