Esteri
La “Strategia del porcospino”: come Taiwan pensa di usare i droni per contenere la Cina
La guerra russo-ucraina ha mostrato nuove strategie che altri stanno pensando di adottare ed espandere. Già nell’estate 2022 gli esperti militari dell’isola stavano studiando le tattiche ucraine contro un avversario militarmente superiore, cogliendo i punti che si sarebbero potuti applicare anche alla situazione orientale.
In quel momento Taiwan era in profonda inferiorità anche in questo settore, con solo 4 modelli e qualche centinaio di droni in servizio, contro i 50 modelli e migliaia di pezzi a disposizione delle forze armate cinesi. A questo punto il presidente Tsai ha dato il via e le autorità hanno creato il “Drone national team” , con la finalità di mobilitare le risorse dei produttori interni in funzione di difesa, anche con la creazione di catene logistiche sicure.
Secondo i piani di Taipei l’obiettivo è quello di costruire più di 3.200 droni militari entro la metà del 2024. Questi includeranno mini-droni che pesano meno di 2 chilogrammi e mezzi di sorveglianza più grandi con un raggio di 150 chilometri.
Per accelerare la produzione, il governo arruola per la prima volta società private nella fase di ricerca e sviluppo di un programma di armi. Almeno nove aziende private hanno aderito allo sforzo.
Il Thunder Tiger Group, meglio conosciuto per la produzione di aeromodelli radiocomandati per il tempo libero e per uso commerciale, è tipico del tipo di società reclutate dal governo. I partecipanti hanno competenze che vanno dall’aviazione alle telecomunicazioni alla produzione di componenti elettronici per applicazioni come il posizionamento GPS. Hawk Yang, il capo del dipartimento di ricerca e sviluppo di Thunder Tiger, ha detto a Reuters che la sua azienda sta ora sviluppando droni per l’esercito di Taiwan, inclusi elicotteri di sorveglianza terrestri o navali senza pilota con rotori lunghi 4 metri che hanno una portata di 400 km e possono rimanere in volo fino a sei ore. Nello stesso tempo i mezzi civili vengono integrati con radar e sistemi di geolocalizzazione militari per poter completare le proprie missioni
“Un piccolo drone potrebbe far saltare in aria un carro armato che vale decine di milioni”, ha detto, sottolineando la rapidità con cui la guerra moderna sta cambiando con l’ascesa di armi asimmetriche: armi leggere e poco costose che possono controbilanciare sistemi grandi e costosi. Una sorta di manna concettuale per un paese piccolo, ma tecnologicamente molto avanzato, come Taiwan che, tra l’altro, così si inserisce come sviluppatore militare nel complesso quadro estremo-orientale.
La “Strategia del porcospino”
L’applicazione di una strategia basata sui droni di successo però richiede una serie di fattori strategici che Taiwan sta sviluppando con i proprio operatori industriali privati:
- prima di tutto un insieme di droni che completi la cosiddetta “Kill chain” , la catena di morte che partire dai droni di sorveglianza su ampie aree a quelli mirati a quelli d’attacco alla rilevazione dei danni, una catena che coinvolge anche la collaborazione fra diversi operatori;
- quindi un sistema industriale in grado di sostituire rapidamente i droni persi perché, proprio per la loro spendibilità, necessitano di essere sostituiti in grandi numeri
Si calcola che durante la campagna in Ucraina siano andati persi circa 10 mila droni commerciali modificati, per cui l’industria deve essere in grado di sostuire in tempi brevi questi numeri di droni, soprattutto perché Taiwan è un mondo che potrebbe essere isolato dall’esterno. Questo però apre un mondo commerciale nuovo di droni a doppio uso che possono essere esportati, per cui i contratti statali potrebbero tradursi in importanti occasioni commerciali per Taiwan.
Ecco perché si parla di “Strategia del porcospino”: questo termine è dovuto al fatto che l’isola deve essere in grado di difendersi chiudendosi su se stessa e di risultare un obiettivo costoso da conquistare, però questa strategia, complessa, può avere delle ricadute importanti in un mondo sempre più inquieto.
Una guerra tecnologica
La Cina controlla l’80% del mercato mondiale dei droni commerciali, per cui anche in questo settore la strada di Taiwan è in salita. La Cina si sa ha sviluppato una strategia basata sull’oso di “Sciami di droni”, migliaia di pezzi spendibili in attività di attacco, ma, in realtà, si sa poco di quanto stiano pensando di fare, in caso di guerra, i vertici militari di Pechino. Sicuramente la PLA , l’esercito cinese può permettersi di mandare alla distruzione migliaia e migliaia di droni per esaurire le difese antiaeree dell’isola.
Taiwan è un mercato minuscolo rispetto alla Cina continentale, per cui per espandere la propria industria deve contare sulle esportazioni e sulla collaborazione con gli USA, molto estesa e profonda dal punto di vista tecnologico. Ad esempio Thunder Tiger ha sviluppato un interscabio sulla produzione tramite stampa 3d con gli USA che permetterebbe di accelerare i tempi di produzione delle parti dei droni e ora svilupperà dei nuovi quadricotteri specificamente destinati alla difesa, ma senza un flusso produttivo verso l’esterno questi sforzi rischiano di essere insufficienti in una guerra su larga scala.
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