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La Francia vuole una reazione contro l’invasione dell’auto cinese, la Germania no, la Commissione nicchia

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L’arrivo delle auto cinesi sul mercato europeo inizia a fare paura a qualche produttore, ma non sono i tedeschi. Ad aver paura sono i francesi, che, se non altro, sono più realistici e stanno pagando già ora, sulla propria pelle, gli effetti dell’arrivo delle auto da Pechino.

Ieri abbiamo visto come l’auto più venduta in Spagna sia la MG ZS, un’auto cinese mascherata sotto un marchio britannico, che ha scavalcato la Dacia, auto del gruppo Renault. I danni per le aziende francesi sono subito evidenti, mentre i tedeschi si crogiolano ancora sulla loro teorica superiorità tecnologica e morale: loro sono i buoni ecologisti, cosa li può toccare ?

Effettivamente le auto francesi sono quelle che stanno maggiormente pagando la concorrenza cinese come si vede dal grafico sottostante di Politico:

La Francia invece sostiene che le auto cinesi sono vendute a prezzi troppo bassi, a livello di dumping commerciale,  per danneggiare i concorrenti europei, per cui chiede che la presidente della Commissione Ursula von der Leyen annuncii una nuova indagine su queste pratiche nel suo discorso sullo stato dell’Unione di mercoledì.

Tuttavia, la Germania, la principale nazione produttrice di auto in Europa, si oppone a qualsiasi misura punitiva, dato che i suoi marchi sono fortemente esposti al mercato cinese e hanno molto da perdere da una guerra commerciale. Poi, sotto sotto, i tedeschi si sentono superiori alla Francia e intoccabili dai cinesi che, in fondo, fanno le auto economiche che i tedeschi non sanno più fare.

Anche la maggior parte dei paesi e della Commissione europea è restia a innescare un conflitto commerciale con Pechino, cercando di continuare a commerciare con esso pur riducendo le dipendenze. Il commissario europeo al commercio Valdis Dombrovskis si recherà a Pechino alla fine del mese per discutere della riduzione delle barriere commerciali con i suoi omologhi cinesi, ma non porterà a casa nulla, statene certi. Del resto è a fine mandato e cerca una risistemazione.

Oltre ai problemi di relazioni internazionali, c’è anche un problema più tecnico. Per avviare un’indagine antidumping, la Commissione europea, dopo aver ricevuto una denuncia formale, deve determinare se le auto sono state oggetto di dumping sul mercato europeo, il che significa che sono state vendute al di sotto del prezzo nel paese produttore. I cinesi sono molto abili nell’approfittare dei prezzi eccessivamente alti delle auto EV europee, restando estramemente competitivi, ma non spiazzando completamente i produttori del Vecchio continente. Così guadagnano quote di mercato mentre si riempiono i portafogli, e rendendo difficile, se non impossibile, provare il dumping.

Bruxelles può anche agire di propria iniziativa e avviare una cosiddetta indagine “d’ufficio”, ma è improbabile che lo faccia a meno che non ci sia abbastanza sostegno da parte dell’industria e dei paesi dell’UE, soprattutto in un caso così delicato come questo. Macron non ha sufficiente potere per poter chiedere questo, anche perché sta già giocando un’altra partita contro la Germania sul tavolo dell’accordo ALI-Lufthansa, ma questa è un’altra storia.

I cinesi fra l’altro non sono stupidi, e stanno producendo batterie direttamente nella UE, ad esempio in Ungheria, rendendo quindi le accuse di Dumping difficili e aprendo la strada per fabbriche cacciavite che assemblino in EU componenti miste cinesi e indigene. A quel punto la Commissione resterebbe disarmata.

Cosa vorrebbero i produttori europei? Una vera politica industriale che permetta di superare la crisi, ma questo richiederebbe di liberare gli aiuti di stato dalle pastoie burocratica di Bruxelles, cosa non facile. E comunque a pagare tutto sarebbero comunque i consumatori e i contribuenti della UE, che, magari, preferirebbero anche evitare di essere obbligati a comprare inaffidabili auto elettriche.


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