Analisi e studi
La battaglia per vincere la concorrenza si combatte nella mente (di Romina Giovannoli)
I cambiamenti culturali, nonostante non alterano le leve del marketing e delle vendite che sono sempre valide nel tempo, mutano i comportamenti delle persone. Infatti sessant’anni fa gli italiani guardavano Carosello. Oggi, questo tipo di pubblicità fa sorridere e sicuramente la storia di Calimero e lo slogan “Ava come lava” non muove più il prodotto dallo scaffale.
La diffusione di Internet, agevolata dall’uso dello smartphone ha contribuito molto a cambiare il comportamento del potenziale cliente che tende a scegliere il brand leader e non si interessa del brand numero due o tre. Quindi o si è leader del mercato o si deve costruire un mercato nel quale si è leader.
Oggi, il digital marketing dà più possibilità di costruire mercati di nicchia rispetto a quanto si poteva fare con i media tradizionali ma c’è un problema: Internet è un nuovo media molto più competitivo e affollato perché tutti ci possono essere. Così diventa molto importante il positioning, anche per il piccolo imprenditore. Ci si deve posizionare molto chiaramente contro i concorrenti.
Il brand positioning è un’attività di marketing che mette il brand nella testa del potenziale cliente in una posizione ben specifica e quanto più possibile predominante.
L’obiettivo è far percepire il brand come distinto dagli altri del settore in modo rilevante al punto da renderlo preferibile per il potenziale cliente.
Il brand positioning, non è un’attività aziendale che si svolge nello stabilimento, nello studio o nel punto vendita, lo si fa nella mente del potenziale cliente.
E nella mente del potenziale cliente che avvengono le decisioni d’acquisto ed è là che si deve andare a combattere le battaglie di marketing. Il brand positioning non è altro che lo strumento per combattere e vincere la battaglia nella mente.
Quando si arriva con la propria offerta in un mercato dove ci sono già offerte simili se non uguali, per prestazioni, promessa, prezzo e magari distribuzione per eliminare la concorrenza bisogna essere diversi e unici. Ciò lo si può fare solo raccontando le caratteristiche del proprio prodotto, per quanto speciali possano essere. Come abbiamo detto poc’anzi, la battaglia per farsi scegliere ha luogo nella mente e la mente ha bisogno di semplificazioni. Il cliente non ha né il tempo, né la capacità di valutare in modo oggettivo il nostro prodotto e quello dei concorrenti. Sceglie semplificando e, se la semplificazione gli fa dire “sono tutti uguali”, sceglie quello che costa meno. Con il brand positioning si può uscire dalla massa indifferenziata e farsi scegliere dai clienti che vogliono quel qualcosa che noi li abbiamo convinti ha il nostro prodotto.
In periodi di crisi se si ha un brand si può essere parzialmente protetti dalla pressione del prezzo. Il mercato si può restringere, ma se il cliente ci percepisce come la migliore, se non l’unica soluzione al suo problema perché abbiamo un chiaro brand positioning, il prezzo e i margini possono rimanere sostenuti. Ricorda che quando le cose vanno male, solo i più forti, cioè quelli che hanno una chiara posizione nella mente riescono a sopravvivere. Quindi quando c’è la crisi “bisogna essere dei cecchini di marketing: ogni investimento deve essere estremamente mirato.
E il modo per mirare gli investimenti di marketing è il brand positioning.
Il brand positioning ti dice che cosa dire, a chi dirlo e come dirlo. E’ focalizzato a comunicare una cosa specifica, invece che solamente a “fare immagine” “( De Veglia, 2017; pp.52-53). Per farlo si deve comprendere lo scenario competitivo: chi sono i concorrenti e qual è il loro brand positioning per poi trovare l’idea differenziante, ovvero in che modo il proprio prodotto o servizio, o meglio, la propria promessa di marca sono diversi dai concorrenti. L’idea differenziante è l’essenza del brand positioning perché il marketing è una battaglia di idee e di percezioni contro le idee e le percezioni che appartengono ai nostri concorrenti. Una battaglia che si svolge nella mente dei potenziali clienti.
Quando si cerca l’idea differenziante si deve tener presente che alla gente piace le aziende che si specializzano, che si dedicano del tutto a produrre un solo prodotto.
Nella guerra di brand positioning lo specialista, il brand che ha una sola cosa, batte sempre il generalista, il brand che fa più cose.
Dato che la mente semplifica, per i clienti funziona questo ragionamento: “ se sono gli specialisti, significa che hanno più esperienza e dedicano più tempo e risorse a quell’attività. Quindi lo svolgono meglio di un’altra azienda che divide il suo tempo e le sue risorse per svolgere altre attività.
Il cliente quando sceglie lo specialista pensa: “lo specialista è chi è più bravo a fare una determinata cosa: quindi la mia scelta è meno rischiosa e più furba e mi permette di ottenere più valore per i miei soldi” ( De Veglia, 2017, pp.91-92).
Un esempio di specialista è Red Bull. Red Bull ha un solo prodotto, e non è solo l’azienda specializzata negli energy drink, ma è anche quella che ha inventato la categoria. Nella scelta di questo brand si segue questo schema mentale: compro Red Bull perché è lo specialista, quindi è il miglior energy drink”.
Il brand specialista deve rimanere tale, non si deve allargare ad altre aree che sono considerate lontane, ad altre categorie di prodotto. In poche parole non deve cadere nella trappola dell’estensione di linea.
La mente non vuole confusione: se un brand significa “merceologia A” (ad esempio tessuti), non può significare “merceologia B” (ad esempio occhiali da sole).
L’estensione di linea definita anche “estensione di marca”, anche se all’apparenza è una buona idea (si usa una marca forte per lanciare un nuovo prodotto), in realtà è una pessima idea perché non solo non posiziona efficacemente il nuovo prodotto, ma va a de-posizionare il brand originale a vantaggio di un competitor. Da tenere presente che il brand specialista che usa l’estensione di linea rischia più di un brand generico perché quando lo specialista perde la sua specialità perde tutto.
Nello stesso tempo l’idea specialista ha un limite: non la si può usare se il mercato è troppo piccolo perché si finisce per avere pochi clienti. Così è sconsigliata per le piccole aziende che hanno mercati locali. Se il mercato è piccolo si deve avere un brand positioning più ampio possibile e viceversa. Ad esempio, se si ha una web agency ci si può specializzare nel fare “solo siti internet per dentisti” se si ha un mercato nazionale, ma no se si lavora a Carpi.
L’idea differenziante “specialista” funziona perché comunica precisamente alla mente e ai suoi limiti.
Un’alternativa all’idea differenziante specialista è il “numero uno”. In questo caso si deve valutare, prendendo in considerazione dei dati: numero di clienti, numero di anni sul mercato, numero di prodotti, chi ha lanciato per primo il prodotto, chi ha più punti vendita, chi ha lanciato una nuova funzionalità e così via, se si è il numero uno nel proprio mercato e dichiararlo.
L’idea differenziante alternativa numero uno funziona meglio quanto più i mercati hanno scarsità di attività di marketing e in generale di brand awareness. Per impadronirsi della posizione “numero uno” basta dichiararlo.
“Ricorda che il marketing è una battaglia di percezioni e non dimenticare i limiti della mente. Se riesci a comunicare efficacemente di essere il “numero uno” la mente dei tuoi clienti lo registrerà e a quel punto alzerà barriere nei confronti di ogni messaggio in contrasto con questo” (De Veglia, 2017, p.95).
Una volta trovata l’idea differenziante bisogna fare due test: il test del contrario e il test dei limiti.
Con il test del contrario ci si pone la domanda: c’è qualcuno che ha un brand positioning contrario al mio? Se non c’è nessun concorrente che ha un brand positioning opposto si può avere un problema, perché un brand positioning efficace richiede che ci sia un’azienda (o anche più di una) che abbia una promessa contraria per riuscire a distinguersi e a creare una nuova categoria in cui essere leader.
Invece, con il test dei limiti ci si pone la domanda: quali limiti ha il mio brand? Un brand positioning è qualcosa ben specifico. Un brand non può mai essere tante cose diverse, per cui si deve essere pronti a dare dei limiti al proprio brand dicendo: questo il nostro brand non lo fa. Questo mercato non lo serviamo.
I limiti ci sono sicuramente ed è importante identificarli perché servono per rendere il proprio messaggio credibile. Nello stesso tempo, identificare e comunicare i limiti del proprio brand, una debolezza, porta un vantaggio psicologico nella comunicazione.
Comunicando una propria debolezza si ottengono questi due vantaggi con i potenziali clienti:
- il riconoscimento dell’onestà che li porterà ad essere più disposti a credere a quello che si dice, anche quando ci si promuove;
- la credenza che si ha l’attributo complementare, dato che si è disposti ad ammettere una mancanza.
“Macintosh (Mac), il computer per tutti noi altri”: così Apple presentava il computer Macintosh (Mac) nel 1984. Un computer non adatto agli smanettoni e agli esperti di computer perché il suo sistema operativo non permetteva di metterci le mani dentro e l’interfaccia con mouse e finestre non erano cose da veri informatici. In questo modo Mac ha rinunciato a parlare ai clienti di computer, che erano soddisfatti della complessità dei pc dell’epoca, e si è presentato come “il computer per quelli che non capiscono di computer”. Questo brand positioning funziona ancora oggi anche se non viene più espresso letteralmente nella comunicazione. Ormai è assodato che i computer Mac rendono l’esperienza utente più semplice rispetto ai computer Windows.
In un mercato dominato da un eccesso di offerta, di informazioni e di pubblicità, e dove Internet ha cambiato i comportamenti e le abitudini dei consumatori il brand positioning è fondamentale per stabilire che cosa si deve comunicare esattamente per “entrare nella mente del cliente”.
Romina Giovannoli
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