Economia
La nuova “Politica della Competitività Europea”: chiacchiere, troppe, e distintivo
Oggi sono state pubblicate le linee guida della nuova commissione. In teoria guidate verso il recupero della competività, con la mentalità dirigistica della Commissione precedente. Chiacchiere e distintivo, che non cambieranno nulla.
L’Unione Europea ha tracciato il suo percorso per i prossimi cinque anni con una serie di nuove priorità economico-politiche. La Commissione Europea, sotto la guida di Ursula von der Leyen 2, sembra però intenzionata a proseguire sulla strada del dirigismo economico, proponendo una serie di ricette che rischiano di soffocare l’innovazione e la crescita invece di stimolarle.
Apparentemente cambiano alcune parole chiave, neanche tutte, ma non cambia per nulla l’impostazione generale, degna dell’Unione sovietica di Breznev, o meglio, di Andropov, quando qualcuno iniziò a capire che qualcosa non funzionava nell’Unione Sovietica, ma non capì come risolvere il problema e, alla fine, peggiorò la situazione.
L’articolo “Competitività a lungo termine dell’UE: guardando oltre il 2030”, consultabile sul sito ufficiale, delinea un quadro preoccupante, basato su un’eccessiva regolamentazione e su una visione miope che non tiene conto delle dinamiche globali.
Un dirigismo soffocante:
L’approccio della Commissione appare immutato rispetto al passato: governare l’economia a suon di decreti e leggi, dettare dall’alto le priorità e le direzioni di sviluppo.
L’illusione di poter pianificare l’innovazione e la crescita è palese, errata e non tiene conto dell’imprevedibilità dell’evoluzione tecnologica a livello fine, mentre ignora completamente la velocità con cui evolve quella macro.
Facciamo un esempio. l’Europa ragiona con ITER il mega progetto per la fusione nucleare iniziato nel 2007, costosissimo, che probabilmente non raggiungerà la fusione, e lo farà dopo gli altri. Il MIT prevede la fusione commerciale per il 2030, i cinesi,, in quattro e quattr’otto, hanno messo in piendi diversi progetti, alcuni sviluppati in mesi. La ricerca è un enorme bidone nella UE, perchè dirigistica: si va in una direzione politica, che ha i denari, ma che è quasi sempre sbagliata. I risultati sono nulli, ma i soldi sono stati spesi.
Tornando al progetto, i nove punti chiave elencati (dal mercato unico alla digitalizzazione, passando per la difesa e le materie prime critiche) sono permeati da questa logica interventista. Si parla di “rafforzare”, “migliorare”, “garantire” sempre con un’impronta ideologica di controllo e direzione centralizzata, piuttosto che di liberazione delle forze di mercato. Del resto la Commissione ha sempre a capo la Von Der Leyen, e ci sono sempre dentro i socialisti, cosa può cambiare?
Green Deal 2.0: la persistenza di un errore?
Nonostante le criticità emerse, la Commissione non sembra intenzionata ad abbandonare l’impostazione “green” che ha caratterizzato il precedente mandato.
Si parla di “economia sostenibile e resiliente”, ma non si comprende come sia possibile raggiungere tale obiettivo senza una reale competitività delle tecnologie verdi. Abbiamo la solita “Word salad”, senza nessun legame con la realtà. Se le tecnolgie verdi fossero veramente così competitive economicamente l’energia tedesca costerebbe meno di quella negli USA o in Francia, invece è l’opposto. Però abbiamo a che fare con verdi e Socialisti, per cui, a parole, possono ancora affermare il contrario.
L’imposizione di standard e regolamenti, senza una parallela convenienza economica ad adottarli su scala globale, rischia di rimanere lettera morta. Qualè il grande risparmio economico dalla standardizzazione perlla presa Usb-C, che, magari, sarà un residue archelogico fra cinque anni? Qual’è il vero vantaggio di una standardizzazione per decreto e non per selezione del mercato?
Sarebbe necessario un cambio di paradigma: incentivare la ricerca e lo sviluppo, favorire la concorrenza tra le diverse tecnologie, lasciare che sia il mercato a decretare le soluzioni più efficienti. Imporre dall’alto la transizione green, senza tener conto della realtà economica internazionale, significa condannarla al fallimento. La sola via percorribile è quella di rendere le tecnologie verdi competitive, non solo a parole, ma nei fatti, rispetto alle fonti energetiche tradizionali e a livello globale.
Finché le aziende troveranno più conveniente produrre altrove, dove i costi energetici e le normative ambientali sono meno stringenti, l’Europa si troverà a combattere una battaglia persa in partenza, con il solo risultato di perdere competitività e posti di lavoro. Del resto il fatto che si impongano i dazi ai prodotti all’entrata con il CBAM è perché si sa che quelli nazionali non saranno convenienti economicamente. Più prova provata di questo non ce ne può essere.
Investimenti: un miraggio?
La Commissione parla di “mobilitare investimenti pubblici e privati”, ma dove sono i soldi? Dietro a queste belle parole si nasconde una realtà ben diversa. Le risorse stanziate sono insufficienti a coprire il fabbisogno reale, e l’attrattività dell’Europa per gli investimenti privati è in calo.
La competizione con gli Stati Uniti, che offrono incentivi ben più sostanziosi, è impari. Continuare a puntare su sussidi e regolamentazioni, invece di creare un ambiente favorevole agli investimenti attraverso una reale semplificazione burocratica, fiscale e una politica energetica lungimirante, significa condannare l’Europa a un ruolo di secondo piano.
Punti Chiave: Un’analisi critica
Analizzando i punti chiave delle linee guida, emerge chiaramente la mancanza di una visione strategica a lungo termine:
- Funzionamento del Mercato Unico: Si parla di “migliorare” il mercato unico, ma con quali strumenti? La burocrazia rimane un ostacolo enorme per le imprese. Siamom sicuri che le soluzioni imposte politicamente dall’alto siano le migliori? No, non lo siamo, anzi probabilmente saranno le meno efficienti, perché frutto di una mediazione politica, non pratica.
- Accesso ai capitali privati: Come si pensa di mobilitare capitali privati senza una seria prospettiva di crescita economica e dei consumi, o in generale del benessere economico e sociale nella UE? Lasciate che le aziende realizzino degli utili, senza ammazzare di obblighi, e vedrete che saranno loro ad investire. Letto diversamente l’accesso ai capitali privati sembra quasi l’apertura all’esproprio.
- Investimenti pubblici: Le risorse stanziate sono insufficienti e mal direzionate. La Ue è,economicamente, il nulla pratico circondato dal niente concettuale. L’odio per le criptovalute e la nuova finanza ne è l’esempio. Il MICA è un movimento al dirigismo.
- Commercio e concorrenza leale: La realtà è che l’Europa pensa di essere un colosso commerciale, ma ormai conta il 10% del PIL mondiale. Si parla di “Tagliare gli obblighi burocratici del 25% o del 35% per le piccole aziende”, ma se l’eccesso è del 300% questo non vuol dire assolutamente nulla. Bisogna pro
- Infrastrutture di ricerca e innovazione: Bene gli investimenti in ricerca, ma senza un ecosistema favorevole alle imprese innovative, rimarranno cattedrali nel deserto. Inoltre la concezione sovietica dello stato padrone che ricerca e di una ricerca privata brutta, cattiva, e da reprimere, regolare, e iper controllare “Perché potrebbero approfittarne” non porterà da nessuna parte.
- Digitalizzazione: La digitalizzazione è una necessità, ma l’eccessiva regolamentazione rischia di soffocare l’innovazione. Non possono esistere AI Act, DMA e DSA e poi parlare di “Digitalizzazione”.
- Circolarità, economia verde: Ancora una volta, belle parole, ma senza una vera convenienza economica su scala globale, rimarranno solo parole. Saranno solo ulteriori zavorre per la crescita, ma anche il prezzo politico che bisogna pagare ai verdi tedeschi per avere il loro pugno di voti parlamentari.
- Materie prime critiche: La dipendenza da paesi terzi è un problema reale, ma la soluzione non può essere solo quella di imporre restrizioni e controlli.
- Sicurezza economica e difesa: Un punto cruciale, ma strettamente legato alla competitività industriale. Un’Europa debole economicamente sarà anche debole sul piano della difesa. In un mondo in cui la guerra è fatta di tecnologie e di droni spendibili l’industria è il carro armato più efficiente sul campo di battaglia, non il finanziamento di aerei costruiti negli USA
Norme confuse e politiche. Non cambieranno molto
Le nuove linee guida della Commissione Europea, pur con qualche spunto positivo, sono permeate da una visione dirigista che rischia di compromettere la competitività e la crescita dell’Europa nel lungo periodo. Del resto basarsi sulle relazioni di Letta, un socialistà e di Draghi, due persone che non hanno mai visto un’azienda dal vivo e che non vi hanno mai lavorato, non poteva che portare a questo tipo di risultati.
Senza un cambio di rotta radicale, che metta al centro la libertà d’impresa, la concorrenza e una vera politica industriale basata sugli incentivi e non sulle imposizioni, il piano sarà disastroso come il precedente. L’Europa rischia di rimanere intrappolata in un circolo vizioso di burocrazia, regolamentazioni eccessive e mancanza di competitività, perdendo terreno rispetto alle altre potenze mondiali.
Il futuro dell’Unione Europea dipende dalla capacità di abbandonare vecchie ricette fallimentari e abbracciare una visione più liberale e orientata al mercato, unica via per garantire prosperità e sicurezza ai suoi cittadini. Dipende anche dalla capacità di riportare la produzione a casa, premiando chi fa, e non chi regolamenta.
Per la verità sono giunto alla conclusione che chi scrive una norma, a livello europeo o nazionale prima di tutto, dovrebbe essere economicamente punito, lui e i suoi assistenti, per ogni vincolo che viene a creare, per ogni centralizzazione che viene a porre. Ogni divieto dovrebbe comportare al legislatore e all potere esecutivo una multa, anche solo simbolica, per mostrare che stanno creando un danno.
Anche la politica industriale fatta senza una vera holding che guidi gli investimenti, ma pretendendo di guidare quelli nazionali, sarà un disastro. vedrete che non ci sarà politica europea e si impedirà quella nazionale a suon di invidie e di veto reciproci.
Serve coraggio, serve una discontinuità. La strada tracciata sembra, purtroppo, condurre nella direzione opposta.
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