Attualità
MA ALLA FINE DEL FILM HOWARD BEALE MUORE, CARI CINQUESTELLE..(di Luigi Luccarini)
Penso che qualcuno avrà notato che il recente intervento di Beppe Grillo sul suo Blog delle Stelle, “Ho incontrato Dio.
Ecco cosa mi ha detto…” (http://www.beppegrillo.it/ho-incontrato-dio/) è una riproposizione, persino grossolana, di un brano del film “Quinto Potere”, di Sidney Lumet.
Per la precisione del discorso con cui il presidente di un Network televisivo catechizza un suo dipendente, il conduttore Howard Beale, colpevole di aver veicolato al pubblico messaggi contrari al dogma aziendale globalista, e quindi lo obbliga da quel momento a rendersene portavoce.
Breve sinossi del film di Lumet, titolo originale “Network”.
Howard Beale è un anchorman di una catena televisiva americana che, sul punto di essere rimosso dalla conduzione del principale notiziario, viene colpito da un grave esaurimento nervoso che lo rende incline a deliri di stampo anarcoide.
Le psicosi di Howard, che il conduttore lascia trasparire nelle sue ultime trasmissioni, sembrano però piacere al pubblico che lo premia con alti indici di ascolto e così il Network torna su suoi passi e decide addirittura di affidargli un programma tutto suo, lo “Howard Beale Show”, nel quale l’ex mezzobusto, presto trasformatosi in profeta televisivo, sprona i suoi spettatori ad estemporanee forme di ribellione verbale.
Lo “Howard Beale Show” si rivela un tale successo che non solo diventa il prodotto di punta del Network, ma viene trasformato in un format generalista, con al suo interno altri improbabili personaggi – persino una rappresentante del Black Power – per così catturare il più ampio numero di spettatori, intercettandone le istanze, non necessariamenteomogenee, che in quel periodo si manifestano all’interno della società americana.
Che è quella dei primi anni ’70, della crisi energetica, del cartello dei petrolieri arabi che genera iperinflazione nel mondo occidentale; della svalutazione associata a stagflazione: insomma un quadro per certi aspetti sovrapponibile aquello attuale.
Volendo, Beppe Grillo poteva essere associato fin dalle origini del suo apparire sulla scena politica ad un Howard Beale“de noantre”, capace di canalizzare il dissenso, da qualunque parte provenisse, sostituendo alla logica del “sono incazzato nero” la più italiana apologia del “vaffa…”.
Con l’affermarsi del suo Movimento 5 Stelle, fino al 32% del 4 marzo scorso, dovuto al fatto che l’elettorato non si sentiva più rappresentata dai partiti tradizionali, perché questi ultimi (eccezion fatta per la Lega, anch’essa, non a caso, premiata dalle urne) avevano abdicato ad ogni forma di rappresentanza effettiva della loro base, proponendosi più che altro come componenti di un consiglio di amministrazione con sede a Bruxelles.
14 mesi di Governo hanno però dimostrato che il progetto (se mai è esistito) di fondare sul disagio generalizzato una formula di aggregazione in grado di promuovere un nuovo modello di società non funziona; anzi dimostra tutta la sua inconsistenza già nel momento in cui realizza la prima delle sue fasi di evoluzione, vale a dire il reclutamento del personale politico. Che, avvenendo senza alcuna forma di mediazione culturale, ma attraverso una sorta di cooptazione tra iniziati (i componenti dei “Meetup” e quelli che riescono a connettersi ad una traballante piattaforma internet) si
presta alle più agevoli manipolazioni per parvenue di ogni specie, ed in ogni caso non è in grado di fondare alcuna effettiva graduatoria di merito alla base di quella selezione.
Nasce da qui il fallimento dell’operazione 5 Stelle al Governo che, in modo quasi inevitabile ed in tempi brevi, forniscela consapevolezza che la parte, per così dire, dura e pura del Movimento è composta di persone poco capaci, mentre quella che invece dispone di competenze all’altezza del ruolo è incline a compromessi ed a compiacere prima di tutto le proprie ambizioni personali.
Accade così che l’adesione molti suoi esponenti alle dinamiche dominanti, mano a mano che si realizza, tolga consenso al Movimento, trasferendolo alla Lega dove nel frattempo Salvini ha iniziato a proporsi a sua volta come il nuovo Howard Beale della politica italiana, aggiungendo al modello originale del film (e poi di Grillo) una componente religiosa e populistica (attenzione: populistica, non populista) in grado di far presa sull’elettorato italiano, soprattutto quello del sud, tradizionalmente più permeabile da quei temi.
La crisi tra i due ex alleati nasce proprio da questo tentativo del leader della Lega di scavalcare Grillo sul terreno a luipiù congeniale.
A cui il comico genovese reagisce mutuando all’interno del suo movimento nuove logiche di comunicazione, più rassicuranti per la massa degli scontenti, che nel frattempo si è arricchita di quella parte della società che non si riconosce nei massimalismi, quasi di natura neo-ideologica, propugnati da alcuni personaggi della Lega (non solo Salvini, sia chiaro) e che deve fare i conti con una nuova stagnazione economica, con lo spread, con la Borsa che proprio non ce la fa a risalire. Con l’erosione del risparmio e le paure create ad arte dalla comunicazione mainstream
(l’aumento dell’IVA, i “conti pubblici da mettere in sicurezza”, ecc.)
In questo senso va letta la visita alla villa di Marina di Bibbona dello stato maggiore dei 5 Stelle, in nessun modo diversa da quelle che eravamo abituati a vedere negli anni in cui le decisioni di governo del paese venivano prese ad Arcore o nella residenza estiva del Signor B.
A cui fa seguito l’endorsement di Grillo all’Howard Beale “convertito”, nel recente articolo sul “Blog delle Stelle” che, come si diceva, altro non è che una scopiazzatura del discorso che al personaggio del film di Lumet fa il presidente del consiglio di amministrazione del suo Network per indurlo ad abbracciare la logica del pensiero globalista (“lei ha interferito con le forze primordiali della natura…”, “non esistono popoli, non esistono nazioni..”, “è il sistema valutario internazionale che determina la totalità della vita su questo pianeta”) e a divulgarlo ai suoi spettatori (“e lei dovrà
espiare…”).
Cosa che il Grillo/Beale ha già iniziato a fare, arricchendo la sua nuova view con la bislacca idea di promuovere al rango di Ministri “personalità di indubbio spessore” (ma quali poi? Quelle che scrivono battute su Twitter, forse?) e di relegare la parte politica del Governo al ruolo subalterno dei sottosegretari.
Un assurdo sul piano giuridico e istituzionale, con cui ormai si cerca di evocare la prospettiva, più che di un governo tecnico, di un vero e proprio consiglio di amministrazione per una società, quella italiana, da definitivamente incorporare nel più ampio Network con sede a Bruxelles, dove però l’Italia è minoritaria e svolge in fondo la stessa funzione del “parco buoi” nei recinti di Borsa.
Quello che ancora non si riesce a capire fino in fondo del pensiero di Grillo è la proiezione che ha così voluto offrire del futuro del suo Movimento..
Perché ad occhio non sembra così rassicurante per quel che resta del consenso e della presenza dei 5 Stelle nel nostro paese.
In “Quinto Potere” Howard Beale, “illuminato” dal suo presidente, torna in TV per cercare di convertire il pubblico al nuovo verbo, per il quale non è più vero che “uno vale uno”, e che al contrario siamo tutti elementi insignificanti di un ingranaggio che ci sovrasta.
Ma a quel punto Beale risulta noioso e deprimente perché, come racconta il narratore fuori campo, “a nessuno fa piacere sentirsi dire che deve rassegnarsi all’idea che la sua vita non conta nulla”. E perciò perde inevitabilmente ascolti.
Al punto che il Network, visto che il suo il presidente si oppone all’idea di licenziarlo, adesso che è diventato un buon portavoce del mantra globalista, decide di farlo uccidere.
In diretta, durante un suo show. Senza che il pubblico reagisca più di tanto, fatta salva l’eccitazione del momento.
E’ un po’ quanto sta accadendo in questi giorni. Del Movimento 5 Stelle, una volta che sarà stato “normalizzato” dall’alleanza con il PD e dall’adesione sempre più convinta al Network, resterà in effetti solo il ricordo degli ultimi sussulti di protagonismo nei giorni della crisi diFerragosto.
Ai suoi parlamentari la garanzia che matureranno il diritto alla pensione da onorevoli o senatori.
Agli elettori la progressiva convinzione che questo contenitore politico è in realtà una scatola totalmente vuota e che tutto sommato se proprio ci si deve rassegnare ad una gestione convenzionale dell’esistente, c’è già un partito che tradizionalmente occupa quell’area politica e sociale e lo fa certamente con maggiore capacità e competenze.
E che, non a caso, si fa chiamare PD Network.
LUIGI LUCCARINI
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