Attualità
La manipolazione delle masse: i maestri del ‘900 e la profezia di Kennedy
«Vulgus vult decipi, ergo decipiat»: l’uomo vuole essere ingannato, e dunque lo sia. Questa frase cinica, ai limiti della brutalità, è attribuita a un cardinale del nostro Rinascimento, Carlo Carafa. Esprime in modo insuperabile i concetti cruciali su cui poggia il Manuale di autodifesa per sovranisti:
a) l’essere umano ha una tendenza commovente alla ingenuità e la massa degli esseri umani amplifica questa inclinazione all’ennesima potenza;
b) le masse sono spesso circondate non da pastori, preoccupati del loro benessere, ma da lupi animati da fini reconditi e assai poco pacifici. Pastori che non esitano a dare alla collettività, e ai singoli, quell’imbroglio da cui l’una e gli altri sembrano essere irresistibilmente attratti e che il cardinal Carafa aveva mirabilmente intuito.
Un primo tipico modo di influenzare il grande pubblico consiste proprio nella manipolazione delle folle, cioè di un grande numero di persone in un dato intervallo di tempo. Tale metodologia si concretizza per lo più nella elaborazione di uno slogan debitamente associato a efficaci stimoli visivi, uditivi e cinestesici capaci di “piegare” la nostra psiche (sia la parte conscia sia quella inconscia) a desiderare un determinato oggetto. L’esempio più banale è costituito dalle réclame di un prodotto. La stessa frase, un unico clip video, il medesimo ritornello e gli identici protagonisti di una storiella vengono ripetuti più e più volte per molti e molti giorni fino a quando penetrano nel nostro cervello e ci inducono a volere qualcosa che, prima del trattamento, non ci saremmo mai sognati neanche di chiedere. In questo senso, la pubblicità televisiva e radiofonica (con i suoi jingle e i suoi tormentoni) è la declinazione perfetta, e più nota, di questi modi di pilotare e orientare le scelte delle persone in ambito commerciale.
Nel corso del Novecento abbiamo avuto alcuni autentici fuoriclasse in questo campo, così bravi da essere stati inseriti dalla rivista «Life» nel novero delle cento personalità più influenti del secolo breve. Parliamo, per esempio, di Edward Bernays, il nipote di Sigmund Freud, austriaco come lo zio ma meno celebre, il quale si creò una fama meritata nel campo delle cosiddette “pubbliche relazioni”. Egli seppe, anzitempo, intuire quanto sia facilmente “veicolabile”, nella direzione di traguardi non dichiarati, la psiche di una massa, cioè l’insieme delle menti (o la “mente collettiva”) di un gran numero di persone. Così da far agire e interagire tali menti all’unisono proprio come uno sciame cooperativo di api.
Bernays elaborò molte delle sue tecniche partendo dallo studio dei lavori del suo più famoso parente, fondatore della psicanalisi. E le impiegò per venire incontro alle esigenze della grande industria e dell’ancella di quest’ultima: la pubblicità. Dopo la conclusione del primo conflitto mondiale, le Big Corporation della distribuzione su vasta scala avevano bisogno di “tenere alta” la domanda da parte dei consumatori americani e poi, per estensione, di quelli dell’Europa e degli altri Mercati mondiali. Bernays riuscì nell’intento affidandosi soprattutto alla potenza delle emozioni.
Si trattava, come evidente, della realizzazione, a livello di esigenze del business, di una delle maggiori intuizioni di Freud: noi non siamo “fatti” solo dalla parte conscia della nostra psiche. Anzi, la coscienza rappresenta, a ben vedere, solo la porzione visibile, e quindi meno estesa, di quell’immenso agglomerato inconscio da cui siamo guidati nelle nostre scelte in apparenza consapevoli. In realtà, per la gran parte del tempo, prendiamo decisioni spinti dal magma ingestibile, ingovernabile e animalesco di pulsioni inconfessate. Da qui nacque l’intuizione di Bernays. Agire sulla porzione “abissale” della mente umana per prenderne al laccio i desideri inconsci, quelli più tenaci nell’indirizzare il contegno, le voglie e, in definitiva, anche le scelte apparentemente “razionali” dell’uomo e della donna moderni.
Una frase attribuita a un grande banchiere americano, Paul Mazur, può farci capire di cosa stiamo parlando: «Dobbiamo cambiare l’America da essere una cultura dei bisogni a essere una cultura dei desideri. Bisogna insegnare alla gente a volere cose nuove anche prima che le cose vecchie siano state contaminate del tutto. I desideri dell’uomo devono mettere in ombra le sue necessità».
Ora, che queste “tecnologie” psicologiche, per così dire, non siano state usate solo in ambito commerciale e pubblicitario è un’evidenza che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno.
Le sottili tecniche manipolative di cui parlava, e che insegnava, Bernays furono impiegate dai più famosi dittatori della storia recente. È risaputo che Mussolini, Stalin e Hitler furono assidui lettori delle opere di uno dei punti di riferimento di Bernays, Gustave Le Bon, tanto da tenere una copia del suo lavoro più noto sul proprio tavolo da lavoro. E lo stesso Edward rimase traumatizzato quando apprese che il ministro per la propaganda nazista, Joseph Goebbels, aveva i suoi testi nella propria personalissima biblioteca.
Ciò dimostra che il condizionamento mentale delle folle non è solo un impasto di strategie mirate a farci comprare di più, mangiare di più, consumare di più. È anche un sistema destinato a farci “votare bene”, “decidere meglio”, “dare il nostro beneplacito”. Dove “votare bene”, “decidere meglio” e “dare il nostro beneplacito” significa orientarsi secondo quelli che sono gli obbiettivi (e in conformità a quella che è l’agenda) dell’apparato finanziario, industriale, istituzionale e mediatico dominante in un certo frangente storico e in una certa area geografica del mondo. Tale apparato oggi non ha più confini: si muove e “sposta” i suoi smisurati capitali, da una casella all’altra dello scacchiere geopolitico mondiale, spesso in maniera volutamente oscura, anti- democratica e tanto indifferente al benessere dei popoli quanto attenta ai propri ritorni commerciali e di investimento.
Stiamo parlando di quel complesso di forze, spesso occulte o non facilmente individuabili, additate come causa di molti mali futuri, in un celebre discorso, dal presidente americano Robert Kennedy, nel 1961, poco tempo prima di essere ucciso:
«Signore e signori, la parola segretezza è ripugnante in una società libera e aperta e noi, come popolo, ci siamo opposti, intrinsecamente e storicamente, alle società segrete, ai giuramenti segreti e alle riunioni segrete. Siamo di fronte, in tutto il mondo, ad una cospirazione monolitica e spietata, basata soprattutto su mezzi segreti per espandere la sua sfera d’influenza, sull’infiltrazione anziché sull’invasione, sulla sovversione anziché sulle elezioni, sull’intimidazione anziché sulla libera scelta. È un sistema che ha reclutato ampie risorse umane e materiali nella costruzione di una macchina affiatata, altamente efficiente, che combina operazioni militari, diplomatiche, di intelligence, operazioni economiche, scientifiche e politiche. Le sue azioni non vengono diffuse, ma tenute segrete. I suoi errori non vengono messi in evidenza, ma vengono nascosti. II suoi dissidenti non sono elogiati, ma ridotti al silenzio. Nessuna spesa viene contestata. Nessun segreto viene rivelato. Ecco perché il legislatore ateniese Solone decretò che evitare le controversie fosse un crimine per ogni cittadino. Sto chiedendo il vostro aiuto nel difficilissimo compito di informare e allertare il popolo americano. Convinto che con il vostro aiuto l’uomo diventerà ciò che per cui è nato: un essere libero e indipendente».
Una frase profetica di Bernays contenuta in Propaganda ha anticipato alla perfezione la denuncia di Kennedy: «In quasi tutte le azioni della nostra vita, sia in ambito politico, o negli affari o nella nostra condotta sociale, o nel nostro pensiero morale, siamo dominati da un relativamente piccolo numero di persone che comprendono i processi mentali e i modelli di comportamento delle masse. Sono loro che tirano i fili che controllano la mente delle persone».
Bernays parlava di “ingegneria del consenso” proprio perché aveva intuito come la manipolazione, un’arte antica quanto l’uomo, potesse essere “ingegnerizzata”, cioè analiticamente studiata e soprattutto scrupolosamente applicata secondo protocolli razionali e scientifici, così da dilatare al massimo grado la sua efficacia. Il nostro era perfettamente consapevole che era «una questione di primaria importanza imparare a gestire questo sistema di amplificazione per le forze interessate». Ripeto: per le forze interessate. In altri termini, per le forze da cui in seguito ci mise in guardia John Fitzgerald Kennedy.
Maestro di Bernays, come anzidetto, fu il francese Gustave Le Bon, psicologo, sociologo, antropologo vissuto per quasi cento anni a cavallo di due secoli cruciali come l’Ottocento e il Novecento. Le Bon si occupò anche e soprattutto del modo in cui ragionano, anzi “sragionano”, le folle, di come esse siano in grado di muoversi alla stregua di un sol uomo, spinto da ottuse, cieche e sovente indecifrabili pulsioni; pulsioni condivise, appunto, da un numero indeterminato di persone.
Le Bon scrisse addirittura, nel 1895, quindi con largo anticipo rispetto a Bernays, un libro (Psicologia delle folle7) che costituì la pietra miliare di un certo tipo di studi. Anch’egli, come poi Bernays, era stato colpito dalla possibilità di bombardare un grandissimo numero di “bersagli umani”, una folla, in un colpo solo, in un istante fatidico. E ciò grazie al prestigio, al fascino, all’ascendente, all’aura di un capo carismatico. E infatti, anche Le Bon rappresentò la stella polare non solo di Bernays, ma anche dei vari dittatori, rossi e neri, che funestarono (con la loro capacità persuasiva, ai limiti della seduzione) le masse, nella parte centrale del secolo scorso.
Un altro dei precursori assoluti in questo campo fu Walter Lippmann, giornalista americano vincitore di due premi Pulitzer tra gli anni Cinquanta e Sessanta, ma anche grande studioso delle potenzialità e degli effetti micidiali della comunicazione.
Bene, possiamo a buon diritto concludere che – per via del processo della globalizzazione planetaria in atto a far data, grossomodo, dal 1989 – l’apparato di cui parlava Kennedy è diventato un unico gigantesco monolite articolato in una pluralità, sempre meno multiforme e sempre più coesa, di agenzie di riferimento. Parliamo dei grandi colossi della finanza mondiale, multinazionali del comparto energetico, bancario, creditizio, assicurativo e mediatico, le quali hanno raggiunto dimensioni e volumi d’affari pari, se non superiori, alle principali potenze statali del globo.
A dimostrazione di come i maggiori teorici della manipolazione del consenso fossero contigui alla politica, e soprattutto alla politica in assenza di democrazia, non dobbiamo guardare solo alle preferenze bibliografiche dei grandi dittatori del Novecento.
I pensatori cui abbiamo accennato furono fonti di ispirazione anche per i nuovi potentati che andarono affermandosi su scala globale. Per esempio, Lippmann fu tra i fondatori del CFR (Council on Foreign Relations). Il Consiglio sulle Relazioni Estere sorse nel 1921 proprio con l’intento di costituire una specie di comitato d’affari, un vero e proprio collante tra i principali esponenti – in campo politico, istituzionale, bancario, mediatico, industriale – delle élite globali. Lo stesso uomo lo ritroviamo come ispiratore del cosiddetto “colloquio Lippmann”: una sorta di meeting tenutosi a Parigi nel 1938 e promosso dal filosofo francese Louis Rougier nel corso del quale ventisei intellettuali di estrazione liberale posero le basi per l’affermazione su scala mondiale del cosiddetto “neoliberismo”.
E’ del 1957, infine, un’altra delle opere cruciali nella materia in questione: “I persuasori occulti” di Vance Packard. Parliamo di un libro che ha fatto epoca. Scritto da uno dei più attenti studiosi e divulgatori delle sottili strategie di condizionamento (dell’inconscio individuale e collettivo) impiegate dalle big corporation nella gestione e commercializzazione dei propri servizi e prodotti. Packard svelò il vero obbiettivo degli uffici di propaganda delle multinazionali. Per i quali, e per le quali, non serve più (e soltanto) “promuovere” in modo assertivo e razionale il messaggio relativo a una “cosa” da vendere. Conta, semmai e piuttosto, capire preliminarmente – attraverso accurate e scrupolose campagne di testing – perchè quella cosa “sotto sotto” può piacere (sempre di più). Interessano, insomma, le motivazioni psicologiche occulte dei consumatori onde ritorcerle contro gli stessi per pilotarne gli acquisti.
E ciò che funziona con un dentifricio, ovviamente, funziona allo stesso modo per una qualsiasi agenda politica.
Buona lettura.
Per acquistare il libro “Manuale di autodifesa per Sovranisti” di Francesco Carraro, ByoBlu Editore.
Francesco Carraro, www.francescocarraro.com, è nato a Padova nel 1970. Laureato in Giurisprudenza e in Scienze della Formazione, scrittore e avvocato, è titolare di uno studio legale. Esperto di comunicazione, tiene corsi di strategie della trattativa, gestione del tempo, public speaking e sviluppo personale.
Scrive per il quotidiano LA VERITA’, è editorialista del sito di economia e politica SCENARIECONOMICI.IT e curatore di un proprio blog su ILFATTOQUOTIDIANO.IT. È opinionista televisivo del programma di informazione di Canale Italia NOTIZIE OGGI. Ha pubblicato numerosi libri di saggistica e narrativa.
Nel 2015 ha dato alle stampe il libro-intervista, con il giornalista Vito Monaco, Krisiko – sei un giocatore o una pedina? La via d’uscita nel grande gioco della crisi (con prefazione di Magdi Cristiano Allam). Nel 2017 è uscito il libro Post scriptum – Tutta la verità sulla post verità (con prefazione di Diego Fusaro). Nel 2018, con Chiarelettere editore, insieme a Massimo Quezel, ha pubblicato il libro SALUTE S.p.a. – La sanità svenduta alle assicurazioni, un’ampia e documentata inchiesta sulla deriva privatistica del sistema sanitario pubblico e sul declino del diritto, un tempo inviolabile, alla salute.
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