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L’anomalia italiana del voto di preferenza nelle elezioni europee – di Antonio Maria Rinaldi

L’Italia è l’unico Paese UE con le preferenze alle Europee. Un feticcio democratico che, secondo l’analisi, ci indebolisce a Bruxelles premiando il clientelismo locale anziché la competenza.

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Le elezioni del Parlamento europeo rappresentano il principale strumento di legittimazione democratica dell’Unione e il punto di equilibrio tra la volontà dei cittadini e l’architettura istituzionale sovranazionale. In esse si misura la capacità dell’Europa di coniugare la sovranità nazionale con l’interesse comune. Tuttavia, dietro l’apparente uniformità delle regole elettorali, persiste un mosaico di discipline differenti che riflette la permanenza delle tradizioni statuali. L’Unione ha fissato principi generali – proporzionalità, suffragio universale e parità di genere – ma ha lasciato ampia discrezionalità agli Stati nella loro attuazione concreta.

In questo quadro, l’Italia rappresenta un’eccezione. È l’unico Paese dell’Unione a mantenere il voto di preferenza per l’elezione dei propri rappresentanti a Strasburgo e Bruxelles. Gli altri Stati, scegliendo sistemi a liste bloccate o semi-bloccate, hanno orientato la competizione sui programmi e sulla coerenza delle forze politiche, non sui singoli candidati. In Italia, invece, il voto di preferenza – nato come espressione di libertà democratica – si è progressivamente trasformato in un meccanismo di personalizzazione che frammenta il consenso e indebolisce la funzione rappresentativa.

La competizione interna ai partiti spinge i candidati a privilegiare l’impegno territoriale rispetto a quello istituzionale. Le campagne elettorali diventano esercizi di visibilità locale, spesso alimentate da reti di influenza e da apparati clientelari, più che da un confronto sui temi europei. Ciò produce un effetto distorsivo: l’elezione di personalità dotate di consenso ma prive di adeguata competenza sui dossier comunitari, incapaci di partecipare con efficacia ai negoziati che determinano le scelte strategiche per il futuro economico e istituzionale del Paese. Il risultato è un deficit di rappresentanza effettiva che riduce la capacità dell’Italia di incidere nei processi decisionali europei e di difendere i propri interessi economici e istituzionali.

Nei Paesi dove prevale la lista chiusa, al contrario, la selezione dei candidati si basa su criteri di competenza, esperienza e coerenza politica. Il rappresentante, liberato dall’obbligo di raccogliere preferenze personali, può dedicarsi alla sostanza del lavoro parlamentare, alla costruzione di alleanze e alla definizione di strategie comuni. È un modello più funzionale all’interesse collettivo e alla stabilità del sistema.

In questo scenario, la proposta di istituire liste transnazionali viene presentata come strumento per rafforzare l’identità europea e armonizzare i sistemi elettorali. Tuttavia, tale progetto rischia di produrre effetti opposti. Un rappresentante eletto in un Paese diverso da quello d’origine, privo di radicamento nella realtà economica e sociale locale, difficilmente potrà comprendere e difendere le esigenze specifiche del territorio che lo ha votato. In Italia, dove il tessuto produttivo è caratterizzato da piccole e medie imprese, filiere integrate e forti specificità regionali, l’assenza di una conoscenza diretta di tali dinamiche renderebbe impossibile rappresentare in modo efficace gli interessi nazionali. Le liste transnazionali, in nome dell’unità politica, finirebbero così per accentuare la distanza tra Bruxelles e i cittadini, sostituendo la rappresentanza con una tecnocrazia priva di radici.

L’Italia dovrebbe invece orientarsi verso un sistema che riduca la concorrenza individuale ma mantenga un saldo legame con il territorio, restituendo dignità, preparazione e continuità alla propria rappresentanza. Difendere oggi il voto di preferenza come simbolo di libertà popolare significa, in realtà, perpetuare una distorsione che indebolisce la voce del Paese in Europa. La sovranità non si misura nel numero delle preferenze personali, ma nella capacità di incidere con competenza, visione e responsabilità sulle decisioni comuni.

Antonio Maria Rinaldi

Ex membro della Commissione Affari Costituzionali del Parlamento europeo

Parlamento Europeo Strasburgo

Domande e risposte

  • Perché l’Italia è l’unico Paese a usare il voto di preferenza? È una scelta storica, mantenuta in nome di una presunta “maggiore democrazia” e libertà di scelta per l’elettore. Tuttavia, l’analisi suggerisce che questa scelta, unica nell’UE, non ha portato i benefici sperati. Mentre altri Paesi hanno privilegiato la stabilità e la coerenza dei programmi tramite liste chiuse o semi-bloccate, l’Italia è rimasta legata a un sistema che favorisce la personalizzazione della politica, spesso a scapito della competenza sui temi europei e della forza del sistema-Paese a Bruxelles.
  • In che modo il voto di preferenza indebolisce l’Italia? Trasforma le elezioni europee in una gara locale. I candidati si concentrano sulla raccolta di voti nel loro territorio, spesso tramite reti di influenza, anziché sui grandi temi comunitari. Questo meccanismo tende a premiare la popolarità locale piuttosto che la competenza tecnica sui dossier UE. Di conseguenza, l’Italia rischia di inviare a Strasburgo rappresentanti poco preparati a negoziare e difendere efficacemente gli interessi economici e strategici nazionali nei complessi processi decisionali dell’Unione.
  • Le liste transnazionali sono una soluzione migliore? Secondo l’analisi, no. Sebbene proposte per rafforzare un “demos” europeo, rischiano di creare una frattura ancora più profonda. Un rappresentante eletto in un Paese diverso dal proprio, senza legami con il tessuto economico e sociale locale (come quello italiano, fatto di PMI e specificità regionali), non potrebbe difenderne gli interessi. Si finirebbe per sostituire la rappresentanza territoriale con una forma di tecnocrazia slegata dalla realtà, aumentando la distanza tra cittadini e istituzioni UE.
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