Attualità
La nuova fuga: per la prima volta gli emigranti italiani superano gli immigrati stranieri
Il dato è riportato dal Dossier sull’Immigrazione 2015 del Centro Studi Idos: nel 2014 per la prima volta dagli anni ’90, da quando è iniziata l’immigrazione massiccia nel nostro Paese, gli italiani emigrati all’estero hanno superato per numero gli immigrati stranieri arrivati (non clandestini) in Italia. 155.000 nostri connazionali si sono infatti trasferiti all’estero contro i 92.000 stranieri regolari che si sono insediati da noi. Secondo il rapporto, nel 2014 nessun straniero si è trasferito in Italia utilizzando i flussi per motivi di lavoro, ma poco meno di due terzi (60.000) sono arrivati per ricongiungimenti familiari. Nello stesso anno ben 89.000 italiani si sono cancellati definitivamente dai ruoli dell’anagrafe.
Quella che possiamo definire seconda grande ondata di emigrazione italiana è composta dal 56% di uomini e da 44% di donne, quindi diversa dalla prima che era composta quasi esclusivamente da uomini, con un età piuttosto avanzata. La fascia dei 20-40 anni trasferitisi all’estero nel 2014 è infatti solo 1/3 circa del totale (45.000), mentre il 52% sono over 40. Gli ultra 65enni residenti all’estero sono il 19,9% del totale, dato che rende mediamente più giovane la popolazione emigrata, visto che in Italia la percentuale di ultra65enni è del 21,7%. Dato significativo e preoccupante, il numero di 20-30enni rispetto al 2013 è aumentato del 28,4%, quindi molti giovani stanno abbandonando il nostro Paese per sfiducia nelle possibilità lavorative.
Questa emigrazione, secondo un altro rapporto, quello della Fondazione Migrantes, è cresciuta in 10 anni del 49,3% e negli ultimi anni ha visto espatriare una prevalenza di cittadini del Nord e del Centro Italia rispetto a quelli del Sud: nel 2014 ben 18.425 provenivano dalla Lombardia e, se 8.765 venivano dalla Sicilia, un numero pressoché uguale (8.720) erano invece veneti. Ma il vero boom è stato quello del Lazio, il quale ha visto emigrare 7.981 persone, con un balzo di tre posizioni in questa non invidiabile classifica.
Il livello di istruzione è generalmente buono, a differenza della prima emigrazione composta per la stragrande maggioranza da analfabeti, che venivano segnalati da un infamante “passaporto rosso” di riconoscimento: i laureati sono oltre il 24%, mentre i diplomati superano il 30%. A questo proposito l’OCSE ha stimato che dal 2008 al 2014 la perdita di investimento effettuato nella formazione di “capitale umano”, che emigrando porta le sue competenze all’estero, è stata per l’Italia di almeno 23 miliardi di euro.
Paesi di destinazione rimangono quelli classici, ovvero la Germania, che attira soprattutto i giovani fino ai 30 anni, l’Inghilterra, che è diventata la prima destinazione in assoluto con circa 13.000 nuovi arrivi ogni anno ed una popolazione di italiani residenti arrivata ormai a circa 250.000 unità, a seguire Svizzera, Francia ed Argentina, ma con un incremento di altre destinazioni, come Irlanda, Cina ed Emirati Arabi, evidentemente per le competenze tecniche richieste da questi Paesi.
Questa emigrazione, oltre al danno economico visto sopra per lo spreco di formazione non utilizzato in Italia provoca anche un altro danno: essendo migrazione comunque giovanile diminuiscono le famiglie formate in Italia e soprattutto le nascite. Nel 2014 il saldo fra morti (598.000) e nati (503.000) nel nostro Paese è crollato: era dal periodo 1917-1918, in conseguenza della I Guerra Mondiale, che non si vedeva un saldo così negativo. Solo le nascite degli immigrati, circa 1/6 del totale, ha permesso che il saldo non fosse peggiore.
La seconda emigrazione, come la prima, è un’esodo provocato dalla mancanza di lavoro e prospettive, ma a differenza di quella non arricchisce il nostro Paese. Mentre infatti gli immigrati di inizio e metà del XX secolo arricchiranno le zone depresse d’Italia con le loro rimesse e con il know how industriale che riportavano, facendo crescere il tessuto produttivo nazionale, questi nuovi emigrati portano in altri Paesi competenze e capacità apprese in Italia (e molto ricercate all’estero) e impoveriscono le nostre università ed aziende, senza un ritorno diffuso.
Anche per questo la crisi economica andrebbe combattuta e senza aspettare gli aggiustamenti di lungo periodo: nel lungo periodo infatti, non solo saremo tutti morti come notava argutamente Keynes, ma l’Italia sarà diventata un Paese-cacciavite solo capace di lavorare manualmente per le imprese estere.
Un futuro poco invidiabile per i nostri figli. Quelli che saranno rimasti…
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