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Le molte strade per uscire dalla crisi economica: perché «l’uscita secca dall’euro» è la strada inutilmente più difficile

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di Davide Gionco

Molti di noi sono consapevoli del fatto che la durissima crisi economica che affligge l’Italia da troppi anni è causata prima di tutto dall’insieme di regole assurde e insensate a cui l’Italia si è sottoposta aderendo ai vari trattati europei, fra le quali la moneta unica con la libera circolazione dei capitali, l’austerità di bilancio, la concorrenza fiscale sleale da parte di alcuni paesi europei, i troppi favori al sistema bancario (in particolare franco-tedesco) a danno dell’economia reale italiana.
Tutto questo, naturalmente, unito alla perenne incompetenza (o mancanza di coraggio, o di onestà) dei nostri politici, che non ci facciamo mancare da qualche decennio.
Purtroppo questa consapevolezza non riguarda la maggioranza dell’opinione pubblica, in quanto l’informazione mainstream è molto attenta nel non spiegare agli italiani quali sono le vere cause della crisi economica.
La consapevolezza non riguarda neppure la maggior parte dei nostri politici, i quali si informano anch’essi, rigorosamente, tramite l’informazione mainstream, superficiale e che non spiega nulla sulle cause dei problemi economici dell’Italia.

In realtà fra le cause della crisi economica ve ne sono altre che resterebbero anche se l’Italia uscisse dall’euro.
La questione fondamentale, infatti, non è solo ritornare ad avere una moneta sovrana, ma è anche porre fine alle politiche di austerità, ai continui ricatti da parte del sistema bancario-finanziario, fare in modo che lo Stato possa disporre degli strumenti finanziari a rilanciare l’economia del paese.
Il fatto che il 95% del denaro che utilizziamo è generato tramite l’emissione di credito da parte delle banche private, generando nel contempo un debito superiore (a a causa degli interessi) al credito generato, è un’altra delle cause della crisi economica.
E’ infatti noto agli esperti di economica che tutte le crisi economiche non sono mai state innnescate dal debito pubblico, ma sempre dal debito privato. E l’attuale sistema bancario italiano è è sempre di più di proprietà di grandi società finanziarie internazionali e sotto il controllo della BCE.
Il ripristino di una piena sovranità monetaria in Italia, quindi, è solo uno degli elementi che compongono la soluzione ai problemi economici del paese, di certo non l’unico, anche se certamente necessario.

Se dobbiamo salire in cima alla montagna, che rappresenta la ritrovata prosperità economica dell’Italia, dobbiamo scegliere accuratamente il percorso sa seguire.
Ci sono strade più facili o più difficili da seguire per arrivare alla stessa meta. E’ possibile seguire un percorso con minori asperità o un percorso con maggiori difficoltà, in cui il rischio di cadere e di fallire è molto più elevato.
Inoltre dobbiamo essere sicuri che la strada seguita ci porti veramente in cima alla montagna, perché, se non stiamo attenti, potrebbe solo portarci un po’ più in là, ma senza arrivare in cima ovvero senza portare l’Italia alla sospirata ripresa economica.
Ad esempio a poco ci serverebbe ristabilire la sovranità monetaria, se dovessimo poi continuare ad attuare le politiche di austerità e se l’andamento della nostra economia continuasse a dipendere dalle decisioni delle lobbies finanziarie internazionali.

Uscendo fuor di metafora, la proposta di seguire il percorso “uscire dall’euro” è irto di difficoltà e potrebbe non essere sufficiente a risolvere tutti i nostri problemi.
Iniziamo a guardare con obiettività alle difficoltà.

1) La maggior parte degli italiani non è consapevole dei danni derivanti dalla moneta unica, è convinta che la permanenza dell’euro sia cosa positiva e teme il ritorno alla lira.

2) Tutti i mezzi di informazione, o quasi, da 30 anni a questa parte sono favorevoli alla moneta unica. E nessuno di quelli favorevoli all’uscita dall’euro ha il potere di modificare la loro linea di (dis)informazione.

3) Buona parte dei poteri forti europei è contrario all’uscita dell’Italia dall’euro, sia perché perderebbero la “vacca da mungere”, sia perché se l’Italia uscisse dall’euro, certamente l’euro tracollerebbe in modo disordinato, tirando giù la finanza europea e mondiale.

4) Nel caso in cui una maggioranza politica decidesse di uscire dall’euro, convertendo in lire tutto ciò che oggi è in euro (come avvenne quando passammo dalla lira all’euro nel 2002), le pressioni politiche, finanziarie, economiche e mediatiche contro la maggioranza politica sarebbero enormi. Sarebbe necessaria una maggioranza politica parlamentare di almeno il 65-70%, in modo da reggere alle inevitabili defezioni di alcuni parlamentari in quel contesto.

5) Nel caso in cui l’uscita dall’euro riuscisse, le conseguenze sulle stabilità dell’euro sarebbero fatali, in quanto l’Italia è la terza economia dell’Eurozona. E’ impossibile prevedere quali sarebbero le reazioni dei vari governi coinvolti, ma è molto probabile che sarebbero scoordinate, il che causerà gravissimi danni al sistema finanziario mondiale, innescando una crisi economica senza precedenti.
In questa evenienza anche l’Italia, pur forte della propria nuova moneta sovrana, ne subirebbe le conseguenze, con gravi danni all’economia del paese. Immaginiamo quali potrebbero essere le conseguenze sulla maggioranza politica, “rea” di avere scatenato tutto questo. Sarebbe spazzata via e ritornerebbero al potere coloro che, per decenni, hanno supportato e sostenuto l’euro e tutte le riforme in favore della finanza internazionale, a spese delle imprese e dei cittadini italiani.
Non ci sarebbe nemmeno il tempo di far fruttare la sovranità monetaria, in quanto la nuova lira verrebbe utilizzata per reintrodurre le solite politiche di austerità e le solite “riforme” in favore delle banche, per cui l’effetto ottenuto sarebbe l’opposto a quello sperato.

Se l’uscita dall’euro voleva essere lo strumento per riportare il benessere economico in Italia, meta certamente condivisibile, la scelta di un percorso troppo rischioso potrebbe portare al fallimento, con risultati catastrofici.
La realtà è che l’Italia ha bisogno di una qualche forma di sovranità monetaria che consenta al governo di aumentare gli investimenti pubblici e di ridurre l’insostenibile pressione fiscale. Le famose politiche keynesiane.
L’uscita secca dall’euro non è l’unica strada da seguire, ce ne sono delle altre, meno irte di pericoli e più facili da percorrere.

Il percorso alternativo deve prima di tutto tenere conto della questione del sostegno dell’opinione pubblica.
Se l’obiettivo proposto è la “sovranità monetaria”, la gente non comprende neppure di cosa stiamo parlando. Si tratta di un concetto inafferrabile da chi da 30 anni si informa solo guardando la televisione.
Un conto è avere delle persone che partecipano ad un convegno, in cui i vari Valerio Malvezzi, Antonio Maria Rinaldi, Vladimiro Giacchè, ecc. che spiegano cosa è la sovranità monetaria e le ragioni tecniche per cui l’Italia ha bisogno della sovranità monetaria per uscire dalla crisi; un altro conto è far passare questi concetti attraverso i filtri dell’informazione mainstream, l’unica a cui la maggior parte dei cittadini, dei politici e dei giornalisti ha di fatto accesso.

In secondo luogo è importante comprendere che disporre della sovranità monetaria non significa necessariamente convertire in lire tutto ciò che ora è in euro, ma significa che lo Stato ha il potere di emettere una propria moneta, secondo le proprie regole di emissione e secondo le proprie regole di allocazione.
Disporre della sovranità monetaria non significa necessariamente avere la circolazione di un’unica moneta “sovrana” sul proprio territorio. Ad esempio nulla vieta in Italia di fare pagamenti in dollari fra privati, così come è possibile fare pagamenti in sardex o in bitcoin.
La differenza fra l’euro, oggi moneta a corso legale, e le altre valute è che l’euro viene accettato come valuta per il pagamento delle tasse e viene usato dallo Stato per il pagamento dei propri creditori (dipendenti, fornitori esterni, detentori dei titoli di stato).
Nulla vieta allo Stato di emettere altre forme di moneta e di usarle per i propri pagamenti.
Se quelli del sardex o del bitcoin lo possono fare, a maggior ragione lo può fare lo Stato.
Nulla vieta allo Stato di accettare per i pagamenti una nuova valuta si propria creazione, emessa parallelamente all’euro.
Per il momento lo Stato è solamente vincolato su ciò che riguarda i propri bilanci in euro, a causa dei trattati europei, non per quanto riguarda bilanci in altri tipi di valute. Potrebbe quindi emettere una nuova valuta per finanziare la ripresa dell’economia interna, continuando a rispettare i vincoli europei per quanto riguarda i bilanci in euro. Oppure cessare di farlo, essendosi sottratto ai ricatti di quelli che oggi detengono il monopolio sulla moneta unica, che “unica” non sarà più.
Se la strada dell’uscita secca dall’euro è irta di difficoltà di ogni genere, l’emissione di una valuta parallela pubblica può avvenire con molte meno difficoltà.

Per quanto riguarda gli aspetti della comunicazione, dovendo necessariamente passare attraverso ai mass media gestiti da giornalisti che vedono la sovranità monetaria come una “sparata nazionalista contro l’Europa”, presentare la nuova valuta sovrana “parallela” come una moneta alternativa all’euro, renderebbe molto difficile la comunicazione.
Se, invece, la soluzione venisse definita non come una “moneta sovrana”, ma come uno “strumento finanziario innovativo per attuare la piena occupazione” oppure come “strumento per porre fine alla crisi economica“, ci sarebbero maggiori probabilità che i giornalisti e quindi i politici e la gente normale, comprendano di cosa si tratta e che la proposta venga presa in considerazione nel dibattito pubblico.

Presentare la nuova moneta pubblica parallela sotto forma di compensazioni fiscali future, un concetto che già esiste attualmente nei rapporti fra Fisco e contribuenti e che, quindi, non è una novità, è probabilmente il modo migliore per minimizzare le resistenze da parte della stampa, dell’opinione pubblica e della classe politica.
Fra le proposte esistenti che vanno in questa direzione ci sono certamente quelle dei Certificati di Compensazione Fiscale, quelle dell’associazione Moneta Positiva e le “stato note” proposte da Nino Galloni.
Anche i minibot di Claudio Borghi sarebbero una moneta parallela di stato, ma hanno il “difetto” di presentarsi con l’immagine di banconote alternative all’euro, un grave errore di comunicazione che i mezzi di informazione non hanno perdonato.

Se la misura non porta rischi per gli investitori finanziari internazionali (rischi obiettivamente presenti in caso di uscita secca dall’euro dell’Italia), ci possiamo evitare di farci inutilmente degli altri (potenti) nemici. Ovviamente resterebbero gli speculatori della “vacca da mungere”, ma la maggior parte degli investitori finanziari vedrebbero certamente di buon occhio una ripresa economica dell’Italia e non sarebbero certamente contrari alla proposta. E non si tratta di un dettaglio trascurabile.

La messa in atto di uno strumento finanziario innovativo per favorire la ripresa economica dell’Italia consentirebbe di stabilire un’alleanza temporanea anche fra quelli convinti che l’Italia debba uscire dall’Unione Europea (Italexit) e quelli convinti che non sia bene uscire dall’Unione Europea, ma che sia necessario riformarla in profondità.
L’introduzione di una “moneta fiscale” parallela, infatti, considentirebbe da subito di far ripartire l’economia del paese, il che sarebbe un bene per tutti, dando maggiore forza politica al governo per attuare il successivo passaggio politico di una eventuale uscita dall’Unione Europea o, in alternativa, maggiore forza contrattuale per negoziare con gli alleati europei dei nuovi trattati europei che pongano fine alle politiche neoliberiste e che mettano al centro l’Europa sociale dei popoli.
Al di là della personale opinione di ciascuno, il fatto di poter realizzare questa alleanza consentirebbe di disporre molto più facilmente della maggioranza politica necessaria ad introdurre la nuova moneta parallela pubblica e per far uscire l’Italia quanto prima dallla crisi economica.

Una volta ripristinata la sovranità monetaria, i problemi non sarebbero affatto finiti. Ovvero: non saremmo ancor arrivati in cima alla montagna.
Resterebbero, infatti, da risolvere ancora tutti i problemi legati al sistema bancario, che spesso genera debito privato fuori controllo, con tutti i suoi legami con la finanza internazionale e con il mondo della speculazione.
Da dove iniziare?
Se l’Italia uscisse dall’euro semplicemente convertendo in lire tutto ciò che oggi è in euro, ma continuando ad affidare alla Banca d’Italia l’emissione “a debito” della moneta e continuando ad avere il 95% del denaro circolante creato dal sistema bancario privato mediante emissione di nuovo credito (e quindi di nuovo debito privato), continueremmo ad essere fortemente esposti alle “perturbazioni” della finanza internazionale.
Le proposte sopra citate di emissione di una nuova valuta parallela pubblica sotto forma di compensazioni fiscali consentirebbero non solo di ripristinare la sovranità monetaria, ma anche di dare vita ad un nuovo circuito pubblico dei pagamenti indipendente da quello ella Banca d’Italia e delle banche private.
Ciascun contribuente dispone di un codice fiscale o di una partita IVA. Questi codici non sono altro che il numero di conto corrente “unilaterale” che ciascun contribuente già possiede presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF).
La nuova moneta fiscale potrebbe semplicemente essere emessa dal MEF (dal nulla!) e accreditata sul Conto Corrente Fiscale del contribuente. E basterebbe il passaggio formale di rendere questi conti “multilaterali” per trasformarli in conti correnti bancari, dando la possibilità di utilizzarli non solo per il pagamento delle tasse, ma anche per ricevere accrediti da parte del MEF e per effettuare pagamenti verso terzi.
Il risultato sarebbe la creazione di un circuito pubblico dei pagamenti, indipendente dalla Banca d’Italia, dalla BCE e dalle banche private.
Questo circuito consentirebbe di svolgere operazioni di finanza pubblica in modo assolutamente indipendente dalle pressioni dell’Unione Europea, della BCE, dei mercati finanziari.
Avremo modo di approfondire la proposta nei prossimi articoli.
Per il momento è importante comprendere che le soluzioni delle monete fiscali offrono molti vantaggi rispetto alla soluzione dell’uscita secca dall’euro, vantaggi sia in termini di facilità di attuazione, sia in termini di vantaggi per le ulteriori riforme del sistema monetario-bancario-finanziario che sono fondamentali per attuare in Italia (e non solo in Italia) un sistema di regole funzionali al buon funzionamento dell’economia reale.


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