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La vittoria di Geert Wilders e la controrivoluzione al Green forzato che in Italia non si può ammettere

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I nostri gironali, sempre monotematici, mai in grado di una una visione globale, tranne qualche lodevole eccezione, hanno descritto la vittoria del PVV di Geert Wilders nelle recenti elezioni nei Paesi Bassi come una sorta di fenomeno renachista contro gli immigrati, che, fra l’altro, lo hanno pure votato. Nessuno si è mosso a fare una analisi più attenta di quanto sta succedendo in Europa da quando si è deciso di imporre la transizione green sulla testa, e nelle tasche, dei cittadini europei.

In Francia, su un giornale mainstream come Le Figaro, qualcuno ha avuto questo coraggio. Nicolas Beverez ha giustamente affermato che la vittoria di Wilders, che, nel frattempo, sta ccercando di costruire un governo di centrodestra, non è altro che la controrivoluzione popolare contro le imposizioni di un ecologismo calato dall’alto da una minoranza benestante e privilegiata. 

Vediamo cosa dice:

Queste elezioni, che segnano una svolta storica nella vita politica dei Paesi Bassi, sono state segnate da un referendum sulla politica europea in materia di immigrazione ed ecologia, incarnato da Frans Timmermans, sostenitore del “Green Deal”. Questo referendum è stato perso. La rivolta olandese è un avvertimento gratuito a cui bisogna prestare attenzione. E questo è tanto più vero perché avviene dopo l’avvento al potere di Giorgia Meloni e si inserisce nell’ondata di opposizione all’ecologia nel mondo sviluppato.

Le ambiziose politiche sociali ed ecologiche europee, il Green Deal a suon di obblighi, di costi e di deindustrializzazione imposto dalla sinistra  social-verde, viene bocciato ad ogni tornata elettorale democratica. Eppure resta sempre come “Obiettivo ambizioso” e indiscutibile, mai messo in esame democraticamente.  Proseguiamo:

Negli Stati Uniti, il Partito Repubblicano è passato ad un’ostilità radicale nei confronti della transizione ecologica. In Europa, la rivolta del mondo rurale – come la mobilitazione degli agricoltori francesi contro l’aberrazione della maggese nel mezzo di una crisi alimentare – si unisce alla protesta delle classi medie urbane impoverite. Tutti si oppongono alla strategia della decrescita che si traduce, nella più perfetta opacità, nel far esplodere i prezzi del cibo e dell’energia, nel creare una carenza di alloggi, nel ridurre autoritariamente la mobilità, nel generare una burocrazia tentacolare che rivendica il diritto di regolamentare e controllare la vita delle imprese e dei cittadini fin nel più piccolo dettaglio. Oggi c’è uno scontro diretto tra l’ecologia e la sua accettabilità da parte dei cittadini europei.

Incredibile, un giornale mainstream che conferma quello che diciamo da tempo: stiamo distruggendo il tessuto economico e sociale europeo sull’altare di obiettivi ecologici dubbi e probabilmente inutili, il tutto senza una condivisione democratica delle responsabilità.

Però ora viene il bello:

Nel suo desiderio di affermarsi come leader planetario nella transizione ecologica, l’Unione Europea è caduta nell’irragionevolezza, trasformando il “Green Deal” in una macchina infernale. Sul piano economico, rinchiude l’Europa in un malthusianismo rovinoso e organizza la delocalizzazione di industrie, capitali e posti di lavoro qualificati verso gli Stati Uniti, anche se il PIL dell’Unione rappresenta solo il 65% di quello americano rispetto al 91% di dieci anni fa. Sul piano commerciale, equivale a un “Buy China Act”, poiché Pechino ha costruito, con l’aiuto di sussidi e dumping, un monopolio virtuale nelle energie rinnovabili, nelle batterie e nei veicoli elettrici. A livello sociale, fa esplodere le disuguaglianze e fa cadere nella precarietà e nella povertà una parte significativa della classe media. A livello strategico, attraverso il progetto di tassonomia e sotto l’influenza delle ONG sostenute da imperi autoritari, sta indebolendo l’industria europea della difesa in un momento in cui il continente si trova sotto la minaccia esistenziale della Russia. Politicamente, indebolisce la democrazia e arricchisce l’estrema destra. Infine, dal punto di vista ambientale, è inefficace perché il calo delle emissioni in Europa è più che compensato dalla cascata di aperture di centrali elettriche a carbone in Cina e India.
Il fallimento europeo contrasta con i successi di Stati Uniti e Cina. L’Inflation Reduction Act (IRA) combina reindustrializzazione, sostegno all’innovazione, transizione climatica e stabilizzazione della classe media. Da vent’anni la Cina intende dipendere dal resto del mondo per la produzione di attrezzature e beni vitali per la decarbonizzazione dell’economia. L’Europa deve ispirarsi a questo per ridefinire la propria strategia. Ripensandolo in un quadro planetario e condizionandolo agli sforzi compiuti dagli altri blocchi. Uscendo da obiettivi e calendari irrealistici per restituire tempo e flessibilità nelle scelte tecnologiche. Puntando su produzione e innovazione invece che su normative e tasse. Valutando e compensando gli impatti economici e i costi sociali. Sottomettendolo all’imperativo della sovranità e alla difesa della libertà. La transizione ecologica resta essenziale. Ma si farà con i cittadini oppure non si farà.

Cioè il discorso è semplice, banale: anche ammettendo che la transizione energetica sia vera e necessaria, non può essere fatta in un quadro austero, di vincoli di bilancio, che ci obbliga a sacrificare tutto per investire in un green che, fra l’altro, non produciamo e che ci obbliga a importare da una Cina astuta che ha sviluppato il settore neggli scorsi 10 anni. Se la transizione energetica è necessaria, allora bisogna farla non guardando al pareggio di bilancio, ma investendo pesantemente nei settori energetici, ma senza togliere agli altri. Non si può obbligare i cittadini a scegliere fra pensioni, ospedali e scuole  da un lato e pannelli solari, turbine elettriche o centrali nucleari da un lato. I cittadini, che pure guardano al domani, ma scelgono per l’oggi, difenderanno il minimo di benessere che hanno e manderanno, francamente in modo giusto, gli obiettivi ecologici a quel paese.

Anche perché questi obiettivi ecologici sono in realtà un vantaggio competitivo per quelle parti, India e Cina, che praticamente li ignorano se non li irridono. A questo punto la mossa risulta, come dice Beverez, solamente malthusiana ed autodistruttiva, e sarà possibile solo se imposta con la violenza, fisica o verbale.

Lo vogliamo veramente?

 


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