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Euro crisis

Le vere motivazioni dei sacrifici che i giornali (e Di Maio) mai riveleranno (di Marco Orso Giannini).

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Mentre Silvio Berlusconi viene definito “male assoluto” da Di Battista l’Italia sono anni e anni che si sacrifica e sembra che non sia mai sufficiente. Vi chiederete cosa c’entri ma presto avrete la risposta.
Se domandate agli italiani perché accettano di vedersi riservare questo trattamento senza protestare risponderanno che la causa risiede nel Debito Pubblico di cui si sentono indirettamente colpevoli: sono stati convinti che negli anni ’80 la loro Nazione, con una classe politica corrotta e viziata, si sia indebitata verso il mondo intero e che per questa ragione adesso per “non rimanere indietro” debbano ritrovarsi salari bassi, tasse alte, servizi tagliati (e perciò sempre più inefficienti), ospedal chiusi e magari pure clausole di salvaguardia cui rispondere e IVA al 25%.
Tutto questo è falso.
Mi auguro che alla fine della lettura abbiate ben chiaro che il male assoluto è semmai rappresentato da chi impone queste scelte, in primis il Partito Democratico che dipende dai Democratici USA ed ancor più precisamente dai centri di potere finanziari esteri (“mercati”) e globalisti ad essi associati. Lo stesso Berlusconi per ovvi motivi aziendali deve assoggettarsi a questi centri di potere.
Veniamo alle principali cause dell’impoverimento dello Stivale.
1) Il modello deciso per l’eurozona (UE-M) è di tipo mercantilista ergo basato su una estrema competitività (export) dovuta in primis a bassa inflazione. Questo modello, tipico della Germania, prevede che i salari siano bassi rispetto a quanto guadagnano le imprese per le quali i dipendenti lavorano (una conseguenza è anche che in questo modo l’impresa può investire di più in tecnologia). Nel medio lungo-periodo però il salario reale, cioè quanto pesa lo stipendio rispetto al costo della vita, si alza perché i prezzi dei beni e dei servizi restano fermi (bassa inflazione) e perché mediante export nel paese entra benessere (soldi da investire ad esempio in servizi o detassazione). Il minor circolo di danaro interno iniziale (la forza lavoro dipendente guadagna poco e quindi spende poco) comporta un ingigantimento della struttura produttiva (grossi centri commerciali) mediamente più portata all’innovazione rispetto alle piccole imprese. Tutto ciò può apparire conveniente (se sono presenti garanzie di coesione sociale minime consistenti) ma nell’ambito dell’eurozona avvantaggia solo i paesi che prima dell’euro avevano una struttura produttiva di questo tipo. In altre parole l’eurozona calza su misura per la Germania mentre chiedere, come hanno fatto gli ultimi Governi, al Belpaese forgiato sulle piccole imprese, di rendere loro la vita impossibile è a dir poco delinquenziale (per quanto abbiano sottolineato che il rigore non si tocca, i primi a rimarcare che l’Italia non possa riprendersi dentro l’eurozona sono i più influenti economisti tedeschi e perfino l’ex Presidente della Confindustria teutonica Henkel: i nostri media guarda caso, non lo hanno comunicato a dovere).
Va sottolineato che il modello “keynesiano” “opposto” a quello mercantilista punta su consumi interni sostenuti (politiche fiscali di espansione economica) ed ha il pregio di basarsi su bassa disoccupazione ed alti salari: entro certi limiti è vantaggioso se reso efficiente e non parassitario. Di norma le politiche di espansione sono indicate nei periodi di soffocamento economico (come l’attuale in Italia).
Si pensi peraltro che se nel mondo tutti competono su basi mercantilistiche ci sarà chi vince e chi perde, la risultante da questo punto di vista sarà zero ma i salariati risulteranno “compressi” nei loro salari (anche se non oltre la loro funzione di consumatori). E’ vero che in parte si compete sulla tecnologia ma la parte del leone la fa la competizione al ribasso dei salari anche mediante immigrazione. Concludendo questa prima analisi l’eurozona è stata (geopoliticamente) concepita per calzare (economicamente) su misura per la Germania.
2) Il 24-11-’96 ad Ecofin Prodi, Draghi, Ciampi e Ciocca decisero coi tedeschi che il rapporto di ingresso nella Moneta Unica sarebbe stato 1 Marco = 990 Lire. Per anni l’economia reale (import/export/turismo ecc) aveva impresso un rapporto reciproco di circa 1200 (anche 1260) ma in vista di questa decisione fondamentale per le nostre vite, nel giro di nemmeno un paio di anni, i “mercati” diedero il là ad un meccanismo puramente finanziario di compravendita di valute, cioè di vendita di Marchi e di acquisto di Lire: “dopando” in tal modo il rapporto esso scese a 990 e fu proprio quello pattuito.
In questa maniera la Germania rispetto all’Italia si è intascata un vantaggio competitivo intrinseco nell’Unione Monetaria (oltre il 20%): dove prima esportavamo noi iniziarono ad esportare i tedeschi, noi finimmo per importare addirittura da loro indebitandoci (Debito Pubblico Estero). Fino ad allora il Debito Pubblico Estero (cioè “verso il mondo”) era un fisiologico 10/15%, in altre parole prima dell’euro avevamo un Debito Pubblico praticamente interno, non avevamo perciò vissuto sopra le nostre possibilità (nell’euro è salito al 40% circa).
Con lo spauracchio della Cina ci siamo vincolati all’UE-M creandoci un altro mostro in casa forse peggiore (la Germania) senza contare le finalità geopolitiche dell’operazione UE-M: ridurre il numero dei soggetti pubblici nazionali (gli Stati) e la loro influenza (i loro poteri di moderazione nell’interesse dei cittadini) rispetto alla globalizzazione delle multinazionali e la semplificazione in ambito militare per Washington (come si nota sulla questione siriana la frammentazione non è congeniale agli USA).
A causa del crollo di competitività, dovuto al rapporto di ingresso di 990, per poter continuare ad avere in attivo la bilancia commerciale (export/import) dobbiamo mantenere salari bassi ed alta disoccupazione (competizione al ribasso). Queste due condizioni non solo tengono bassa l’inflazione ma riducono anche l’import (se i cittadini non acquistano beni e servizi è naturale che l’import si riduca). Dobbiamo anche ricordare che per nostra fortuna il marchio Made in Italy gode di ottima fama ed il ciclo economico mondiale è in espansione (e quindi qualche scambio commerciale in più riusciamo ad ottenerlo) altrimenti saremmo messi ancora peggio.
3) Un altro fattore che ha comportato la riduzione della competitività italiana nel mondo è stata la gestione dell’adozione dell’euro: il Governo Berlusconi nel periodo immediatamente successivo all’adozione della moneta unica abolì troppo presto il doppio prezzo ed ha permesso un incremento del costo dei prodotti.
Qualcuno dovrebbe riflettere che se alcuni paesi si sono avvantaggiati della Moneta Unica (perfino accumulando abnormi crediti “Target2”) mentre altri sono stati penalizzati significa che l’UE-M non era una area valutaria ottimale; in altre parole non era da unificare monetariamente dato che non omogenea.
Faccio notare che i teutonici violando costantemente il TFUE (il limite del 6% di export) non ragionano come europei ma come popolo tedesco. Credo che dovremmo iniziare a farlo anche noi consci e orgogliosi di essere italiani (per dirla alla Gaber).
La questione non si esaurisce certo qua: Italia e Germania hanno due strutture produttive differenti e ci sono settori in cui all’Italia converrebbe un certo tipo di forza dell’euro, alla Germania un altro. Potete immaginare chi decida per noi…
Dopo il boom economico degli anni ’60 la nostra bilancia commerciale quando si è tenuta distante dalle alchimie tecnocratiche (SME ed euro in primis) è sempre stata sana (tranne un piccolo squilibrio nel periodo della prima crisi petrolifera rientrato dopo il 1975).
4) L’Italia è concepita dai poteri forti finanziari come un paese che dovrà fornire manodopera a basso costo al centro Europa quindi per poter realizzare questo modello deve essere via via deindustrializzata e per farlo la strada maestra è l’austerity (a colpi di del “vincolo esterno” cioè delle regole mercantilistiche mascherate come ragioni di bilancio). Perdiamo terreno a causa della nostra presenza in una area valutaria non omogenea per noi letale e la competizione mercanitilistica ci impone di competere al ribasso alla voce “benessere interno”.
5) Esiste anche una motivazione più tecnica e chiedo al lettore di non spaventarsi: in Italia i tassi di interesse reali (cioè nominali meno inflazione) sui Titoli di Stato (es. BOT e BTP) sono positivi, una situazione patologica assente nei paesi del benessere e su cui non è possibile intervenire senza che ci si riappropri di una Banca Centrale “normale” che possa emettere moneta su mandato governativo per politiche fiscali ed agire “all’emissione”. Necessitiamo di una BC che possa permettere allo Stato di autofinanziarsi quando ci si trova in situazioni di scarsa liquidità, quando cioè non c’è il rischio di un eccesso di moneta (quando cioè l’economia è pronta ad assorbire moneta per produrre). In altre parole ci stiamo svenando per racimolare una moneta praticamente “privata” dato che ce la dobbiamo procacciare sui mercati a caro prezzo. Questa situazione favorisce chi detiene molti capitali (anche esteri) a spese dei contribuenti. I media disinformano sostenendo che il tasso nominale del 2, 2.5% sia basso (rispetto a quando eravamo sovrani) ma dimenticano di far notare che è il tasso reale a pesare sulle tasche dei cittadini; nel nostro paese l’inflazione è inesistente e non erode il peso di questo scotto (come vedrete questa condizione patologica è presente in Italia da ben prima dell’euro per tecnicismi finanziari che chi ha concepito la moneta unica ha voluto imprimere anche nel Trattato di Maastricht nonostante le critiche di Stiglitz e di altri Nobel economici). Se a questo tasso di interesse (sui decennali) del 2/2.5% corrispondesse una pari inflazione la situazione rientrerebbe in un ambito fisiologico.
L’evasione fiscale è un fattore che non ha pesato in modo significativo (ci sono diversi studi a dimostrarlo) sullo stock debitorio ma rappresenta un enorme “privilegio” poiché provoca diseguaglianza: andrebbe ricordato ai media tuttavia che l’evasione solo per un 8% è da imputare alle piccole imprese, il restante è dovuto a multinazionali, criminalità organizzata e grosse corporation in primis finanziarie (le stesse che vogliono tenerci nella Moneta Unica e nell’austerità.
Adesso che abbiamo chiarito i veri motivi del declino del nostro paese ci focalizziamo sullo smentire che l’Italia avesse da scontare chissà quali peccati prima di entrare nella Moneta Unica.
Abbiamo già espresso che prima dell’euro in Italia non fosse presente un quantitativo di debito estero sensibile (basta consultare il sito di Bankitalia per appurarlo) ma non vogliamo fermarci qua e per completare il quadro dobbiamo tornare sull’inflazione, spiegare cosa sia il Debito Pubblico ed infine comunicare alcuni fatti (dati) incontestabili che smontano la versione tanto cara ai Mario Monti del nostro paese (alla fine della lettura comprenderete perché non vengo ospitato in trasmissioni televisive a discutere di queste questioni ma solo in Radio locali).
Al contrario delle leggende metropolitane emettere moneta non causa inflazione (si pensi al QE di Draghi che non ha sortito effetti) poiché essa si innalza se la moneta “gira, cioè viene spesa. In un paese ove si abbia un quantitativo di moneta superiore ma ferma nei forzieri di pochi soggetti (ad esempio in quelli delle banche) ci sarà sicuramente meno inflazione rispetto a un paese dove la quantità di moneta è ridotta ma i consumi sono superiori.
Quest’ultimo scenario si concretizza quando c’è una buona redistribuzione, in altre parole quando molte persone hanno un lavoro e un buon livello salariale. Un livello minimo di inflazione è quindi fisiologico (in Italia ipotizzo in linea generale un 4/5%) ed auspicabile mentre vanno evitati gli eccessi.
L’inflazione che è definita come l'”aumento generale dei prezzi” comporta quindi prezzi superiori, questo è un fattore che penalizza l’export e può provocare problemi alla bilancia commerciale. Come abbiamo già evidenziato se una Nazione esporta più di quanto importa incamera ricchezza che può utilizzare per detassare (ad esempio proprio chi esporta), fornire servizi, investire in tecnologia ecc (una buona competitività difende anche dai deprezzamenti rispetto alle valute estere altro fattore che stimola all’innovazione).
Per quanto riguarda il Debito Pubblico è essenziale comprendere cosa sia: quando un cittadino si reca in banca a depositare i propri risparmi molto spesso lo fa acquistando Titoli di Stato (BOT e BTP), i quali, conferiscono un interesse (nominale) in grado di tutelare il Capitale depositato.
Nei paesi del benessere l’interesse promesso non supera il valore del livello dell’inflazione. Quando il cittadino acquista BOT e BTP sta in realtà prestando soldi allo Stato quindi e questo non è altro che il famigerato Debito Pubblico.
Perché gli Stati emettono Titoli di Stato cioè Debito Pubblico? Perché per funzionare possono tassare, emettere moneta oppure chiedere prestiti: l’emissione di Titoli di Stato (TdS) non è un qualcosa di deprecabile quindi ma anzi è un fondamentale dell’economia di uno Stato.
Il Debito Pubblico finchè è interno sono i risparmi degli italiani, diviene invece una vera e propria preoccupazione quando il creditore è estero (Debito Estero).
Vi starete chiedendo: “ma allora quando è interno il paese può indebitarsi coi propri cittadini all’infinito”? Faccio notare che se uno Stato ha debiti verso i propri cittadini nessuno dall’estero può avanzare nessun tipo di pretesa, rivendicazione o altro (sarebbe come se un padre prestasse 50 euro al figlio e il vicino di casa astrusamente suonasse alla porta chiedendo questo danaro per sè!) ed invece ci viene costantemente rinfacciato; se un paese ha una buona bilancia commerciale cioè se esporta più di quanto importa sa di avere ottimi fondamentali di economia reale per sostenere anche un debito pubblico interno ingombrante (a proposito di fondamentali il nostro paese è in costante avanzo primario da anni e anni; cioè se escludiamo i tassi di interesse sul Debito Pubblico per far funzionare lo Stato spendiamo meno di quanto incassiamo alla faccia di chi ci descrive come spreconi).
A questo punto va chiarito che anche per quanto riguarda il Debito Pubblico Interno italiano non tutto è filato sempre liscio: col Divorzio Bankitalia/Tesoro del 1981 Ciampi e Andreatta crearono le condizioni per un innalzamento dei tassi di interesse nominali (e reali!) che puntualmente si verificò. Lo Stato non poteva più rispondere autofinanziandosi mediante emissione monetaria e restò incastrato dai giochi al rialzo dei principali prestatori (le banche private). L’autolesionista adesione allo SME (una sorta di precursore dell’euro che non a caso espresse un salasso di bilancia commerciale a tutto vantaggio dei tedeschi), la Volker Rule USA e la riunificazione tedesca fecero da catalizzatore all’impennata dei tassi di interesse nominale e reali sui Titoli di Stato. In altre parole le banche private “decidevano” il tasso di interesse che lo Stato doveva garantir loro e il Debito Pubblico si impennò in soli 11 anni da circa il 60% al 120% (dal 1981 al 1992) con buona pace di Di Maio che vorrebbe far credere che le motivazioni siano altre…
Sebbene si trattasse di Debito Interno chi poteva permettersi molti BOT e BTP si arricchiva ed erano i detentori di enormi capitali cioè le banche; Il debito interno rappresentò (e rappresenta) una redistribuzione al contrario che penalizzò i piccoli; anche se riuscivano ad acquistare BOT e BTP lo fecero in quantità molto minore e successivamente fu chiesto loro di pagare lo scotto (tasse e “riforme” anti sociali come quella di Treu a fine anni ’90).
Il netto dell’operazione non ha prodotto altro che una riduzione dei salari e dei diritti che a detta dello stesso Andreatta fu fin dall’inizio l’obbiettivo dei Governi. La tesaurizzazione anni ’80 quindi fece la felicità delle banche, fu improduttiva ed estremamente parassitaria. Faccio notare che le banche che si sono arricchite coi BTP e BOT adesso chiedono sacrifici al comune cittadino ed insieme a quelle estere suonano l’antifona del “fate in fretta”.
Se il Debito Interno esplose quindi non fu per la deprecabile corruzione (è dimostrato pesi per un 5/10%), non fu per politiche allegre di “spesa pubblica primaria” cioè di quella in beni e servizi (bassa in Italia da 40 anni rispetto agli altri paesi europei, come appurabile sul sito di Bankitalia) ma per l’incremento spropositato dei tassi di interesse (rendite).
Quando non saremo più soggetti a una moneta “privata” ed “estera” dovremo quindi operare in modo rigoroso con un occhio al benessere interno ad esempio fornendo diritti sociali aggiuntivi ed universali ai lavoratori (come il salario orario garantito e il reddito minimo garantito) e l’altro alla competitività tenendo sotto controllo l’inflazione e rendendo la vita più semplice alle imprese (ad esempio mediante “sburocratizzazione”).
Dovremo migliorare la qualità della spesa pubblica moderando le rendite sui Titoli di Stato attraverso una corretta gestione della Banca Centrale e dirigendo la spesa pubblica verso quella “infrastrutturale”, verso l’innovazione riducendo i posti pubblici improduttivi e clientelari.
In altre parole tornare sovrani significa chiudere con l’austerità (austerità ed euro sono inseparabili, prima il cittadino lo capirà e meglio sarà)
e tenerci distanti dal male assoluto (da quello vero però caro Di Battista…).
Nota di Gustinicchi: e non è il CAV!

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