Seguici su

Economia

L’Italia alza il muro a Bruxelles: “No” ai rischi sui beni russi. Il fronte del buonsenso si allarga

Roma frena il piano UE da 210 miliardi: “Troppi rischi per i nostri conti”. Anche la Repubblica Ceca si sfila dalle garanzie. Meloni e il Tesoro chiedono soluzioni alternative per non tassare i cittadini in futuro.

Pubblicato

il

C’è un vecchio adagio nei corridoi di Bruxelles che suggerisce come, alla fine, si faccia sempre ciò che Parigi e Berlino decidono. Tuttavia, questa volta, il meccanismo sembra essersi inceppato. In una mossa che ha colto di sorpresa molti osservatori distratti, ma non chi segue con attenzione le dinamiche dei nostri conti pubblici, l’Italia ha deciso di far sentire il proprio peso specifico. Roma si è schierata a fianco del Belgio, tirando il freno a mano sul piano della Commissione UE di utilizzare i beni statali russi congelati come garanzia per i prestiti all’Ucraina.

Non si tratta di un mero capriccio diplomatico, ma di una necessaria tutela dell’interesse nazionale e, soprattutto, delle tasche dei contribuenti italiani.

Il nodo dei 210 miliardi e la trappola delle garanzie

La questione è tecnica, ma le implicazioni sono squisitamente politiche e finanziarie. Al centro della disputa ci sono circa 210 miliardi di euro di riserve della Banca Centrale Russa, attualmente immobilizzati presso Euroclear, la camera di compensazione con sede in Belgio. La Commissione Europea, con un’urgenza sospinta dalla necessità di trovare fondi per Kiev senza pesare direttamente sui bilanci nazionali immediati, vorrebbe usare questi asset come garanzia o leva per un maxi-prestito.

Il problema sta nei dettagli giuridici. Cosa accadrebbe se, al termine del conflitto o a seguito di un arbitrato internazionale, la Russia dovesse vincere un ricorso legale per l’appropriazione indebita dei propri fondi sovrani? Chi pagherebbe il conto?

La risposta è semplice quanto inquietante: gli Stati membri. Se gli asset russi dovessero essere restituiti o se il loro utilizzo venisse dichiarato illegittimo, il “buco” creato dal prestito all’Ucraina (garantito da quegli asset) dovrebbe essere coperto dai garanti di ultima istanza. Ovvero noi.

Il Belgio, che ospita Euroclear e si troverebbe in prima linea nel mirino legale del Cremlino, ha frenato bruscamente. E l’Italia, con una mossa di realismo politico, si è unita a Bruxelles (intesa come capitale belga, non come istituzione UE), Malta e Bulgaria nel chiedere “opzioni alternative”.

La posizione italiana: Sì al congelamento, No all’azzardo

È fondamentale distinguere tra due piani, per non cadere nella solita retorica del “filorussismo”:

  • Il congelamento: L’Italia ha votato a favore del mantenimento del congelamento dei beni (la cosiddetta emergency rule), per preservare l’unità europea. Del resto il congelamento può essere invertito da un voto successivo.
  • L’utilizzo attivo: Roma è contraria a usare questi beni come garanzia ora, perché ciò comporta rischi finanziari imprevedibili.

In un documento interno, i quattro paesi “ribelli” invitano la Commissione a esplorare soluzioni “in linea con il diritto UE e internazionale, con parametri prevedibili e che presentino rischi significativamente minori”. Tradotto dal diplomatichese: non fateci firmare cambiali in bianco che un giorno potrebbero trasformarsi in nuove tasse per i nostri cittadini.

Ecco un quadro riassuntivo delle posizioni in campo:

PaesePosizione sui Beni RussiMotivazione Principale
Commissione UEFavorevole all’uso rapidoNecessità di fondi immediati per Kiev prima del summit del 18-19 Dicembre.
BelgioContrario / Molto CautoRischio legale diretto su Euroclear e rischio finanziario sistemico.
ItaliaContraria all’uso come garanziaTutela del risparmio, rischio di dover coprire perdite future, preferenza per debito comune.
Rep. Ceca (Babis)Contraria alle garanzieRifiuto netto di impegnare fondi nazionali o garanzie per prestiti esteri.
Ungheria / SlovacchiaContrarie (Politiche)Vicinanza politica a Mosca, opposizione ideologica alle sanzioni.

L’allargamento del fronte: arriva Babis

A complicare i piani della Von der Leyen non c’è solo l’asse italo-belga. Il nuovo Primo Ministro ceco, Andrej Babis, che assumerà pieni poteri lunedì, ha gettato un’altra secchiata d’acqua gelida sugli entusiasmi interventisti. “Non prenderemo garanzie per nulla né metteremo soldi”, ha dichiarato Babis in un video, con la franchezza brutale che lo contraddistingue.

Questo crea una situazione inedita. Non sono più solo i “soliti sospetti” come Orbán o Fico a opporsi, ma un blocco eterogeneo che comprende paesi fondatori (Italia, Belgio) e membri dell’Est preoccupati per le proprie finanze. Anche se formalmente non c’è una minoranza di blocco tecnica su ogni singolo passaggio, il peso politico di Italia e Belgio rende quasi impossibile per la Commissione forzare la mano senza rischiare una frattura insanabile.

L’alternativa e lo spettro del debito

Cosa propongono quindi Italia e soci? Il “Piano B” caldeggiato da Roma è l’emissione di debito comune europeo (Eurobond) per finanziare l’Ucraina. Una soluzione tecnicamente più pulita e più logica per gestire shock asimmetrici o crisi geopolitiche comuni.

Tuttavia, questa strada è lastricata di ostacoli:

  1. Richiede l’unanimità (e qui Orbán potrebbe esercitare il veto).
  2. Aumenta il debito aggregato, cosa che fa storcere il naso ai “frugali” del Nord e alla Germania, ossessionata dal rientro del deficit. Evidentemente per loro è meglio emettere debito su fondi che non solo loro, piuttosto che emetterlo e garantirlo.

Eppure, l’Italia fa bene a spingere su questo tasto. Se l’Ucraina è una priorità europea, il finanziamento deve essere europeo e trasparente, non basato su artifizi legali che mettono a rischio la credibilità dell’Euro come valuta di riserva e che espongono i singoli stati a ritorsioni legali multi-miliardarie. Tra l’altro l’so concordato di questi fondi potrebbe, nell’ambito delle trattative di pace, trovare perfino la Russia concorde.

L’elogio del Veto e la difesa del contribuente

Tutta questa vicenda ci insegna una lezione preziosa sull’architettura europea: il diritto di veto e la necessità di consenso ampio sono essenziali. Spesso vituperato dai federalisti d’accatto come un freno al progresso, il potere di dire “No” è l’unica barriera che impedisce ai paesi membri di essere trascinati in avventure finanziarie contro il proprio interesse nazionale.

Immaginiamo lo scenario peggiore: l’UE usa i beni russi, la Russia vince una causa internazionale tra 5 anni, e il conto di 20 o 30 miliardi (quota parte italiana) viene presentato a Roma. Chi andrebbe a spiegare ai cittadini italiani che dovranno subire una patrimoniale o un taglio alla sanità per coprire una decisione presa anni prima per compiacere le cancellerie di Parigi o Berlino?

Giorgia Meloni, pur mantenendo una linea atlantista ferma, si trova a dover gestire una coalizione in cui le perplessità di Salvini rispecchiano quelle di una parte dell’elettorato stanca di sacrifici economici. La posizione italiana, dunque, non è un tradimento della causa ucraina, ma un atto di responsabilità contabile.

  • Rischio Giuridico: Forzare le regole internazionali sulla proprietà statale crea un precedente pericoloso per chiunque investa in Europa.
  • Rischio Finanziario: Impegnarsi come garanti significa iscrivere un rischio nei bilanci futuri.
  • Rischio Politico: Accettare decisioni a maggioranza su temi fiscali (o para-fiscali) svuota la sovranità nazionale.

La Commissione sperava di chiudere l’accordo al Consiglio Europeo del 18-19 dicembre. Con la presa di posizione di Roma, Bruxelles e Praga, la strada è ora in salita. E per una volta, possiamo dire che è un bene che sia così. La fretta, in economia e in diplomazia, è quasi sempre cattiva consigliera, specialmente quando si gioca con i soldi degli altri.


Domande e risposte

Perché l’Italia si oppone all’uso dei beni russi se sostiene le sanzioni?

L’Italia non è contraria alle sanzioni in sé, ma teme le conseguenze legali e finanziarie dell’uso dei beni congelati come garanzia. Se in futuro un tribunale internazionale dovesse giudicare illegittimo il sequestro, gli Stati garanti (come l’Italia) dovrebbero rimborsare la Russia. Roma preferisce evitare questo rischio occulto sui conti pubblici, spingendo per soluzioni più trasparenti come il debito comune europeo, che però incontra resistenze al Nord.

Qual è la differenza tra congelamento e confisca dei beni?

Il congelamento è un atto temporaneo: il proprietario (la Russia) non può usare i beni, ma ne rimane formalmente titolare. La confisca o l’uso come garanzia implica un esproprio di fatto o un rischio di perdita della proprietà. L’Italia ha votato per mantenere il congelamento (per unità politica), ma si oppone al passaggio successivo, ovvero l’uso attivo di quei capitali, perché viola norme internazionali complesse e mina la fiducia degli investitori esteri nell’Euro.

Che ruolo gioca il nuovo governo ceco in questa partita?

L’ingresso di Andrej Babis come Primo Ministro ceco rafforza il fronte del “No”. Babis ha dichiarato esplicitamente che la Repubblica Ceca non offrirà garanzie per prestiti all’Ucraina. Questo allarga il fronte dei paesi scettici, che ora non include solo l’Italia e il Belgio (preoccupati per i rischi tecnici) o l’Ungheria (filorussa), ma anche governi che semplicemente rifiutano di accollarsi ulteriori debiti o rischi finanziari per conto terzi, complicando i piani della Commissione.

Google News Rimani aggiornato seguendoci su Google News!
SEGUICI
E tu cosa ne pensi?

You must be logged in to post a comment Login

Lascia un commento