Crisi
L’EUROPA RICONOSCE LA MALATTIA MA NON SI CURA
Nel Consiglio europeo di fine anno, scrive Francesco Giavazzi(1), si discuterà di “come verranno valutati” dal primo gennaio, “i titoli pubblici posseduti dalle nostre banche (circa 400 miliardi, il doppio di due anni fa)”. Infatti, “una parte dei titoli pubblici le banche li detengono [a garanzia della loro solvibilità] con l’intenzione di non venderli fino alla scadenza”, e sono valutati al 100% del valore facciale. “Tutto bene, scrive Giavazzi, a meno che non si metta in dubbio che alla scadenza essi vengano davvero rimborsati”. E in effetti “il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, ha detto che è giunto il momento di smetterla di assumere che il debito degli Stati venga sempre onorato: Grecia (recte Graecia) docet”. E Giavazzi conferma: “non si può più assumere che i titoli pubblici siano privi di rischio”.
Attualmente, se si innesca una sfiducia nella solvibilità degli Stati, nessuna banca ha modo di sostituire i titoli del debito sovrano con altri. Infatti se li vendesse, aumentandone drammaticamente l’offerta, ne farebbe crollare il valore di mercato. Ora pare che a Berlino abbiano raggiunto un complicato compromesso al ribasso, per soluzioni lontane nel tempo, ma una crisi di fiducia nei titoli di Stato in generale potrebbe in qualunque momento innescare il panico in Borsa. E questo è molto più importante di tutto il resto. Ciò che hanno detto Weidmann e Giavazzi è dunque gravissimo.
Perché la situazione precipiti e si arrivi al default dell’Italia – e a catena di altri Paesi – è sufficiente che gli investitori smettano di far finta di non vedere il rischio e corrano a incassare i titoli in scadenza senza comprarne di nuovi. “Un default, scrive giustamente l’editorialista, è prodotto semplicemente dall’aspettativa che esso possa verificarsi”. E continua: “Domani il presidente del Consiglio dovrebbe quindi chiedere che … il Consiglio europeo stabilisca che i titoli pubblici emessi dai Paesi dell’euro sono … indenni da un rischio di default”. Ma chi può farlo? Giavazzi vuole scherzare. Questo è chiedere la Luna.
La pudica e in qualche misura stizzita ammissione di Weidmann è inadeguata a descrivere la realtà. Non è che qualche volta qualche debito non sarà onorato, ma nessun debito dei più grandi Paesi europei sarà mai onorato, se non momentaneamente, e contraendo nuovi debiti. Non lo si grida sui tetti soltanto per non allarmare gli investitori e affinché essi comprino i titoli di nuova emissione. In realtà il debito pubblico medio europeo è più vicino al 100% del pil che al 50% e nessun Paese può pensare di ripagarlo.
Prendiamo l’Italia. Se volesse rimborsare un 10% del debito l’anno, per il primo anno dovrebbe sborsare circa 70 miliardi di interessi per il debito esistente, più 200 miliardi per il rimborso: un totale di 270 miliardi. C’è qualche mentecatto che crede ciò possibile? Lo stesso vale più o meno per Paesi come la Spagna o la Francia. Weidmann ha battuto il record dell’understatement. Del resto, anche Draghi con le sue garanzie sostanzialmente verbali e il Consiglio d’Europa con le sue discussioni stanno menando il can per l’aia. La zona euro sopravvive esclusivamente perché i mercati sono convinti che nell’immediato non ci sia da preoccuparsi. Se un drappello di investitori si allarmasse, lo scudo di Draghi parerebbe il colpo. Ma stiamo parlando di un drappello. Se invece, mentre il primo gruppetto si mette in moto, un secondo gruppetto si chiedesse se, nel caso, rimarrà abbastanza contante, e si mettesse anch’esso a correre per battere il primo in velocità, la zona euro scoppierebbero nel giro di un paio di giorni. E i debiti sovrani diverrebbero più o meno cartastraccia. Che senso ha chiedere garanzie all’Europa? Nel caso di una crisi di fiducia nessuna Bce e nessuna Germania potrebbero, anche volendo, sostenere i Paesi indebitati. Le somme necessarie sarebbero al di là delle possibilità umane. La razionalità vorrebbe dunque che si studiasse non tanto un modo per tenere in vita questa situazione, ma il modo d’uscirne. Oggi è come se, vedendo una fiamma in cantina, invece di por mano all’estintore, ci si limitasse a sperare che l’incendio non si propaghi.
È strano che da un lato si ammetta a denti stretti che il debito sovrano non sarà rimborsato e dall’altro si chieda una garanzia che nessuno è in grado di dare. Bisognerebbe invece smontare – Dio sa come – la macchina infernale che ci sta portando ineluttabilmente al disastro. Un creditore lo si può rabbonire con belle parole, lo si può ingannare con mille promesse, ma arriva fatalmente il momento in cui vuole indietro i suoi soldi. Soprattutto oggi che il creditore è stato solennemente avvertito dal Presidente della Bundesbank.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
19 dicembre 2013
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