Attualità
La grande opportunità (Storelli)
Uno spettro si aggira per l’Europa: la fame.
Per la prima volta dalla seconda guerra mondiale, una buona parte della popolazione europea è a rischio di sopravvivenza.
L’Italia, come spesso è stato nella storia, fa da apripista.
Le aziende sono forzosamente chiuse, la gente è costretta in casa a pena di denuncia penale e di multe salate.
l’Italia, salvo ridottissime eccezioni, è ferma.
Non c’è domanda, non c’è offerta.
Per ogni mese così si registra una perdita quasi integrale del Pil, pari a circa 130 miliardi di euro.
Neanche una guerra è in grado di provocare tale blocco, poiché in guerra le aziende producono armi e tutto ciò che serve alla guerra.
Ora non c’è neanche quello.
Chi ha dei risparmi può sopravvivere per un po’, chi non ne ha guarda già in faccia la fame e la miseria.
L’amministrazione centrale sembra brancolare nel buio, stretta tra la paura di dispiacere a Bruxelles e la paura della perdita della tenuta sociale.
Ciò nonostante, giunta quasi al termine delle prime due settimane di quarantena, dichiara che è pronta a stanziare altri 25 miliardi.
Non ha capito.
La gente comincia a non avere i soldi per fare la spesa, né può procurarseli lavorando, ed il governo propone la sospensione del pagamento di alcune imposte.
Non ha capito.
La gente ha bisogno di mangiare, e se il governo le impedisce di lavorare, le deve dare il sostentamento, il pane, non una proroga fiscale.
Questo è il momento propizio per riflettere e per procurare un reale cambio di paradigma.
La gente, mossa dall’emergenza sanitaria, sta riscoprendo il senso di appartenenza ad una stessa comunità, e sta maturando la volontà di rendersi utile agli altri, per esempio comprando prodotti italiani o programmando vacanze in Italia per quando sarà terminata la quarantena.
Ora tocca al governo.
Senza remore, deve introdurre immediatamente un vero reddito di cittadinanza, ossia uno stanziamento mensile incondizionato ad ogni cittadino.
Può accontentarsi di una mera richiesta, ma nessun controllo e nessuna verifica, basta il codice fiscale.
Tutti devono poter avere liquidità. Costi quel che costi. Primum vivere.
Il governo non deve chiedere più niente all’Unione Europea o alla banca centrale. Non ce n’è bisogno.
Può fare affidamento sull’enorme risparmio privato degli italiani, circa 4.000 miliardi di euro.
È sufficiente emettere titoli di debito a breve e riservarli ai cittadini italiani.
In tal modo il governo si procurerebbe una liquidità ampiamente sufficiente anzi eccedente tutti i propri bisogni (per cui potrebbe iniziare a fare seri investimenti pubblici, a cominciare dalla sanità) ed i cittadini metterebbero al sicuro i propri risparmi dal famigerato bail-in e da ogni altro surrettizio meccanismo di predazione bancaria e finanziaria.
Garantisce lo Stato.
Con tale liquidità può anche iniziare a ridurre il debito pubblico.
A tal fine, la parte di debito pubblico i cui creditori sono banche pubbliche (Cassa Depositi e Prestiti, Monte dei Paschi di Siena, Medio Credito Centrale) va correttamente annullata, poiché lo Stato non può essere debitore di se stesso.
Terminata l’emergenza, grazie agli investimenti pubblici (e tutti oramai sanno quanto ne abbiamo davvero bisogno) può rimettere in moto l’economia e dare lavoro a schiere di lavoratori, che tornerebbero a fare girare l’economia.
La produzione, questa volta, non deve più essere finalizzata essenzialmente all’export, ossia a competere con gli altri, ma al mercato interno, ossia alla primaria soddisfazione dei bisogni nazionali.
Le esportazioni dovranno servire a procurare la liquidità necessaria a comprare dall’estero ciò che non abbiamo in patria o che non siamo in grado di produrre.
I deficit eccessivi delle bilance commerciali provocano guerre, come è sempre stato, ma L’Italia ripudia la guerra, come ci insegna la nostra Costituzione.
Non vogliamo produrre ed esportare beni (specie beni primari) che i nostri popoli amici sono in grado di produrre, e che se comprassero da noi otterrebbero in cambio disoccupazione e fame.
Al tempo stesso non vogliamo essere costretti a comperare dall’estero ciò che siamo in grado di produrre o coltivare noi.
E le mascherine sanitarie ne sono uno stridente esempio.
L’organizzazione dell’economia nazionale, la politica economica e monetaria devono tornare sotto il controllo pubblico, ossia devono tornare democratiche.
Le banche, in quanto erogatrici di un servizio di utilità sociale, devono essere nazionalizzate, come tutti i servizi strategici (acqua, energia, telecomunicazoni, ecc.) e tutte le opere di interesse pubblico (porti, aeroporti, ferrovie, ecc.).
Servono alla collettività, e devono essere pubblici, come prevede la nostra Costituzione.
Per ogni transazione interna dovremo usare una moneta nazionale, la cui emissione è sotto il controllo di una banca centrale pubblica che risponde direttamente al governo.
Non ci sono più scuse.
Non è più tempo di stare a questionare sui trattati.
Gli Stati che hanno a cuore l’interesse nazionale sanno disattendere tali trattati, come hanno ripetutamente fatto la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti.
Il governo deve essere in grado di gestire la transizione tra il “vecchio ordine” ed il “nuovo ordine”.
È chiamato a dare l’esempio.
È una sua responsabilità.
Se non sarà in grado, dobbiamo prepararci ad una situazione non molto dissimile da quella che hanno attraversato i Paesi ex sovietici al crollo del muro di Berlino.
L’euro salterà, e se lo Stato non sarà rapidamente in grado di introdurre una moneta nazionale dovremo provvedere noi, a pena di ritornare al baratto.
La soluzione è più semplice del previsto, poiché potremmo, paradossalmente, continuare ad usare l’euro, divenuto non più moneta a corso legale, come moneta a corso libero.
La moneta è una mera convenzione, perciò, se siamo d’accordo, possiamo continuare ad accettare l’euro in pagamento, nonostante non sia più la moneta a corso legale.
E può farlo anche lo Stato.
In pratica l’euro potrebbe diventare la nuova moneta nazionale, non essendo più la moneta legale dei paesi dell’Unione Europea.
Non è poi così difficile.
26/03/2020 Davide Storelli
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