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L’IMMIGRAZIONE, PROBLEMA INSOLUBILE

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Attualmente l’immigrazione è un problema drammatico. La Germania e la Francia lo hanno risolto chiudendo le frontiere, e anche se ciò è inaccettabile e contrario al dovere di solidarietà, quei due Paesi meritano qualche comprensione: infatti hanno già, in casa, molti milioni di immigrati. L’Italia invece continua a lamentarsi, a dividersi in fazioni, a dare il consueto spettacolo di guerra civile a bassa intensità, ma in totale non sa che cosa fare.
A volte i problemi sono difficili da risolvere. Immaginiamo un uomo che ha tutto per essere felice – un buon lavoro, una bella famiglia, una grande cerchia d’amici – e si avvia a perdere tutto perché si droga. Ma se, pur dichiarandosi pronto a qualunque sacrificio per disintossicarsi, egli ponesse comunque la condizione di non rinunziare all’eroina, è ovvio che non avrebbe speranze. Perché è proprio quella, l’origine del suo male.
Per l’immigrazione, la difficoltà di arginarla dipende da due principi che nessuno propone di rinnegare: la solidarietà umana e l’asilo politico. Il punto è un altro: questi principi sono talmente indiscutibili che non si debba tenere conto della realtà?
Immaginiamo un uomo che ami i gatti e abiti al settimo piano. La sua gatta è un amore, ma diviene un vero problema – e sta veramente male – quando ha bisogno del maschio. Il veterinario suggerisce di sterilizzarla, ma è una proposta orrenda. Allora prenda un gatto, suggerisce il veterinario. C’è il problema dei figli che farebbero, obietta l’uomo. Allora, conclude il veterinario, sopprima la sua gatta. “Ho dunque l’aria di un assassino?”, si scandalizza il cliente. E alla fine si rassegna a prendere un gatto. La micia è presto madre felice di quattro gattini, e il padrone si chiede che farne. Il veterinario l’avverte che i gatti si riproducono in progressione geometrica, e presto, se in casa ci sarà posto per loro, non ci sarà posto per lui.
Ci sono problemi che richiedono comunque una soluzione coraggiosa. Riguardo all’immigrazione, per cominciare, va detto che il principio per cui bisogna concedere l’asilo politico a tutti i richiedenti o quasi è una stupidaggine. L’asilo politico al quale pensavano i padri costituenti era quello di Nenni e Pertini in Francia, durante il fascismo. Dunque va concesso a chi, nel suo Paese, fa attività politica contro un governo dittatoriale e per quell’attività si trova ad essere in pericolo. Ma non è che la cosa sia tanto frequente. Durante il fascismo, la massaia di Calascibetta o di Pordenone, il falegname di Bitonto o di Avigliana, che rischio avrebbero corso, se solo avessero pensato agli affari loro? Già per rischiare il confino bisognava essere esponenti di spicco. Dunque l’asilo politico andrebbe concesso non a qualcuno soltanto perché è siriano o eritreo, ma perché ha svolto una “rilevante attività politica antigovernativa”. E non è il caso dei migranti. Per la maggior parte sono appena alfabetizzati e vorrebbero soprattutto trovare un lavoro, per mandare qualche soldo a casa. Nobile intento, certamente, ma non giustifica l’asilo politico. Al massimo, fa appello alla solidarietà dei Paesi più prosperi.
Ma anche per la solidarietà, come per i gatti, c’è il limite della realtà. Possiamo accogliere in Italia tutti gli africani e gli asiatici che vorrebbero venire a vivere da noi, perché poveri o perché nel loro Paese c’è una guerra, quand’anche fossero dieci milioni? Se la risposta è no, è chiaro che bisogna abbandonare l’idea di applicare un principio di solidarietà indiscriminata ed illimitata, semplicemente perché non possiamo permettercela. Dobbiamo soltanto vedere ciò che possiamo fare contemperando il dovere d’umanità col dovere della nostra protezione.
Sicuro è che non possiamo accogliere tutti. Di una simile, ecumenica generosità può parlare il Papa, perché non è chiamato ad applicarla. Per quanto lo riguarda – e con ciò ha fatto più dei suoi predecessori – ha accolto in Vaticano trenta, diconsi trenta, sfortunati. Lo possiamo ringraziare per l’esempio, ma per l’Italia non si tratta di trenta persone. I politici hanno da fare con cifre a cinque zeri, e Dio non voglia che divengano sei: dunque devono purtroppo trovare soluzioni che sicuramente entreranno in conflitto col principio della solidarietà indiscriminata ed illimitata.
Se non si è disposti a tener conto della realtà, smettendola di guardare soltanto agli ideali, il problema è insolubile e sarebbe opportuno smettere di parlarne, quanto meno per evitare un frastuono tanto fastidioso quanto inutile.
Le soluzioni concrete, se si ha il coraggio di adottarle, ci sono. Basti pensare a come l’Australia ha limitato l’afflusso di asiatici e il Giappone di Coreani. Come dice un noto proverbio inglese, quando c’è una volontà c’è anche un modo.
Gianni Pardo, [email protected]
13 giugno 2015


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