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Scienza

La Terra ha il suo “Bilancio” segreto: scoperto un gigantesco serbatoio di CO2 sotto l’Atlantico

Uno studio sulla crosta oceanica rivela un meccanismo naturale di sequestro del carbonio ben più potente del previsto. Ecco come le rocce “respirano” su tempi geologici.

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Non solo atmosfera e foreste: le “frane” sottomarine dell’Atlantico stanno riscrivendo la storia del ciclo del carbonio. Uno studio rivela come la crosta oceanica “mangi” l’anidride carbonica, ma con i suoi tempi geologici.

Mentre il dibattito pubblico e politico si concentra freneticamente sulle emissioni antropiche e sulle scadenze ravvicinate delle agende climatiche, la Terra continua a lavorare silenziosamente, seguendo un orologio che non si misura in anni, ma in eoni. Una recente scoperta scientifica, passata quasi inosservata ai più ma di fondamentale importanza per la geologia e la climatologia, ci costringe a rivedere i conti del “bilancio” globale del carbonio.

Al centro della scena c’è la Spedizione 390 dell’International Ocean Discovery Program (IODP), che ha trivellato i fondali dell’Atlantico Meridionale portando alla luce una verità geologica affascinante: le vecchie croste oceaniche non sono inerti cimiteri di roccia, ma attivi laboratori chimici che sequestrano enormi quantità di CO2.

Fondale oceanico

Il contesto: un bilancio in passivo o in attivo?

Per capire la portata della scoperta, bisogna fare un passo indietro e guardare al ciclo del carbonio nella sua interezza. Solitamente, ci preoccupiamo di quanta CO2 immettiamo nell’atmosfera e di quanta ne assorbano le foreste o gli oceani (in superficie). Ma esiste un ciclo geologico molto più profondo. Quando le placche tettoniche si separano, il magma risale e forma nuova crosta. Questo processo rilascia gas, inclusa la CO2. In teoria, se la Terra rilasciasse solo gas senza riassorbirli, l’effetto serra sarebbe andato fuori controllo miliardi di anni fa. Deve esistere un meccanismo di compensazione, un “pozzo”  che intrappola il carbonio e lo rimette sottoterra.

Fino ad oggi, sapevamo che l’alterazione delle rocce dei fondali marini giocava un ruolo, ma i conti non tornavano. Mancavano i dati su vaste aree dei fianchi delle dorsali oceaniche. Ed è qui che la nuova ricerca cambia le carte in tavola.

La scoperta: le “Brecce” come spugne chimiche

I ricercatori hanno analizzato campioni prelevati dalla Dorsale Medio-Atlantica, concentrandosi su rocce formatesi circa 61 milioni di anni fa. Non si tratta di rocce qualunque, ma di “brecce di talus”.

Che cos’è una breccia di talus? Immaginate una gigantesca frana sottomarina. Quando la crosta oceanica si forma in una dorsale a “espansione lenta” (come quella atlantica, che si allarga piano rispetto a quella pacifica), il processo è violento e crea enormi faglie. Queste faglie generano detriti, rocce fratturate e cumuli di macerie: le brecce, appunto.

Queste macerie sono porose. L’acqua di mare circola liberamente attraverso di esse. E qui avviene la magia chimica. Dopo 40 milioni di anni di circolazione dell’acqua marina e cementazione, queste brecce hanno mostrato un contenuto di CO2 derivata dall’acqua di mare pari a circa il 7,5% in peso.

Per dare una misura del fenomeno:

  • Si tratta di valori da 2 a 40 volte superiori rispetto a quelli riscontrati nella crosta superiore “standard” precedentemente campionata.
  • È un meccanismo di sequestro molto più efficiente di quanto ipotizzato dai modelli precedenti.

Il Meccanismo di Assorbimento: la chimica della pietra

Il cuore della scoperta risiede nel processo di “weathering” (alterazione meteorica) del fondale marino. Cerchiamo di spiegarlo in termini tecnici ma accessibili, come piace a noi.

  1. La Frattura: Tutto inizia con la tettonica. Nelle dorsali a espansione lenta, la crosta non si forma in modo ordinato e liscio. Si spacca. Si creano faglie profonde e scarpate. La roccia si frantuma in blocchi (brecce), aumentando esponenzialmente la superficie esposta.
  2. La Circolazione: L’acqua di mare, ricca di CO2 disciolta (che l’oceano ha assorbito dall’atmosfera), penetra in queste fratture. A differenza dei sistemi idrotermali ad alta temperatura (i famosi “camini” o black smokers), qui parliamo di una circolazione a bassa temperatura, più lenta ma costante e pervasiva.
  3. La Reazione: La crosta oceanica è fatta principalmente di basalto, una roccia ricca di calcio e magnesio, ma povera di silice. Il basalto è chimicamente instabile quando incontra l’acqua di mare. Avviene una reazione chimica: l’anidride carbonica disciolta nell’acqua reagisce con il calcio presente nella roccia.
  4. La Precipitazione: Il risultato di questa reazione è la formazione di carbonato di calcio (sotto forma di calcite o aragonite). In pratica, la CO2 che era gas, poi disciolta in acqua, diventa ora roccia solida (cemento) che riempie i vuoti tra i detriti della breccia.

Questo carbonio è ora bloccato. Non tornerà in atmosfera per milioni di anni, finché quella porzione di crosta non finirà in una zona di subduzione per essere fusa di nuovo. È un sequestro geologico permanente.

 

a, Confronto tra il potenziale serbatoio di CO2 della breccia crostale oceanica e il flusso di degassamento MOR stimato1 (linea blu continua) per km2 di crosta oceanica. L’incertezza nel flusso di degassamento MOR globale1 è indicata dalla zona ombreggiata in blu, con le stime massime e minime indicate rispettivamente dalle linee blu tratteggiate lunghe e corte. L’entità del pozzo di assorbimento di CO2 delle brecce detritiche (linee rosse) dipende sia dal loro spessore medio che dal loro contenuto di CO2 (7,5% in peso nel sito U1557; linea rossa continua). b, Il pozzo di assorbimento di CO2 ospitato dalla breccia talus con il 7,5% in peso di CO2, espresso come percentuale del flusso di degassamento di CO2 stimato nella MOR per illustrarne l’entità relativa, in funzione dello spessore medio della breccia. Le linee blu continue, tratteggiate lunghe e corte indicano rispettivamente la proporzione delle stime medie, massime e minime del flusso di degassamento. c, Stime dello spessore medio della breccia lungo i segmenti della dorsale medio-atlantica (MAR) a espansione lenta (rosso), della dorsale Southern Explorer (SoExR) a espansione intermedia e delle creste Cocos-Nazca (CoNz) (giallo) e della dorsale a espansione rapida East Pacific Rise (EPR) (verde), calcolate dalle osservazioni delle geometrie delle faglie e dei talus e dalla deformazione tettonica utilizzando il bootstrapping parametrico (Metodi e Tabella supplementare 4). Le barre colorate indicano l’incertezza nello spessore medio stimato (equivalente a 1σ). d, Distribuzioni degli spessori simulati delle brecce (TB) utilizzati per calcolare gli spessori medi visualizzati in c. Lo spessore delle brecce nell’area MAR 13° N (barra/linea tratteggiata rosso chiaro rispettivamente in c e d) è stimato solo sulla crosta non interessata da faglie di distacco a basso angolo (cioè sul fianco della dorsale opposto ai complessi oceanici centrali) ed è quindi interpretato con cautela in questo caso (Metodi). L’area ombreggiata in rosso in b indica l’incertezza nella misura in cui la breccia talus dello spessore medio stimato per il MAR a 29° N (ipotizzando un contenuto di CO2 del 7,5% in peso) potrebbe accogliere la CO2 degassata durante la formazione della crosta sottostante, date le incertezze sia nel flusso di degassamento di CO2 del MOR che nello spessore medio stimato della breccia.

La variabile della velocità di espansione

Lo studio introduce un concetto fondamentale per la paleoclimatologia: la relazione non lineare tra la velocità di espansione delle placche e la quantità di CO2 assorbita.

  • Dorsali a espansione rapida (es. Pacifico): Creano crosta liscia, uniforme. Meno faglie, meno detriti (talus), meno superficie di scambio. Meno assorbimento di CO2.
  • Dorsali a espansione lenta (es. Atlantico): Creano una topografia accidentata, piena di faglie e brecce. Più “spugne” di roccia pronte ad assorbire carbonio.

Questo significa che la capacità della Terra di regolare il proprio termostato dipende dalla velocità con cui si muovono i continenti. In epoche geologiche in cui prevalevano dorsali a espansione lenta, la Terra aveva un meccanismo naturale più efficiente per rimuovere la CO2, raffreddando potenzialmente il clima. Al contrario, fasi di espansione rapida potrebbero aver favorito un accumulo di CO2, non solo per il maggior degassamento vulcanico, ma anche per la minor efficienza di questo sistema di filtraggio.

Conclusioni: La lezione per l’uomo

Cosa ci insegna questo studio? Innanzitutto, che i modelli scientifici sono in continua evoluzione. Abbiamo sottostimato per anni la capacità dei fondali oceanici di agire come serbatoi di carbonio, semplicemente perché non avevamo campionato le zone “sporche” e caotiche delle faglie, preferendo quelle più ordinate.

In secondo luogo, ci ricorda la scala dei tempi. Questo meccanismo di assorbimento è potente, ma lavora su scale di decine di milioni di anni. La natura ha i suoi sistemi di riequilibrio, ma non sono compatibili con i tempi dell’economia umana o delle emergenze climatiche attuali. La “Banca Centrale” della Terra ha un bilancio solido, ma le sue operazioni di compensazione richiedono ere geologiche. Non è una scusa per ignorare le emissioni odierne, ma è un tassello fondamentale per capire come funziona la complessa macchina termica su cui viaggiamo.

Ancora una volta, la scienza ci dimostra che guardare sotto la superficie – letteralmente – riserva sorprese che valgono più di mille modelli teorici.


Domande e risposte

Questo processo può aiutarci a combattere il cambiamento climatico oggi? Purtroppo no, non in modo diretto o immediato. Il processo descritto nello studio agisce su scale temporali di milioni di anni (il campione analizzato ha accumulato carbonio per 40 milioni di anni). Sebbene sia un meccanismo fondamentale per il bilancio del carbonio a lungo termine della Terra e per stabilizzare il clima nelle ere geologiche, è troppo lento per compensare le emissioni antropiche attuali, che avvengono a una velocità enormemente superiore rispetto alla capacità di reazione naturale delle rocce basaltiche.

Perché è importante la distinzione tra dorsali a espansione “lenta” e “veloce”? È cruciale perché cambia la “geometria” del fondale. Le dorsali lente (come quella Medio-Atlantica) sono tettonicamente più violente e creano molte più faglie e detriti rocciosi (brecce). Questi detriti offrono una superficie enorme per le reazioni chimiche con l’acqua di mare. Le dorsali veloci creano crosta più uniforme e impermeabile. Quindi, paradossalmente, quando la tettonica è “pigra” nell’espandersi, è più “attiva” nel sequestrare chimicamente la CO2, influenzando i cicli climatici storici del pianeta.

Che cos’è esattamente il “talus” citato nello studio? In geologia, il termine “talus” (o detrito di falda) indica l’accumulo di frammenti di roccia alla base di un pendio o di una scarpata. Nel contesto sottomarino di questo studio, si riferisce ai vasti accumuli di macerie basaltiche che si formano quando la crosta oceanica si spacca lungo le grandi faglie delle dorsali. Questi ammassi di pietre non sono compatti, ma pieni di spazi vuoti in cui l’acqua di mare può circolare, depositando carbonato di calcio e “cementando” il tutto nel corso dei millenni.

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