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La nuova normativa sulle BCC: un rischio per le PMI e qualche regalo…

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Il recentissimo decreto legge sulla nuova regolamentazione delle Banche di Credito Cooperativo (BCC) pone qualche serio interrogativo sui suoi effetti sul tessuto economico nazionale. Vediamo di esaminare alcuni punti critici.

Come sempre la ratio del provvedimento ha apparentemente uno scopo utile e positivo: rinforzare la tenuta delle BCC attraverso una loro unione per consentire un mutuo sostegno con garanzie incrociate e, con l’istituzione di una capogruppo con un patrimonio netto rilevante sotto forma di SpA, la possibilità di fare ricorso al mercato per attirare capitali e finanziarsi. In realtà questa concentrazione potrebbe mascherare l’ennesimo attacco alle PMI e costituire un illecito regalo a qualche banca “amica”.

Durante la prolungata crisi che ha colpito il nostro Paese la spina dorsale produttiva, ovvero le PMI, hanno potuto trovare ossigeno dal punto di vista finanziario proprio grazie alle Banche Cooperative che hanno continuato a finanziare famiglie e piccole imprese, grazie al rapporto di prossimità con il tessuto economico locale. Creare un gruppo con una forte componente dirigistica come quello ipotizzato dalla normativa ed addirittura in pratica un gruppo unico per tutte le BCC (dato l’elevato patrimonio netto richiesto per la costituzione della capogruppo) con a capo una grande SpA che controlla e determina l’azione delle banche affiliate, rischia di spezzare questo legame, che in qualche caso è anomalo e fonte di corruttele, ma nella maggior parte dei casi è quello che permette di capire le esigenze delle comunità locali ed agevolarle.

Negli USA ed in Giappone vi è attualmente la consapevolezza che nel panorama bancario è indispensabile la presenza della banca di prossimità, anche perché l’esperienza storica (Lehman fra tutte) ha dimostrato che non è vero sempre che “grande è bello”, perché le grandi banche sono anche foriere di enormi perdite e creazioni di squilibri capaci di sconvolgere l’economia reale. L’Europa sta andando invece dalla parte opposta, agevolando e costringendo alle fusioni ed alla creazione di banche più grandi, con l’idea che siano più resistenti alle crisi, e regolamentando in maniera uniforme realtà diverse che avrebbero invece bisogno di valorizzare le proprie peculiarità. Questo tanto più in Italia dove le imprese che possono aver bisogno di istituti più grandi sono ormai neanche una decina, mentre il resto è formato da imprese medio-piccole o piccolissime che per rimanere agili e flessibili hanno bisogno di banche che a loro volta possano decidere velocemente e con flessibilità, ovvero l’opposto del dirigismo astratto tipico di un gruppo.

Il pericolo quindi è che l’impresa medio-piccola quando si rivolga per un finanziamento alla BCC locale si trovi davanti a un muro costituito dalle best practices codificate dalla capogruppo che non permettono risposte flessibili e che pertanto venga chiuso anche quel rubinetto che finora aveva tenuto in vita l’economia nazionale. Sarebbe questo l’ennesimo attacco al nostro tessuto produttivo, già logorato dalle chiusure ed acquisizioni estere che hanno portato alla perdita o all’acquisizione dell nostro know how, vero patrimonio dell’Italia.

Il secondo aspetto critico è dato dalla possibilità di opt out della BCC che abbia un patrimonio netto di almeno 200 milioni di euro, opt out da esercitarsi nello spazio di diciotto mesi e che permette alla BCC di trasformarsi in SpA con il pagamento di un’imposta del 20% sul valore delle riserve indivisibili. Questa previsione infatti sembra un enorme regalo ai soci futuri azionisti, i quali si incamererebbero ad un costo più che accettabile quelle riserve che statutariamente sarebbero intangibili, non distribuibili e destinate in caso di scioglimento ad essere devolute allo sviluppo del movimento cooperativo. Basti pensare che per alcune BCC, come quella di Civitanova Marche, la trasformazione in SpA provocherebbe un aumento del valore della quota di ciascun socio/azionista di circa 28 volte…

La questione ha sollevato parecchi interrogativi e contestazioni anche in base al fatto che a beneficiarne potrebbero essere alcune banche toscane considerate nell’orbita del gruppo renziano, come la BCC di Cambiano di cui è socio Luca Lotti, sottosegretario di Palazzo Chigi, molto vicino al Presidente del Consiglio. Sia come sia, questa previsione di uscita, incamerando così le riserve, sembra anche avere dei gravi problemi di costituzionalità, apparendo una lesione dell’ art. 45 Cost. che prevede il riconoscimento della funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata: la nuova normativa, permettendo alle BCC, trasformandosi in SpA di modificare in speculativo un patrimonio sorto e destinato a scopo mutualistico, appare infatti ledere il principio costituzionale.

Ma il DL 14 febbraio 2016 n. 18 ha anche altre aspetti discutibili che riguardano le cartolarizzazioni dei c.d. NPL e le norme fiscali agevolate per le esecuzioni immobiliari: ciò sarà l’oggetto di una prossima valutazione del provvedimento varato dal Governo qui su Scenari Economici, provvedimento che comunque dovrà essere convertito in legge. Si spera che in quella sede alcune modifiche (come il patrimonio necessario per costituire la capogruppo) lo rendano più idoneo ai nostri interessi nazionali.


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