Energia
L’Iran continua ad aumentare l’export di petrolio perché fa comodo anche agli USA. le cose potrebbero cambiare
L’Iran è arrivato ad esportare, 1,7 milioni di barili di petrolio al giorno., tranquiillamente, nonostante le sanzioni USA. Perché alla fine questo petrolio fa comodo anche a Washington, ma le cose potebbero cambiare
Una settimana fa, il governo statunitense ha imposto ulteriori sanzioni sul commercio di petrolio iraniano. Da allora i prezzi del greggio sono scesi di oltre 5 dollari al barile. Il calo è stato in gran parte determinato dalle indicazioni che Israele eviterà di attaccare le infrastrutture petrolifere iraniane, una delle principali preoccupazioni del mercato.
Tuttavia, il calo evidenzia anche un altro fenomeno: quanto i trader siano indifferenti alle azioni che gli Stati Uniti intraprendono contro i nemici che sono grandi produttori di petrolio, siano essi l’Iran o la Russia. Per il momento gli operatori sono scettici sul fatto che le sanzioni faranno salire i prezzi, poiché Washington cerca di tenere sotto controllo i costi del carburante e di bilanciare le priorità concorrenti con la Cina, uno dei principali acquirenti di petrolio iraniano. Quindi, almeno sino alle elezioni presidenziali del 5 novembre, il petrolio iraniano circolerà in modo relativamente libero.
Esportazioni di petrolio dall’Iran
I flussi sono quasi due volte e mezzo superiori a quelli della seconda metà del 2019 e si stanno avviandoa una lenta, ma continua, crescita.
Le misure dell’11 ottobre contro l’Iran significano essenzialmente che gli Stati Uniti possono prendere di mira qualsiasi parte del commercio petrolifero della Repubblica islamica e, in teoria, quasi tutti coloro che lo trattano.
Ma i funzionari statunitensi ammettono in privato che c’è una certa riluttanza a colpire i maggiori acquirenti di petrolio cinesi e gli intermediari emiratini che hanno aiutato le esportazioni di petrolio iraniano ad aumentare dalla seconda metà del 2019, poco dopo che l’amministrazione Trump ha imposto nuovamente le restrizioni al commercio.
In poche parole, Washington ha i mezzi per danneggiare Teheran ma si è astenuta dal tirare le leve più aggressive perché ciò rischierebbe la volatilità del mercato petrolifero e complicherebbe gli obiettivi di politica estera più ampi, secondo persone con conoscenza diretta della questione, che hanno richiesto l’anonimato per discutere di deliberazioni private.
Il Segretario al Tesoro Janet Yellen ha negato che gli Stati Uniti siano diventati “facili” con l’Iran e ha definito la mossa dell’11 ottobre un potenziale “preludio” a misure aggiuntive, ma questo è nei fatti: un atteggiamento più duro porterebbe al taglio della fornitura mondiale di 1,5-2 milioni di petrolio al giorno, con effetti che posono ripercuotersi sul prezzo internazionale e spingere in alto l’inflazione USA. Questo fatto va ben oltre tutte le dichiarazioni dell’amministrazione Biden.
L’aumento è avvenuto perché i funzionari statunitensi si sono concentrati su misure che avrebbero aggiunto attrito alla catena di approvvigionamento dell’Iran – aumentando i costi di gestione del Paese – rimanendo cauti sulle azioni che avrebbero limitato le esportazioni. Hanno cercato di ridurre i margini netti iraniani, non di bloccare l’export, eppure potrebbero tranquillamente farlo.
Le giurisdizioni terze, strategicamente importanti per Washington, complicano la situazione. Gli Emirati Arabi Uniti ospitano una serie di società di intermediazione attive nel commercio, mentre la Cina è il luogo in cui transita circa l’80% delle esportazioni giornaliere di petrolio dell’Iran. Molte delle transazioni avvengono in yuan, quindi fuoir dal reame del Dollaro (e questo spiega il desiderio di creare una base finanziaria per i Brics).
Però le cose potrebbero cambiare dopo le elezioni del 5 novembre e, soprattutto dopo l’insediamento di Trump. Questo sia perché il canddiato ha già affermato chiaramento che massimizzerà la produzione di petrolio a stelle e strisce, sia perché , lentamente, ma non troppo, inizano a essere operativi incrementi di estrazione in diversi paesi sud americani Guyana, Argentina,, magari anche Suriname ) e africani. La Libia è rientrata nella produzione, l’Algeria procederà con nuove esplorazioni. Più petrolio può rendere molto meno problematica l’esclusione dell’Iran dai mercati, e perfino i commercianti emiratini potrebbero non prenderla con eccessivo svavore, per la spinta positiva sui prezzi che la scelta potrebbe avere.
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